Nella delega fiscale non c’è un quadro organico di finanza erariale e decentrata. Al di là del richiamo a criteri generali, si continua a rinviare una riorganizzazione complessiva del sistema. Anche il superamento dell’Irap incontra molti problemi.
Gli articoli della legge delega
La legge delega sulla riforma fiscale dedica due articoli al sistema di finanziamento degli enti decentrati nel suo complesso – l’articolo 13 per la finanza regionale e l’articolo 14 per quella degli enti locali – più un altro – l’articolo 8 – che interviene specificamente sul tributo regionale per antonomasia, l’Irap. La valutazione di un provvedimento di riforma fiscale, il primo, a detta degli estensori, dalla riforma Visentini dei primi anni Settanta, non può esimersi dal considerare, oltre a quello che c’è, anche quello che non c’è. Ebbene, nella delega fiscale non c’è un quadro organico e integrato di finanza erariale e decentrata: il federalismo fiscale è come appeso al resto e il tutto si esaurisce in un mero richiamo di criteri disattesi da decenni e che rimarranno probabilmente tali.
L’incerta riforma della finanza regionale
L’articolo 13 evidenzia la necessità di una revisione del decreto legislativo 68/2011, figlio della riforma del federalismo fiscale (legge 42/2009), con l’obiettivo di superare gli ostacoli che ne hanno finora impedito l’effettiva realizzazione. L’attuazione di questo decreto si è limitata alla determinazione dei fabbisogni sanitari e alla ripartizione del Fondo sanitario, mentre la parte relativa alla struttura della finanza regionale extra-sanitaria è stata ripetutamente rinviata, da ultimo al 2027. Ci si aspettava che la delega avrebbe indicato le direzioni di marcia da prendere per realizzare finalmente il federalismo fiscale regionale. Invece, la revisione proposta è deludente e riduttiva, in quanto continua a rinviare la sistemazione complessiva degli assetti generali di finanziamento delle regioni. La delega evidenzia innanzitutto la necessità di rivedere il meccanismo individuato dalla riforma del federalismo fiscale per la fiscalizzazione dei trasferimenti statali destinati alle regioni a statuto ordinario (si tratta, ad esempio, del Fondo per la lotta alla povertà, del Fondo per le non autosufficienze, del Fondo per il diritto allo studio universitario, e così via): per una piena affermazione dell’autonomia fiscale, tali trasferimenti (a destinazione vincolata) avrebbero dovuto essere sostituiti con risorse fiscali (senza vincoli di destinazione) e, in specifico, con una componente dell’addizionale regionale all’Irpef. Ne consegue che l’aliquota dell’addizionale avrebbe dovuto essere fissata a un livello tale da assicurare un gettito pari, per il complesso delle regioni a statuto ordinario, all’ammontare dei trasferimenti aboliti, ma con speculare arretramento delle aliquote Irpef erariali per lasciare invariato il prelievo sui contribuenti. Questa operazione si è rivelata complessa sul piano operativo perché la riduzione delle aliquote erariali avrebbe dovuto essere applicata ai soli contribuenti della Rso (l’ambito rilevante per la riforma del federalismo fiscale) e questo avrebbe portato alla definizione di due scale distinte di aliquote Irpef, una per i contribuenti delle regioni a statuto ordinario e l’altra per quelli delle regioni a statuto speciale. Come uscirne? La delega fiscale nulla precisa in merito. La delega richiama poi un altro tassello non attuato della riforma del federalismo fiscale, quello della territorializzazione delle compartecipazioni regionali sui tributi erariali – in particolare quella sull’Iva – ovvero il fatto che le risorse derivanti dalle compartecipazioni siano attribuite alle singole regioni sulla base di criteri che riconducano chiaramente al territorio da dove scaturiscono (ad esempio, per l’Iva, il luogo di consumo nel caso della cessione di beni). Difficoltà di natura informativa e amministrativa hanno finora impedito di attuare queste modalità di attribuzione. La delega, oltre a ribadire il principio generale della territorializzazione, però non chiarisce come gli ostacoli attuativi possano essere superati. Insomma, la delega fiscale lascia, chissà per quanto tempo ancora, tutto a metà strada e nell’incertezza. Peraltro, l’incompletezza sulla finanza regionale “simmetrica” si ripercuote anche sulla finanza “asimmetrica”, legata al progetto di autonomia differenziata, rendendola di difficile realizzazione.
Il superamento dell’Irap
Sempre in tema di fiscalità regionale, la delega prevede la graduale abolizione (“superamento”) dell’Irap – che è destinata al finanziamento della sanità – a partire da alcune categorie di contribuenti (società di persone e associazioni tra persone fisiche per l’esercizio di arti e professioni). L’Irap verrebbe sostituita da una sovraimposta sull’Ires in grado di produrre un gettito totale equivalente. Il gettito della nuova sovraimposta verrebbe attribuito alle diverse regioni sulla base delle medesime regole dell’Irap, ovvero secondo il territorio dove è realizzata la produzione. La sostituzione dell’Irap con la sovraimposta sull’Ires implicherà non pochi problemi per la finanza sanitaria. Già oggi l’Irap, dopo gli svuotamenti della base imponibile degli ultimi dieci anni, ha ridotto di molto il gettito alle regioni, e anche la possibilità di manovrarlo, per cui oltre la metà della spesa sanitaria è coperta dalla compartecipazione all’Iva che di fatto è un trasferimento dallo stato. Inoltre, entrambe le imposte – Irap e Ires – hanno una distribuzione della base imponibile del settore privato concentrata territorialmente nelle aree economicamente più avanzate del paese, ma l’Ires accentua ulteriormente la concentrazione territoriale rispetto all’Irap con la conseguenza che lo squilibrio fiscale dovrà essere sanato da un meccanismo perequativo. Inoltre, un’eventuale manovrabilità delle aliquote della sovrimposta Ires tenderà a generare fenomeni di competizione fiscale verso il basso, tanto da far pensare che non ne verrà concessa alcuna. Tutto sembra andare verso una riduzione dell’autonomia tributaria delle regioni.
La fiscalità degli enti locali
Quanto ai comuni, nella delega fiscale non c’è praticamente niente. Vengono riproposti i generici principi di autonomia tributaria, di separazione rispetto al fisco erariale, di potenziamento dei tributi propri, di semplificazioni procedurali e di riscossione, richiamati negli anni da molti provvedimenti, ma rimasti sulla carta. Va sottolineato che dal decreto legislativo 23/2011 – quello sul federalismo fiscale municipale – i comuni hanno visto ridursi la loro capacità fiscale e quasi esaurirsi la loro autonomia tributaria. Sarebbero stati quindi necessari elementi di delega ben più specifici e innovativi. Restano invece non affrontate le grandi questioni strutturali che affliggono la fiscalità comunale: la mancata riforma del catasto immobiliare, che compromette l’equità del prelievo (sono state espunte anche le timide aperture previste nel disegno di legge di riforma fiscale del governo Draghi); l’amputazione dell’Imu per l’esenzione dell’abitazione principale, che opera una dissociazione tra contribuenti e beneficiari dei servizi comunali (nessun richiamo all’introduzione di un’autentica service tax che contribuirebbe a superare questa separazione e amplierebbe gli strumenti di autonomia tributaria); l’indebolimento, in termini di gettiti potenziali, dell’addizionale comunale (e anche di quella regionale) prodotto dall’erosione della base imponibile dell’Irpef erariale per l’applicazione di più ampie aree di tassazione “piatta” o di cedolari secche; la distorsione della progressività dell’Irpef erariale prodotta dalle scelte dei comuni sull’addizionale e l’opportunità di una sua sostituzione con una sovraimposta; la necessaria ricostituzione di adeguati margini di manovrabilità autonoma verso l’alto delle aliquota dell’Imu, ormai esauriti per gran parte dei comuni soprattutto nel Mezzogiorno. L’articolo 14 interviene anche sul fisco delle redivive province e delle città metropolitane, un segmento della fiscalità la cui revisione è certamente urgente. Anche qui però la delega fiscale non va al di là dei principi generalissimi, operando peraltro un’incongrua assimilazione dei due enti, con un “copia e incolla” delle loro discipline fiscali. Nella revisione dei sistemi di finanziamento di province e città metropolitane sarà anche fondamentale garantire un adeguato coordinamento tra le modalità di finanziamento e le funzioni fondamentali, in corso di revisione, di questi enti.
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Savino
Questa delega non è poi così ampia e si sgonfia man mano che si procede col ragionamento, con poco margine di manovra per lo Stato. Rispetto agli anni ’70, il Paese è stato diviso e spacchettato nella distribuzione della ricchezza e dei servizi e, soprattutto, dal punto di vista dell’assetto politico e amministrativo. Una Repubblica costituzionalmente non federale non può essere amministrativamente un Arlecchino nè sul fisco, in entrata o in uscita, nè sulla sanità, nè su altro, a partire dal welfare. Quindi, è corretto dire che la finanza è asimmetrica, perchè la forma di Stato non corrisponde al vero e la forma di Governo è incredibilmente asimmetrica, pur non avendo nè i Lander e nemmeno le Signorie medievali, poichè anche i Comuni sono troppi e dispendiosi, limitando l’efficienza della macchina pubblica.
enzo de biasi
se a questo si aggiunge l’azzeramento, già avvenuto, della revisione degli estimi catastali; ma perchè la riforma è ancora denominata con tale psedudonimo ? Più agevolmente si potrebbe chiamare semplicemete ” rimodulazione delle aliquote IRPEF”, ammesso e non concesso che le risorse necessarie saranno al dunque reperite.
Marco
Che la finanza locale sia disastrata basti vedere che è previsto l’acconto per l’addizionale comunale ma non per quella regionale, quando l’addizionale regionale vale molto di più di quella comunale. Poi l’Imu, il bollo auto non sono indicizzati all’andamento dei prezzi per cui abbiamo che gli enti locali devono affrontare costi crescenti ma la base imponibile rimane la stessa (se assumiamo che il consumo di suolo sia pari a zero e il numero di autoveicoli rimane costante).
Poi puntare a sostituire l’Irap con sovraimposta Ires si scaricano gli oneri della sanità sulle grandi aziende cioè si indebolisce la competitività mentre si escludono i redditi diversi dal reddito di impresa nonché i settori che impiegano tanti lavoratori come l’agricoltura ed i servizi dove molte attività sono esercitate in forma diversa dalla società di capitali e non sono esposte alla concorrenza internazionale o godono di vantaggi turistici.