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Migranti in Albania: un accordo identitario

Ammesso che riesca a superare il vaglio di istituzioni europee e corti di giustizia, l’accordo con l’Albania sui migranti si scontra con varie difficoltà di attuazione. Non ci sarà l’effetto deterrenza perché non fermerà chi fugge da situazioni drammatiche.

Un difficile percorso di convalida

Giorgia Meloni e il suo governo avevano bisogno di riprendere l’iniziativa sul fronte sbarchi, dopo i magri risultati dei ripetuti viaggi in Tunisia e dei vertici europei. Anzi, a quanto si legge, la presidente del Consiglio avrebbe addirittura agito all’insaputa dei suoi alleati politici, per potersi intestare pienamente i presunti meriti dell’accordo con l’Albania.

L’intesa riecheggia il modello britannico dell’accordo con il Ruanda e i tentativi analoghi di Danimarca e, più recentemente, Austria: trasferire gli obblighi di accoglienza dei richiedenti asilo in paesi terzi, abbastanza deboli e bisognosi di sostegno economico e politico da non potersi sottrarre e abbastanza poveri da rappresentare un deterrente per i profughi in arrivo.

Come nel caso britannico, il governo si prepara ad adottare un doppio linguaggio: dirà alle istituzioni europee, alle corti di giustizia e al parlamento di essere pienamente rispettoso degli obblighi umanitari e di avere inteso risolvere un problema di capacità di accoglienza, mentre dirà all’opinione pubblica, anche grazie ai media amici, che con la minaccia di deportazione in Albania infliggerà un colpo micidiale a quella che definisce senza esitazioni immigrazione illegale o, peggio, clandestina. L’intento della deterrenza traspare dalla precisazione che donne incinte, minori e persone fragili non verranno dirottate verso il paese delle Aquile.

Ma l’analogia con il caso britannico comporta anche il rischio di incidenti di percorso con le corti di giustizia, tanto che il governo di Londra non è ancora riuscito a trasferire in Ruanda un solo profugo. Il problema essenziale è quindi il rispetto dei diritti umani fondamentali, della Costituzione e delle convenzioni internazionali sull’argomento. A giudicare dai precedenti, l’accordo non avrà vita facile nel suo percorso di convalida.

Le difficoltà pratiche

Vorrei però aggiungere alcune questioni pratiche che investono la capacità di attuazione effettiva delle disposizioni dell’accordo. Anzitutto c’è il problema dei destinatari della misura: ragionando sui dati relativi agli sbarchi del 2023, coloro che sono stati tratti in salvo in mare, vengono da paesi classificati come sicuri e non appartengono alle categorie meritevoli di protezione sono circa il 10 per cento del totale. Sull’altro versante, l’accordo prevede di realizzare strutture di accoglienza per 3 mila persone e di riuscire a trattare 36-39 mila casi all’anno, con un tempo di quattro settimane l’uno. Ma i tempi medi di risposta alle domande di asilo sono di 18 mesi. I profughi potrebbero rimanere a lungo bloccati in Albania, ingolfando i centri di accoglienza.

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Una giustificazione della misura è l’aumento della capacità di accoglienza di un sistema in permanente affanno, ma è un po’ curioso che si pensi che un piccolo paese di 2,8 milioni di abitanti sia in grado di affrontare il problema meglio di un paese di 60 milioni di abitanti e con ben altre risorse economiche e istituzionali.

Secondo le prime cifre circolate, l’accordo costerà qualcosa come 16 milioni di euro all’anno, cifra probabilmente sottostimata perché si aggiungeranno altri costi, di trasporto, sorveglianza, servizi medici e altro ancora. Fra l’altro, posti di lavoro e indotto – per la fornitura di cibo, per esempio – non ricadranno sul territorio italiano. Ci saranno inoltre costi politici: come la Turchia, l’Albania vorrà qualcosa in cambio, per esempio un più convinto appoggio italiano per l’ingresso nell’Unione europea. Ne abbiamo tenuto conto? Siamo disposti a sopportare questi costi?

C’è poi il problema del dopo. Se otterranno una risposta positiva all’istanza di asilo (nel 2022 il 48 per cento l’ha conseguita in prima istanza, a cui si aggiunge il 72 per cento di chi, in seguito al diniego, ha presentato un ricorso giurisdizionale), potranno entrare in Italia e si sarà perso tempo nel processo d’integrazione causando inutili sofferenze aggiuntive a persone già provate. Se invece l’esito sarà negativo, in teoria dovrebbero essere rimpatriati. Ma la capacità di attuare le espulsioni è notoriamente molto bassa (4.304 persone nel 2022, prevalentemente verso un solo paese, la Tunisia). Se l’espulsione non riuscirà, chi si farà carico delle persone interessate? Il presidente albanese Rama ha già rifiutato di farlo e ha precisato che dovrà pensarci l’Italia. Quindi non è improbabile che in un primo tempo trasferiti in Albania, in un secondo tempo i non molti profughi trattati secondo le disposizioni dell’accordo arrivino comunque quasi tutti in Italia.

Rimane l’effetto deterrenza: far paura ai profughi intenzionati a raggiungere il nostro paese e frenarli o spingerli verso altri lidi. Anche se le corti di giustizia dovessero autorizzare l’accordo, e non fosse in gioco una questione di rispetto dei diritti umani, l’efficacia della minaccia sarebbe poco più di una scommessa. Chi fugge da situazioni per molte ragioni insostenibili non si fermerà tanto facilmente. Forse, alla fine, il principale risultato sarà quello di strappare un applauso alla curva dei tifosi su un tema così identitario e mobilitante. Basta leggere i commenti di certi giornali.

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  1. Savino

    L’ annessione coloniale di una parte di territorio albanese come riconoscenza di quanto avvenuto nel 1991 è qualcosa che non ha precedenti nella storia, ma che ha molto di ideologico nell’impostazione della Presidente del Consiglio, facendo venire in mente l’epoca delle disastrose guerre e campagne di Albania e una sorta di rivendicazione di quel territorio come italiano. Nel merito della questione migranti, si continua a temporeggiare per non fare l’unica cosa utile e necessaria: un piano nazionale di accoglienza e integrazione, da far finanziare alla UE senza lasciare la materia scoperta o utilizzabile da parte di eventuali profittatori, quindi senza lasciarla ai Comuni, alle parrocchie o alle ong, senza lasciarla ai Lucano o ai Soumahoro di turno.

    • bob

      .c’ erano!
      Era sistema SPRAR (Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) gestito dal Ministero degli Interni in collaborazione con i Comuni, e funzionava.
      Aboliti dal cosiddetto Decreto Salvini.
      La politica senza spessore senza etica soprattutto senza scrupoli è la causa di queste tragedie

  2. Mahmoud Abdel

    Oltre la metà di chi richiede asilo ottiene un permesso di soggiorno in Italia non poichè fugge da situazioni drammatiche bensì per via dell’integrazione raggiunta qui nelle more dei lunghi (e costosi per lo Stato) procedimenti giudiziari in merito, esito cui non può addivenirsi se non si è mai toccato il suolo italiano. Questo al netto non solo del fatto che i molti migranti economici saranno disincentivati dal percorrere la tratta centro-mediterranea ma anche che una volta sbarcato in Albania chi comunque la intenti costui proseguirà per la rotta balcanica e più probabile a quel punto sarà una scelta da parte sua di Paesi di arrivo quali Austria e Germania . Molti non accetteranno nemeno di attendere le more della decisione della loro domanda in Albania come invece lo fanno se accolti in Italia. Di certo gli ostacoli burocratici sono molti, effettivamente ancora UK non è riuscita a delocalizzare in Ruanda la gestione di un fenomeno ancor più ingiustificato (il transito illegale unicamente dalla Francia): importante è l’impegno da parte dei vari Governi nel combattere l’arrivo di clandestini e le misure messe in atto ad oggi ed in futuro sono variegate. Staremo a vedere, di certo se non eliminare è un fenomeno che si può fisicamente ridurre rispetto agli imbarazzanti volumi odierni.

  3. Firmin

    Una sola domanda al governo: se in Albania si applicheranno davvero agli immigrati le stesse norme e prassi previste in Italia e si garantiranno le stesse condizioni di vita, cosa ci guadagnamo a stabilire dei centri in Albania piuttosto che in Italia? A parte il costo della manodopera, dei materiali da costruzione e forse del cibo e dell’energia elettrica, non vedo altri vantaggi. Invece prevedo costi esorbitanti per le trasferte di giudici e funzionari. Sorge quindi il legittimo sospetto che costruiremo una Guantanamo all’amatriciana lontano da occhi indiscreti. Forse meglio dei lager libici, ma sotto qualsiasi standard di decenza e umanità.

  4. È evidente che Meloni ha un problema politico: far vedere che riesce a fare qualcosa quanto agli immigrati, togliendoli in parte dalla ns. vista e dopo le tante illusioni sul blocco navale. Questa è, temo, l’unica spiegazione sull’accordo con l’Albania, un tentativo per non perdere il consenso popolare che già comincia ad erodersi. E il governo, e così l’Europa, non affrontano adeguatamente la necessità di creare flussi regolari di immigrati, per far fronte alla domanda dell’economia e alle carenze dovute al calo demografico. Lo stesso MEF ha fatto una previsione: se l’Italia rimarrà ferma, stagnante quanto a sviluppo del PIL, nel tempo pur lungo si arriverà ad un rapporto Debito/Pil fino al 180%.

  5. Pietro

    Recentemente il presidente Rama ha osservato che una struttura progettata per 3000 persone non ne può accogliere 36000 l’anno, come promette il nostro governo, se la permanenza di ciascuno è di 18 mesi. Per raggiungere l’obiettivo del governo, ci vorrebbero procedure di identificazione e decisione che durino una trentina di giorni. Quindi l’accordo, più che incostituzionale, va contro l’aritmetica e la burocrazia.

  6. Carmine Meoli

    Il senatore Tremonti in televisione lo ha detto senza mezzi termini . Una misura per scoraggiare le partenze!

  7. Signo Mauricio. Ottimo articolo.

    Montone
    avvocato stabilito. Milano

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