Come mostra la polemica tra governo e Corte dei conti, i controlli sul Pnrr riguardano spesso gli aspetti procedurali. Mentre si dà poca attenzione alle scelte discrezionali che precedono la costruzione dei bandi, cruciali per incentivare gli investimenti.
La vicenda
Il recente dissenso che si è registrato tra il governo e la Corte dei conti sul mancato conseguimento di obiettivi intermedi del Piano nazionale di ripresa e resilienza consente alcuni rilievi di merito su quanto accertato, nel tentativo di andare oltre il pur importante superamento di un termine.
Entro il 31 marzo del 2023 avrebbero dovuto essere aggiudicati gli appalti previsti dal Pnrr per la realizzazione di 40 stazioni di rifornimento a base di idrogeno, nel quadro delle iniziative volte a de-carbonizzare i trasporti per un investimento complessivo di 230 milioni.
Nella delibera del Collegio del controllo concomitante n. 17 del 3 maggio 2023, la magistratura contabile segnala “gravi irregolarità gestionali”, che si sono riflesse su un obiettivo di rilevanza europea, con potenziale, sia pur parziale, perdita del finanziamento (la quarta rata di 16 miliardi è prevista per giugno).
In particolare, è stato segnalato che l’attività di pianificazione e di monitoraggio, cui è tenuta l’amministrazione titolare dell’investimento (il ministero delle Infrastrutture), è risultata deficitaria tanto da determinare, in prima battuta, un ritardo nella milestone italiana, poi differita al 31 dicembre 2022, e quindi lo sforamento di quella europea del 31 marzo 2023.
Il governo ha replicato affermando che il rilievo è uno sconfinamento dalle attribuzioni, perché non spetterebbe alla Corte entrare nella relazione con la Commissione Ue e valutare la sussistenza delle condizioni per la perdita del finanziamento.
Il merito della questione
Anche senza considerare la circostanza – pur rilevante – che la tipologia di controllo attuata è stata prevista in sede di disegno della normativa del 2020 sulla governance del Pnrr proprio per salvaguardarne i fondi sino a quando si è in tempo, si può constatare come il conflitto istituzionale abbia lasciato sullo sfondo informazioni sul merito, oscurate dalla polemica sollevata, le quali rivestono un significativo rilievo e aprono una serie di interrogativi sulle scelte ministeriali.
Il ministero delle Infrastrutture, nel lanciare la misura, ha scelto di ammettere a finanziamento non oltre il 50 per cento del costo dell’investimento benché, trattandosi di progetti sperimentali in un mercato in evoluzione, già sulla base di direttiva Ue 651/2014, fosse possibile finanziare il 100 per cento degli impianti. Secondo la Corte, questa circostanza può aver influito sull’attrattività dell’Avviso per la ricerca degli investitori, non incentivando a sufficienza la partecipazione di eventuali operatori economici interessati all’iniziativa.
Ma c’è un altro punto di merito. Non è stata disposta sulla Gazzetta ufficiale europea la pubblicazione della ricerca degli operatori economici, nonostante fosse previsto nello stesso Avviso che potessero essere destinatari delle risorse anche operatori non stabiliti in Italia, ma in un altro stato membro.
Risultato: le proposte ammesse sono state 35, al di sotto di quelle 40 che dovevano costituire un obiettivo minimo, e con la localizzazione di complessive 6 stazioni di rifornimento per le regioni del Sud. Sono totalmente rimaste fuori dall’investimento la Basilicata, la Campania, il Molise e la Sicilia. Una stazione risulta assegnata rispettivamente in Abruzzo, Calabria e Sardegna, tre sono state assegnate alla Puglia. Per un totale pari al 44 per cento delle risorse potenzialmente erogabili e al 13 per cento delle risorse disponibili per il Sud, percentuale al di sotto della quota del 40 per cento dei fondi a ciò destinati.
La mancata pubblicazione dell’Avviso per la ricerca degli investitori sulla Gazzetta ufficiale Ue non ne ha consentito un’opportuna diffusione, e su questo punto il ministero non ha replicato all’organo di controllo.
La vicenda consente di verificare, finché si è in tempo, il valore aggiunto del controllo concomitante attivato dalla Corte dei conti, e della pubblicità conseguentemente ricevuta, su come sia stata esercitata la discrezionalità da parte di un ministero su misure strategiche che, in ragione del cambiamento climatico, hanno la finalità di sviluppare la sperimentazione di combustibili alternativi per il trasporto stradale.
Se dopo gli esiti del controllo della Corte, il governo dovrà adottare correttivi, sarebbe forse opportuno che questi non si limitino solo a obiettivi procedurali e alla pianificazione di tempistiche, ma investano anche il “come” spendere meglio le risorse assegnate, attraverso criteri ben combinati che siano in grado di incentivare a sufficienza la partecipazione di operatori interessati a un mercato in una prima fase di sviluppo.
Le verifiche sul Pnrr riguardano, per lo più, input e output procedurali, quando resta sullo sfondo la necessità da parte delle stazioni appaltanti – soggetti attuatori di riporre adeguata attenzione ai momenti discrezionali che precedono la costruzione dei bandi, in particolare quando occorre riuscire a intercettare il mercato, incentivando adeguatamente gli investimenti.
Tutto ciò nel quadro di un Piano che, sul versante previsionale, non intercetta bisogni latenti (si pensi ai nidi e ai circa 6 mila comuni che non hanno partecipato ai bandi) e che, sul versante successivo alla realizzazione degli investimenti, registrerà deficit di verifica di impatto sui risultati delle politiche pubbliche.
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Firmin
La PA italiana è storicamente costruita per controllare e non per predisporre e realizzare progetti concreti. In particolare il diritto e la pratica amministrativa sembra concepita proprio per ridurre gli spazi di discrezionalità e la giustizia amministrativa si incarica di scoraggiare le iniziative che non siano strettamnete codificate.
Forse il primo punto del PNRR doveva essere lo smantellamento delle attuali regole amministrative e la loro sostituzione con procedure discrezionali sottoposte solo a verifica ex post di efficacia ed efficienza. E’ paradossale che si invochi la semplificazione per i comuni cittadini e non per i civil servants che devono “servirli”.
Enrico Conte
Le cd riforme della PA sono frutto di paradigmi culturali sempre uguali.
C’è un anima in chi le scrive profondamente conservatrice e che esprime un pensiero duale, giuridico
La parte di amministrativisti ( includendo tra questi anche molti operatori) più avanzata deve fare i conti con la restante.
L alta amministrazione allora va avanti e indietro.
Tanto vale allora, penserà il decisore politico, concentrarsi sulle procedure….