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Extraprofitti: una tassa sbagliata

La tassa sugli “extraprofitti” delle banche, pur avendo un intento redistributivo, è fortemente distorsiva e indebolisce la credibilità del sistema finanziario italiano. Sarebbe stato meglio agire su trasparenza e concorrenza.

Pur avendo un condivisibile intento redistributivo, crea numerose criticità la tassa annunciata inaspettatamente sull’incremento del margine d’interesse delle banche, ossia la differenza tra interessi attivi percepiti dalle banche sugli impieghi e gli interessi passivi pagati sulla raccolta ai depositanti.

In economia il fenomeno di quelli che sono chiamati impropriamente “extraprofitti” è ben noto e si chiama deposit franchise: in una fase di restrizione monetaria i tassi sui depositi bancari crescono molto poco a confronto di quelli sugli impieghi e degli altri tassi di mercato.

Questa circostanza dipende dallo scarso potere di mercato dei depositanti rispetto a quello delle banche, dalla concorrenza imperfetta che caratterizza il settore creditizio, dalla situazione di liquidità del sistema e dal grado di educazione finanziaria dei risparmiatori.

È su queste cause che bisogna agire invece che creare distorsioni e minare la credibilità del sistema finanziario con una tassa mal disegnata (riscritta tre volte in una giornata), con seri problemi di legittimità (perché ex-post) e potenzialmente aggirabile.

Nella sua versione finale il provvedimento prevede che l’imposta del 40 per cento si applichi sull’incremento maggiore del margine d’intermediazione realizzato dalle banche tra il 2021 e 2022, su cui si applica una franchigia del 5 per cento, e quello fra il 2021 e il 2023, su cui si applica una franchigia del 10. La tassa non potrà comunque superare lo 0,1 per cento degli attivi dei singoli istituti.

Una tassa, almeno quattro problemi

Oltre alla complessità semantica della norma è importante tenere a mente quattro problemi legati a questa tassa.

Il primo è che la tassa si applica solo alle banche italiane, creando un chiaro svantaggio competitivo rispetto alle aziende di credito straniere, che già presentavano valutazioni borsistiche e multipli ben superiori. L’imposta crea, infatti, un rischio regolamentare che certo non favorisce il sistema finanziario italiano (oltre a creare in generale un pericoloso precedente). In altri termini questo provvedimento, come paventato dalla stampa estera, può accrescere il cosiddetto “rischio Italia”. Non un bel risultato per un governo che ha fatto molti sforzi (e conseguito qualche successo) per rendersi credibile agli investitori internazionali.

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Il secondo dettaglio da tenere presente è che la tassa non colpisce direttamente solo le banche ma indirettamente anche i loro azionisti, che hanno già subito una perdita sul valore del loro investimento e che subiranno in prospettiva una riduzione sui dividendi attesi. Altrettanto esposti sono i depositanti, che potrebbero vedere aumentare le commissioni pagate, e le imprese, che rischiano un aumento del costo del credito e una contrazione della sua disponibilità.

La terza questione da ricordare è che la tassa sul margine d’interesse colpisce anche le cedole di tutte le obbligazioni detenute nei portafogli delle banche, incluse le obbligazioni pubbliche. In questo caso i titoli di stato di nuova emissione, che pagano interesse più alti, sarebbero particolarmente penalizzati con potenziali ripercussioni sul collocamento dei titoli pubblici e impropri arbitraggi fiscali.

Infine, come quarto punto, non è ancora chiaro chi saranno i beneficiari delle misure finanziate col gettito della tassa sugli extraprofitti. Così come non è chiaro che saranno gli stessi che hanno subito gli effetti negativi del deposit franchise.

Meglio agire sulla concorrenza

In questo contesto si capisce quanto meno distorsiva e più duratura sarebbe stata una politica volta a stimolare la concorrenza sul mercato dei depositi e la consapevolezza dei depositanti che sul mercato oggi vi sono migliori opportunità d’investimento. Questo può avvenire con una maggiore trasparenza sulle condizioni applicate dalle banche. Quanti depositanti sanno oggi quale tasso viene applicato sul conto?

Inoltre, andrebbe facilitata la portabilità dei conti, come è stato fatto con i mutui attraverso la legge Bersani. Dovrebbe essere incentivata la crescita delle fintech che già oggi offrono depositi ben più remunerativi delle banche. Infine, è molto importante che le banche che hanno una piattaforma on line offrano servizi di intermediazione con prodotti alternativi facili da acquistare e convenienti. Negli USA ci sono i Money Market Mutual Fund, in Italia forse i vecchi Bot.

Questo è quanto dovrebbe fare un governo di destra moderno, che ha promesso di non mettere le mani nelle tasche degli italiani. Ed è quello che forse dovrebbe proporre anche un’opposizione meno populista e legata a vecchie ideologie.

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Nel passato gli stati sono stati spesso costretti a salvare con soldi pubblici le banche in difficoltà. Tuttavia, in questi anni la regolamentazione e la vigilanza hanno fatto di tutto perché questo non succeda più. Sarebbe un peccato creare le condizioni economiche e morali perché le dolorose esperienze passate possano ripetersi.    

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16 commenti

  1. Savino

    Distorsivo e’ cio’ che non si e’ fatto finora, con realta’ finanziarie che hanno cumulato patrimoni, mentre chiedere un mutuo e’ un’impresa durissima.

  2. B&B

    Non saprei dire se i contro sono maggiori dei pro. Certo è che le banche aggiornano le condizioni a loro vntaggio, senza possibilità di trattare per il cittadino che puo’ solo uscire e finire in bocca ad una concorrente ma equivalente.
    Pero’, Il governo, con questa tassa, non ha messo le mani nelle tasche degli italiani ma delle banche, le quali, non pagano interessi su depositi. Almeno io non incasso niente, ma pago per il deposito salati conti a loro e il famigerato prelievo Monti allo stato pe mantenere gente come Fassino, opure la Schlein che con Bonaccini, hanno portato l’emilia romagna al disastro, tecnicamente evitabile, per la loro totale incompetenza e pigrizia mentale.
    Il San Paolo di Torino oggi Intesa SP, non ha pagato i dividendi su consiglio Mrkel post pandemia. I tech usa perdono oggi dal 20 al 40% .
    L’ unica rendita sicura sono i tit di stato a 4-6 mesi.
    In Toscana il lavoro professionale tecnico, se non fai parte delle cosche, viene boicottato e impedito dalla sinistra contraria alle libere professioni. E spesso non solo dalla sinistra.

    • Marco Doppietti

      A parte che il conto corrente è uno strumento di pagamento e non viene remunerato da nessuna parte nel mondo (al contrario dei depositi vincolati e dei conti deposito), non so dove viva lei ma Intesa il dividendo lo paga eccome. Quello non pagato nel 2020 per ragioni prudenziali fu vietato dalle autorità bancarie europee, ma con quei soldi Intesa ha fatto un buyback.

  3. Alex LA ROCCA

    Tutte considerazioni condivisibili, sebbene non vadano ascritte all’incapacità di questo governo, non comprendo però cosa centrino con un provvedimento, che cerca di redistribuire alla collettività una seppur minima parte degli utili.
    Perché quando sono state redistribuite le perdite degli istituti bancari queste considerazioni non sono state fatte?

    • Marco Doppietti

      Io ricordo il caso MPS che si trascina da anni, nel quale è entrato lo Stato ma gli azionisti hanno perso di fatto praticamente tutto in termini di valore. Ricordo il caso delle banche venete, la cui parte sana è stata praticamente regalata a Intesa, che però aveva partecipato al fondo Atlante perdendoci dei bei soldoni..
      Mi scusi ma ho la memoria corta. Esattamente quando lo Stato ha aiutato le banche in Italia di recente?

  4. Fred

    Un governo di destra dovrebbe ricordarsi dell’economista fascista (ex radicale di sinistra) Maffeo Pantaleoni, che chiarì più di 100 anni fa che in un mercato oligopolistico come quello del credito le imposte sulle imprese vengono immediatamente trasferite (traslate) su clienti, dipendenti, fornitori e piccoli azionisti. Quindi, al di là della surreale retorica contro i poteri forti, il governo sta mettendo pesantemente le mani nelle tasche dei propri elettori, piuttosto che delle banche. Come giustamente osservato dall’autore, se si vogliono davvero redistribuire gli extraprofitti bancari ed energetici basta incentivare la creazione di piattaforme per il credito e per il risparmio alternative all’attuale sistema bancario. Senza sforzare troppo la fantasia, si potrebbe cominciare migliorando le condizioni offerte da Poste Italiane. Gli altri seguiranno.

    • Marco Doppietti

      Con 430 istituti autorizzati da Banca d’Italia a operare in Italia, e la possibilità di mollare la tua banca in relativamente poco tempo (per le persone fisiche veramente pochissimo tempo) ci vuole un bello sforzo di fantasia per definire oligopolistico il mercato del credito.
      Oppure basta non sapere cosa è un oligopolio..

  5. Salvatore

    Articolo chiaro e convincente. Solo mi chiedo quale coerenza dimostra l’autore con un altro suo articolo pubblicato su “La voce” il 1° giugno 2023 in cui ha scritto:
    “In una situazione di alti profitti, le imprese sono meno dipendenti dal credito e pertanto la politica monetaria diventa meno efficace, a differenza di quelle fiscali e industriali che possono giocare un ruolo rilevante. Interessante in proposito è il caso spagnolo, dove il governo Sànchez è riuscito a ottenere risultati considerevoli con politiche economiche non convenzionali quali lo sganciamento del prezzo del gas da quello dell’elettricità, la riduzione della tassazione indiretta, l’imposizione di limiti ai prezzi dell’energia, la tassazione dei super-profitti delle banche. Così l’inflazione in Spagna è oggi vicina al 2 per cento, mentre la crescita dei profitti è in linea con il costo unitario del lavoro.”
    Quondi in Spagna la tassaziobe dei super-profitti delle banche porta a risultati positivi e in Italia a effetti negativi? O le due tassazioni sono diverse?

    • kleist

      Posso dire per esperienza personale , poiche´ trascorro molto tempo nelle Isole Canarie ,
      che in Spagna l inflazione non e´ al 2 per cento , ma e´ alta come in tutto il resto d Europa.

  6. Pietro Della Casa

    Per il mondo finanziario questa tassa non è un errore: è una profanazione.

  7. Maurizio Carnevale

    Sistema bancario ed extra profitti

    
    
    

    
    
    
    
    
    
    E’ sorprendente come la stampa facendo riferimento alle autorità di vigilanza e ai più autorevoli economisti del paese si stia scagliando contro il decreto che sottopone a tassazione straordinaria gli extra profitti delle banche italiane.
    Gli argomenti invocati:
    – concetto indefinito degli extra profitti;
    – stabilità finanziaria del sistema; erosione del capitale per l’erogazione di nuovo credito;
    – fuga degli investitori internazionali
    – effetto contagio su altri settori
    – disincentivo per la sottoscrizione di nuovo debito pubblico
    – ribaltamento del costo sulla clientela
    -in generale la credibilità del paese ed il rischio di cadere nel populismo di matrice latino americana
    -la soluzione individuata nella maggiore concorrenza.
    Tutti argomenti fondati ma che proprio per l’eccessiva enfasi non possono che alimentare la diffidenza da parte del cittadino contribuente.
    Entra in gioco la miopia delle autorità di vigilanza del settore che proprio nell’ultimo punto presenta responsabilità centrali proprio nell’avere perseguito negli ultimi 20 anni lo smantellamento del sistema bancario italiano ed avere creato, nel nome della concorrenza (udite udite) e della competitività un oligopolio in cui la concorrenza tra operatori e’ solo formale ma non sostanziale creando rendite da posizione che nulla hanno a che vedere con l’efficienza gestionale e l’innovazione.
    In ultimo la creazione dei gruppi bancari cooperativi Iccrea e Cassa Centrale che hanno completato il disegno.
    Non è quindi condivisibile, se non in un mercato a concorrenza perfetta, la indeterminatezza del concetto di extra profitto che equivale quindi a rendita da posizione.
    Si invoca la stabilità finanziaria e l’erosione del capitale per l’erogazione di nuovo credito ma anche qui Bce dovrebbe giustificare tutte le autorizzazioni rilasciate alle banche italiane sulle operazioni di buy back tanto enfatizzate dalle stesse imprese bancarie quale attestazione di solidità tanto da poter rimborsare il capitale eccedente agli azionisti.
    La fuga degli investitori internazionali e la credibilità del sistema: sono i primi a fuggire e a lasciare alla mano pubblica ogni intervento in caso di pre crisi o di crisi.
    Se si vuole invocare il danno reputazionale al sistema occorrerebbe che prima gli investitori se ne costruiscano uno positivo.
    Emblematico il caso Monte dei Paschi con l’ultimo aumento del capitale sociale di 2,5 miliardi (900 milioni i privati, 1600 milioni il MEF ); 132 milioni di commissioni corrisposte al consorzio di garanzia per la quota privata di 900 milioni la cui sottoscrizione condizionava la possibilità dell’intervento pubblico grazie alle provvidenziali norme europee (per chi?) sugli aiuti di stato.
    Altrettanta perplessità sollevano tutte le operazioni di salvataggio di banche in crisi dove la soluzione è sempre stata individuata, secondo il principio cardine del minor costo, con l’intervento pubblico e quindi a carico del contribuente ( banche venete in cui Intesa San Paolo ha ottenuto una contribuzione pubblica di 5 miliardi).
    La prova che le soluzioni di mercato (bail in) sono nella sostanza inapplicabili e lasciano indenni gli azionisti al di là della perdita del sempre modesto capitale impiegato rispetto ai vantaggi in varie forme (non determinabili questi) presumibilmente realizzati negli anni.
    La teoria dell’opzione di abbandono impera.
    In tema di default non si riesce a comprendere come un settore iper regolamentato possa essere ciclicamente artefice di casi così clamorosi ed ogni volta si ponga il tema di come prevenire le crisi e come ogni volta, sempre in nome della disciplina di mercato e della concorrenza si eluda sistematicamente il nodo centrale proprio in funzione degli investitori: il conflitto di interesse.
    Tema tanto disciplinato nella regolamentazione primaria e secondaria e per certi versi estremamente rigoroso nelle norme che tuttavia si rivelano inefficaci nell’applicazione pratica allorquando il conflitto di interessi non trova effettivo bilanciamento all’interno degli organi di supervisione e di controllo con l’obbligo di esponenti aziendali realmente indipendenti espressione professionale di chi deposita e non solo degli azionisti di minoranza.
    In ciò si deve partire dal presupposto che il vero capitale impiegabile e’ sopratutto quello di debito.
    Il tema sembrerebbe esulare da quello centrale (la tassazione da extra profitti) ma a ben vedere è direttamente collegato al buon funzionamento del mercato che eviterebbe (forse) i continui interventi pubblici sul settore.
    Dalla Legge bancaria del 1936 a quella del 1993 il tema rimane irrisolto (volutamente?) prevalendo l’interesse degli azionisti di controllo e dei prenditori.
    L’effetto contagio della leva fiscale sugli extra profitti: al riguardo deve sottolinearsi che non altrettanta enfasi è stata sollevata allorquando nell’era pandemica lo Stato ha erogato contributi ai più svariati settori in forma indiretta anche al settore bancario “vittima” oltre che della crisi pandemica anche del regime dei tassi negativi.
    Si teme per caso che altri oligopoli possano essere interessati? O è la conferma che esistono altri settori non concorrenziali che alimentano i profitti da rendita da posizione?
    Si agita inoltre un effetto disincentivo alla sottoscrizione di debito pubblico italiano come se questo non fosse in realtà governato dalla (adeguata) remunerazione e dalla sua sostenibilità nel tempo ma solo dal quadro giuridico che in realtà la sovrattassa non inficia minimamente quasi a voler creare inesistenti preoccupazioni sempre però utili alla causa.
    Gli investitori internazionali non hanno alcun interesse a mettere in difficoltà il paese.
    Il tentativo di ingenerare nel pubblico manovre di ribaltamento del costo: impossibile; ogni modifica unilaterale delle condizioni richiede alla base il “giustificato motivo” che
    esclude alla radice l’introduzione una tantum di una imposta.
    E poi per finire l’affondo sul populismo e nel voler descrivere l’azione del governo come “squinternata”, scomposta e alla disperata ricerca di risorse invece che concentrarsi sul caro tema dell’ impossibile taglio dei costi e degli sprechi, il recupero dell’evasione fiscale ecc.ra temi anche questi tanto abusati quanto indefiniti.
    Stiamo ancora subendo i contraccolpi di una politica sanitaria che sta ledendo i diritti fondamentali della salute.
    Ora si domanda ma il sistema bancario è consapevole che le risorse prelevate andranno a vantaggio di chi indebitato si trova in difficoltà realizzando quegli interventi che le banche, per mille vincoli legislativi di settore e regolamentari, non possono attuare?
    E’ opportuna una contrapposizione così forte allorquando all’unisono tutte le banche, tutte indistintamente , annunziavano al mercato il miglior risultato economico di sempre che faceva il paio con le operazioni di buy back sul capitale? Non sembra questo un atteggiamento “squinternato” e di irresponsabilità sociale per richiamare i principi Esg?

    Il sistema bancario italiano è un insieme di imprese fondamentalmente solido e sano , prezioso e irrinunciabile fulcro dell’Intermediazione creditizia per famiglie e imprese
    e volano di sviluppo.
    È proprio per questo accettando la giusta azione redistributiva del governo potrebbe recuperare con un atto di responsabilità sociale quella fiducia che negli ultimi anni si è andata indebolendo.

    Inviato da Maurizio Carnevale

    • Marco Lombardi

      Tutta la parte su oligopolio, concorrenza solo formale ecc è delirante. Ogni tanto sarebbe auspicabile riflettere prima di ripetere a pappagallo quel che dicono politici come Borghi o Fazzolari.
      Ma quale mercato ha osservato? Se lo ricorda come era andare in banca negli anni 90? Si prendeva un giorno di ferie per andare a fare un’operazione banale che veniva fatta pagare a peso d’oro. La remunerazione dei conti correnti era inesistente o irrisoria (sebbene i politici dicano il contrario mentendo). In compenso si pagavano conto, carta, bancomat, prelievi, versamenti, bollette, ossigeno respirato in filiale ecc.
      Oggi se una banca provasse a comportarsi come facevano 25 anni fa perderebbe la clientela, grazie a internet e (indovini un po’..) alla concorrenza….

    • Marco Lombardi

      La storia che Intesa ha preso 5 miliardi dallo Stato è una mezza bugia. L’utile del 2017 non fu niente di entusiasmante infatti.
      Dopo essere stata costretta a investire (e perdere) 850 milioni in Atlante per capitalizzare le banche venete, le viene chiesto/imposto di prendersele in carico. Il valore netto degli attivi che si prese non era per niente alto (mi pare che le passività fossero poco maggiori del valore degli attivi), e dei crediti buona parte erano a rischio di passaggio da bonis a deteriorato.
      Lo Stato prestò garanzia alla banca su parte di quei crediti per 5,4 miliardi, non è che diede 5 miliardi liquidi alla banca. L’esborso che ci fu era per permettere a Intesa, costretta a prendersi due banche sostanzialmente fallite, di mantenere gli stessi coefficienti patrimoniali: non puoi spingere la prima banca italiana a mettere due mele marce nel paniere senza darle almeno le risorse per mettersi in sicurezza.

  8. pal

    E’ tutto molto più semplice : gli investitori (Italiani) si trasferiranno (già l’hanno fatto e continuano a farlo) verso banche/fondi/advisors stranieri (con evidente impoverimento nazionale).
    Perché ? Perché gestiscono (spesso) meglio e a costi più contenuti.
    Il sistema bancario Italiano é vecchio come vecchi sono spesso i benestanti, ma il fattore tempo é inuledibile. Tutti quelli che conosco (che hanno ereditato) se ne sono andati immediatamente spostando gli investimenti altrove. Ma allora la politica delle banche è miope ! Ebbene sì. Fanno conto di una onda lunga (tradizionale) che le privilegia, però andando a vedere i numeri, anno per anno, una enorme quantità di denaro si trasferisce all’estero. Bye Bye Italia

  9. Garelli Gastone

    TASSA SUGLI EXTRA-PROFITTI- MA CI SONO GLI EXTRA-PROFITTI? Faccio un esempio-che mi è venuto spontaneo-Banche:2022-capitale 100 utili 2% inflazione 1% capitale 101 Banche:2023-capitale 100 utili 4% inflazione 6% capitale 98 Le banche hanno si raddoppiato gli utili, ma il loro capitale è diminuito. Dove stanno gli extra-profitti? Mi chiedo dove sbaglio nel ragionamento, perché non credo di essere l’unico ad avere visto il problema?

  10. kleist

    Buon giorno ,
    non capisco come la suddetta imposta possa includere anche gli interessi delle cedole dei
    Titoli di Stato , quando nella norma e´ detto chiaramente che l intenzione sia di
    sotoporre a tassazione la differenza tra gli impieghi bancari e i margini dei tassi di interesse
    attivi .

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