Scambiare, prevedere, aggregarci e innovare sono attività connaturate all’essere umano. Possono dar luogo a cambiamenti epocali, come la rivoluzione industriale. A volte, però, hanno bisogno di essere governate, come nel caso dell’intelligenza artificiale.
Quando le quattro forze spingono nella stessa direzione
Scambiare, prevedere, aggregarci e innovare sono attività che facciamo da sempre e faremo per sempre. Queste interazioni sociali (le “quattro”) sono forze ancestrali intimamente connesse all’uomo perché derivano da nostre intrinseche peculiarità — rispettivamente, diversità, inclinazione alla previsione, socialità e inventiva. Ciascuna apporta benefici, ma ha anche un lato oscuro, talché esse possono condurci verso disparati livelli di prosperità o miseria.
Quando le “quattro”, rafforzandosi a vicenda, spingono tutte nella giusta direzione, l’umanità raggiunge grandi risultati. Un esempio lampante è la rivoluzione industriale scatenatasi dalla metà del 1700. In quel periodo problemi ce ne furono, eccome. Ma gli esseri umani riuscirono a sfuggire alla millenaria trappola malthusiana, ovvero all’impossibilità di far crescere la produzione sistematicamente più della popolazione (figura 1).
Figura 1 – Andamento demografico e della produzione a livello mondiale
Nel 1700 ci fu una forte accelerazione nel numero di brevetti: se nei suoi primi decenni rimanevano sempre sotto quota cento, un secolo dopo superavano quota mille.
Attività innovativa e aggregazioni come città e imprese produttive si sostennero reciprocamente. L’innovazione permise produzioni di massa che si concentrarono nelle fabbriche, le quali, a loro volta, fecero fiorire città industriali come Liverpool e Manchester. Nel 1900 quasi la metà degli abitanti dei paesi occidentali si era urbanizzata.
Senza l’esistente rete di relazioni commerciali intercontinentali via mare, d’altronde, settori trainanti come il cotone e la ceramica – e le relative innovazioni – non avrebbero raggiunto certe dimensioni. Più in generale, fino al 1800 il commercio internazionale era scarso, con una quota di quello totale (esportazioni più importazioni) sul Pil globale mai oltre il 10 per cento. Da allora, la quota crebbe rapidamente, raggiungendo il 30 per cento a ridosso della prima guerra mondiale.
È infine evidente che l’attività previsiva supportò le altre forze. Non foss’altro perché previsioni sistematicamente errate non avrebbero consentito di ottenere quei risultati.
Quando le “quattro” producono dinamiche negative
Le “quattro” sono dunque interazioni fondamentali che potrebbero aver giocato un ruolo vitale nella rivoluzione industriale e nell’aumento della ricchezza delle nazioni.
Talvolta, però, le forze sono (con)causa di dinamiche potenzialmente insostenibili. E vanno dunque controllate. Ma saggiamente, senza cioè tentare di annichilirle, poiché, essendo le forze intrinseche alla natura umana, ciò sarebbe vano ed esiziale. Letti nell’ottica delle “quattro”, alcuni recenti sviluppi risultano illuminanti.
Guerre e pandemie hanno palesato la fragilità della rete commerciale internazionale. Quest’ultima va dunque rimodellata in base ai nuovi scenari geopolitici che, però, attualmente sono piuttosto fluidi (si pensi alle vicende della nuova Via della seta). La cronaca, invero, suggerisce che globalizzazione e liberalizzazioni potrebbero subire contraccolpi non marginali.
Ora, se la forza che spinge gli scambi internazionali va governata, eccedere con protezionismo e nazionalismi porterebbe a situazioni ancor più insostenibili. Ce lo insegnano in modo vivido i drammi della prima metà del Novecento quando si alternavano, come oggi, pandemie e guerre.
Limitandomi ancora a città e imprese è indubbio che, nelle prime, ingenti flussi migratori rendono complesso trovare un accettabile livello di convivenza sostenibile. Sebbene le città siano aggregazioni che tendono più ad attrarre che a generare i poveri, è intuibile che la presenza di molti cittadini con disparate situazioni economiche può facilmente sfociare in fenomeni d’attrito sociale quali segregazione e gentrificazione. Circa le imprese, le incertezze relative alle catene d’offerta hanno esaltato i problemi d’approvvigionamento. Queste aggregazioni sociali, inoltre, non possono più preoccuparsi solo della competitività, ma sono sempre più insistentemente chiamate a considerare l’ecosostenibilità sia delle loro tecniche produttive, sia dei loro prodotti. Anche le imprese, pertanto, stanno vivendo peculiari problemi di sostenibilità.
Erigere muri e negare i problemi ambientali per gestire certe aggregazioni sociali non è una soluzione valida, specie nel medio-lungo termine. Stesso dicasi però per approcci di natura opposta, ma altrettanto estremi.
L’innovazione può accompagnare in modo proficuo le altre forze anche ai giorni nostri, basta pensare agli scambi via internet o alle innovazioni per la transizione verde di città e imprese. Ma la forza innovativa può accoppiarsi alle altre anche con risultati socialmente costosi.
L’intelligenza artificiale potrebbe portare ai già immaginati scenari urbani distopici in cui c’è un “grande fratello” o in cui i pirati informatici prendono il controllo di cellulari, sistemi domotici, semafori, illuminazione pubblica e altro. Le tecniche di riconoscimento facciale sempre più spinte e quelle sempre più sofisticate degli hacker fanno intendere che l’eventualità non è poi così lontana. Nelle imprese il progresso tecnico tuttora provoca la ormai classica disoccupazione tecnologica, ma oggi sta anche supportando la presenza di nuove posizioni lavorative precarie. Un esempio sono le piattaforme digitali della cosiddetta gig economy dove lavorano – spesso con scarse tutele – fattorini e corrieri.
La forza innovatrice, infine, sta influenzando quella previsiva in modi che possono minare la sostenibilità dei sistemi economici. Il trading basato sull’IA e sull’apprendimento automatico, ad esempio, potrebbe esacerbare rischi e volatilità nei mercati finanziari. Gli algoritmi potrebbero usare gli stessi dati o adottare le stesse strategie e ciò riproporrebbe, in termini post-moderni e informatici, quel classico e psicologico effetto-gregge che è spesso dietro a crisi finanziarie foriere di elevati costi socioeconomici.
Come per le altre forze bisogna cercare di controllare, non di eliminare, quella innovatrice – una soluzione “à la Diogene” non va bene. Se i robot devono replicarci, d’altro canto, allora occorre assicurarci che copino solo la parte migliore di noi.
Insomma, nel gestire le “quattro” è bene seguire l’antico detto in medio stat virtus.
* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente all’autore. Per approfondimenti, si veda il libro del 2022 di Maurizio Bovi intitolato “Why and How Humans Trade, Predict, Aggregate, and Innovate”, edito da Springer.
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Savino
Ci deve essere un’industria, con la produzione di beni, lavorando materie prime, che oggi non c’è più. Ci devono essere mestieri da imparare e fare e non la fuffa che c’è oggi. La contemporaneità è solo fuffa che fa lavorare come dei matti i fattorini che recapitano a chi acquista tutto on line e fa arricchire spropositatamente chi ha fracassato la società con la tecnologia, mentre tutti gli altri fanno la fila alla Caritas per un pasto. Se c’è una guerra oggi da fare è quella alla tecnologia e ai suoi signori del dolore, per farci tornare ad una società più sostenibile sul piano umano e più felice.
bob
La storia non cambia . Alfredo Nobel inventò la dinamite che alleviarono la fatica e le sofferenze di operai e minatori, ma qualcuno pensò di costruirci bombe.
Dioèmortoeiononmisentobene
Direi osservabile come:
– scambi e capacità predittive siano direttamente proporzionali alle condizioni di pace;
– inventiva e, udite udite, aggregazione sociale siano incentivate in condizioni di distruzione sistematica (dal terremoto alla pandemia alla guerra): e quindi in un sistema bellico; salvo rilevare che la distruzione sottrae la ricchezza e lo stimolo, all’inventiva per non dire alla capacità predittiva, dato dalla memoria.
Forse però prima andrebbe rilevato come le quattro forze prerogative vitali considerate siano inserite in un mistero, della vita appunto, dove un ruolo chiave è dato dai meccanismi sensoriali di piacere e ancor più della sofferenza, per cui, un esempio, un certo numero di “interventisti” della Prima Guerra Mondiale, e una Umanità intera dopo la Seconda, ne sortirono con un “Mai Più” che provarono anche a lasciare come consapevolezza di non ritorno ai propri figli e qualsivoglia compaesani, con cui valutare cioè il gioco utile pace-guerra di cui sopra da allora in poi.