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Quando le potenze autocratiche si alleano contro l’Occidente

Vari paesi autoritari hanno dato vita a una sorta di coalizione antioccidentale. C’è poi l’incerta collocazione di alcune giovani democrazie e il sentimento anticoloniale dei paesi africani. Per l’Occidente è una sfida complessa, in termini economici e geopolitici.

Il ridisegno delle alleanze

Prima la Russia entra a far parte dell’Opec, che diventa Opec+, e trova un’intesa con l’Arabia Saudita per tagliare ripetutamente l’offerta di petrolio e sostenerne il prezzo. Poi, Vladimir Putin e Xi Jinping dichiarano una “amicizia senza limiti” fra Russia e Cina durante il loro incontro ai giochi olimpici invernali del 2022. Quindi l’Iran esce dall’isolamento, fornendo droni alla Russia, e grazie alla mediazione cinese trova un accordo con l’Arabia Saudita, suo storico nemico. Grazie all’asse sino-russo il gruppo dei paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) invitano l’Iran e l’Arabia Saudita a farne parte. Infine, Kim Jong-un, capo di stato della Corea del Nord, dichiara di essere pronto a recarsi a Vladivostock e fornire armi a Mosca, mentre si programma un’esercitazione navale nel Pacifico che coinvolge navi cinesi, russe e nordcoreane. Così una serie di paesi autoritari e detentori di armi nucleari o in procinto di farlo, si coalizza contro l’Occidente, come non era avvenuto negli ultimi novant’anni. 

La situazione appare ancora più complessa se consideriamo che giovani democrazie semi-autoritarie come l’India di Modi, il Brasile di Lula e la Turchia di Erdogan sembrano in bilico fra perseguire una politica antioccidentale o mantenere una posizione più equilibrata che salvaguardi i rapporti economici con i paesi ricchi del mondo. Un diffuso sentimento anticoloniale è poi presente in Africa, come abbiamo avuto modo di constatare recentemente in Niger e in numerosi altri paesi dove le forze militari hanno preso il potere, spesso con il sostegno russo.

I prestiti della Cina

Nel tentativo di accaparrarsi il consenso dei paesi terzi ogni strumento sembra poi lecito alla Cina. Una recente ricerca del AidData mostra come i paesi che hanno ricevuto i maggiori aiuti o prestiti da Pechino abbiano poi garantito una incredibile fedeltà al paese asiatico in termini di voti all’assemblea generale dell’Onu. Negli ultimi anni, infatti, la Cina ha messo in piedi un sistema globale di prestiti internazionali volto al salvataggio dei paesi in difficoltà, che per molti versi si sostituisce a quelli elargiti dal Fondo monetario internazionale. 

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Tra il 2000 e il 2021 la Banca popolare cinese ha concesso una serie di linee swap per un valore di oltre 170 miliardi di dollari a sostegno della liquidità e delle riserve dei paesi in crisi. Le banche e le imprese statali cinesi hanno erogato altri 70 miliardi di dollari in prestiti a sostegno della bilancia dei pagamenti di questi paesi. Nel loro insieme, i prestiti ufficiali concessi dalla Cina corrispondono a oltre il 20 per cento del totale di quelli concessi dal Fmi. Tuttavia, gli aiuti cinesi differiscono da quelli internazionali in quanto sono più opachi, spesso segreti, difficilmente rinegoziabili, concessi a tassi di interesse alti e mirati ai debitori, quasi tutti partecipanti alla Belt and Road Initiative.  

La sfida per l’Occidente

Certo anche i paesi della Nato, a cui si sono uniti Giappone, Corea del Sud e Australia, hanno ritrovato una inaspettata unità dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Tuttavia, in un momento nel quale i rapporti fra “le potenze del male” e gli Stati Uniti sono a un minimo storico, l’Occidente si trova ad affrontare una sfida davvero complessa sia in termini economici che geopolitici. Infatti, questi paesi rappresentano una vasta fetta della popolazione mondiale, detengono una enorme quantità di materie prime e più in generale hanno un peso economico in termini di Pil superiore a quello del G7. L’alleanza fra le “potenze del male” rende poi le sanzioni imposte dall’Occidente meno efficaci e facilmente aggirabili, mentre il prezzo del petrolio, già oggi a novanta dollari al barile, potrebbe superare i cento dollari in caso di tensioni anche lievi e trascinare al rialzo i prezzi delle altre materie prime. Uno scenario preoccupante per le economie dei paesi avanzati in bilico tra rientro dalle pressioni inflazionistiche e rischi di recessione.       

Anche in termini di equilibrio militare il nuovo “asse del male” rende il trattato per la non proliferazione delle armi nucleari, che fra l’altro scade nel 2026, già obsoleto. Era infatti pensato per un mondo bipolare in cui le testate nucleari russe non dovevano superare quelle americane. Oggi, invece, l’arsenale nucleare e balistico che potrebbero rapidamente mettere in piedi Russia, Cina, Corea del Nord, e un domani Iran e Arabia Saudita, è davvero impressionante. A rendere più complicata la situazione c’è il fatto che questi paesi non sono retti da democrazie liberali, ma da autocrati che non devono rendere conto ai cittadini del loro operato e possono agire con ampi margini di discrezionalità. 

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L’assenza, per la prima volta, di Xi Jinping all’ultimo vertice del G20 che si è tenuto a Nuova Deli il 9 e 10 settembre, così come le conclusioni del gruppo dei Brics, in cui è stata contestata la governance di tutte le principali istituzioni internazionali sorte nel secondo dopoguerra (dall’Onu all’Fmi, dalla Banca Mondiale al Wto), sono un simbolo evidente della sfida lanciata. 

Eppure, né l’opinione pubblica occidentale né i mercati finanziari sembrano aver piena consapevolezza dei rischi che si corrono. Neppure si è fatta una attenta analisi dei numerosi errori compiuti dalle amministrazioni americane, da Bush in poi con l’invasione dell’Iraq. L’ipotesi più accreditata è che alla fine il buon senso e l’interesse alla cooperazione avrà la meglio, mentre le economie capitalistiche mostreranno tutta la loro capacità di adattarsi in maniera flessibile alla nuova situazione. Impressionante, ad esempio, è quanto i flussi di commercio internazionali americani si siano spostati rapidamente dalla Cina a paesi “amici” come il Vietnam, Taiwan o il Messico (vedi figura 1), anche se al costo di catene del valore più inefficienti e soprattutto del fatto che molte delle aziende di questi paesi sono in mano cinese. Speriamo allora che un mondo più globalizzato e maturo (anche in termini anagrafici) ci salvi dai disastri che i nostri nonni furono costretti a subire.  

Figura 1 – Variazione delle quote di mercato delle importazioni americane (2017-2022) 

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  1. Savino

    Putin ha una miriade di torti e responsabilità, ma ciò che lo tiene politicamente a galla e l’affermazione sensata per cui occorre un nuovo ordine mondiale. Oltre alla Cina, si sta sottovalutando il peso specifico che stanno assumendo nella geopolitica l’India, alcuni Paesi del Sudamerica (Brasile in primis, ma anche Argentina e altri non coinvolti sul piano del reddito pro capite) e i Paesi Arabi. All’interno dell’Europa grande rilevanza la hanno i Paesi che completano il blocco, come Svezia e Finlandia, e potrebbe tornare utile, per uno sviluppo a 360 gradi, il coinvolgimento della stessa Svizzera.

  2. Savino

    Putin ha una miriade di torti e responsabilità, ma ciò che lo tiene politicamente a galla è l’affermazione sensata per cui occorre un nuovo ordine mondiale. Oltre alla Cina, si sta sottovalutando il peso specifico che stanno assumendo nella geopolitica l’India, alcuni Paesi del Sudamerica (Brasile in primis, ma anche Argentina e altri non coinvolti sul piano del reddito pro capite) e i Paesi Arabi. All’interno dell’Europa grande rilevanza la hanno i Paesi che completano il blocco, come Svezia e Finlandia, e potrebbe tornare utile, per uno sviluppo a 360 gradi, il coinvolgimento della stessa Svizzera.

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