L’introduzione dell’euro digitale apre alcune questioni, come i limiti di detenzione sui depositi e la possibilità di corrispondere tassi di interesse. Per il legislatore il problema è definire lo strumento senza ledere l’indipendenza della Bce.
Euro digitale in fase di preparazione
Al termine di una investigation phase durata 24 mesi, il 18 ottobre di quest’anno, la Banca centrale europea ha annunciato l’avvio della preparation phase relativa all’euro digitale. La decisione segue la presentazione, da parte della Commissione europea, di una proposta di regolamento che delinea il perimetro entro cui l’istituto di emissione potrà eventualmente emettere la propria moneta digitale. Francoforte, con la pubblicazione di un’opinione, in linea di massima ha accolto favorevolmente la norma avanzata dal palazzo del Berlaymont, pur sollevando alcune obiezioni — relative agli holding limits e alla possibilità di corrispondere interessi sui depositi — che risultano meritevoli di particolare attenzione.
Le principali criticità
Le monete digitali di banca centrale, come rilevato da più parti, presentano rilevanti potenzialità positive. A queste, tuttavia, si accompagnano anche possibili effetti collaterali riconducibili primariamente a un tema: la disintermediazione bancaria. È stato autorevolmente affermato che un “eccessivo” successo di tali strumenti potrebbe assestare un rilevante colpo agli istituti di credito, con conseguenti rischi relativi alla stabilità finanziaria e alla diminuzione dei fondi con cui erogare credito a cittadini e imprese (posto che, nel caso euro-unitario, la Bce non considera per il momento di impiegare le risorse raccolte per effettuare prestiti).
Il tema, ampiamente dibattuto in dottrina, è stato preso in seria considerazione da Francoforte sin dalla pubblicazione dei progress report in merito all’euro digitale. In quest’ottica, la high-level taskforce della Bce — fino a poche settimane fa guidata da Fabio Panetta — ha indicato come l’istituto di emissione abbia intenzione di introdurre degli holding limits sui depositi, in maniera tale da contenere, soprattutto nella fase iniziale, il rischio di possibili emorragie dai conti correnti privati verso questa inedita forma di denaro pubblico. Per converso, la Banca centrale, nei suoi “stati d’avanzamento”, ha evitato di esprimersi sulla questione della possibile corresponsione di tassi di interessi sui depositi, probabilmente anche alla luce del dibattito — primariamente giuridico — sviluppatosi in merito alla possibilità di prevedere un rendimento su di una forma di denaro assimilata a banconote e monete “tradizionali”.
La soluzione delineata dalla Commissione
Con la proposta di regolamento del 28 giugno 2023, la Commissione europea non ha trascurato il tema della disintermediazione bancaria e, in tal senso, ha previsto alcune significative limitazioni al design di una moneta digitale dell’Eurozona. Negli articoli 15 e 16 del documento, il palazzo del Berlaymont ha sottolineato la rilevanza di limitare l’uso dell’euro digitale come riserva di valore, contemplando i seguenti elementi:
– nel fissare eventuali limiti di detenzione sui depositi, la Bce dovrebbe prestare attenzione prioritaria alla stabilità finanziaria (creando quindi, implicitamente, una gerarchia rispetto alla politica monetaria);
– l’euro digitale, come espressamente stabilito dal paragrafo 8 dell’articolo 16, non potrebbe produrre interessi.
Le ragioni alla base di tali scelte sono argomentate dalla Commissione nei Considerando della proposta di regolamento, laddove il Berlaymont parla dell’esigenza di evitare rischi per la stabilità finanziaria e per “l’erogazione di credito all’economia”, unitamente alla necessità per la Bce di rispettare il principio di “un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza” (come enunciato dall’articolo 127 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).
Queste decisioni, qualora fossero avallate dal legislatore, generebbero notevoli conseguenze: l’euro digitale perderebbe infatti di efficacia rispetto alla conduzione della politica monetaria, così come verrebbe a mancare l’effetto deterrente riguardante la creazione di “cartelli” all’interno del settore bancario (tesi a remunerare in maniera eccessivamente contenuta i conti correnti). Inoltre, una moneta digitale configurata con queste limitazioni potrebbe risultare scarsamente attraente per cittadini e imprese; un aspetto da non sottostimare, tenendo presente come, allo stato attuale, la conoscenza della popolazione sul tema appaia davvero molto limitata.
Non c’è quindi da sorprendersi del fatto che diversi studiosi abbiano suonato un campanello d’allarme, affermando che queste previsioni normative rischierebbero di indirizzare il progetto relativo all’euro digitale verso un fallimento. Per quanto il timore della Commissione risulti condivisibile, la soluzione adottata apparirebbe sproporzionata al fine che si vuole perseguire, ingessando eccessivamente l’operatività futura della Bce su di uno strumento dalle potenzialità ancora difficili da stimare.
Le obiezioni di Francoforte
Con la pubblicazione dell’opinione del 31 ottobre — richiesta da Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 133 Tfue — la Bce ha quindi espresso un primo approfondito parere sulla proposta di regolamento avanzata dalla Commissione. Per quanto accolga favorevolmente il testo delineato da Bruxelles, l’istituto di emissione solleva, con tono felpato, alcune obiezioni dalla portata non trascurabile.
In primo luogo, Francoforte, pur rimarcando l’intenzione di applicare e mantenere holding limits, rivendica la sua discrezionalità nel determinarne le soglie e sottolinea la sua competenza primaria nel perseguire la stabilità dei prezzi, elemento che renderebbe impossibile, per l’istituto di emissione, assoggettare aprioristicamente — su questo tema come su qualsiasi altro — la conduzione della politica monetaria alla tutela della stabilità finanziaria.
In secondo luogo, la Banca centrale si concentra sul divieto di riconoscere tassi di interesse sui depositi, presentando il rilievo probabilmente più interessante. Pur sottolineando il fatto che, per diverse ragioni, non intende remunerare l’euro digitale, l’istituto di emissione sostiene che sarebbe inappropriato stabilire un vincolo rigido su questo tema, risultando impossibile escludere fin d’ora che in un contesto futuro la remunerazione possa risultare utile (e forse necessaria) al fine di perseguire la stabilità dei prezzi. Inoltre (e qui il tono si fa meno felpato), la Bce ricorda alla Commissione come l’istituto di emissione debba mantenere il controllo sulla remunerazione di ogni sua passività, affermando in aggiunta che, qualora anche ci dovesse essere una norma che stabilisce in modo netto l’impossibilità per la Banca centrale di corrispondere interessi sui depositi, Francoforte rimarrebbe comunque libera di farlo, alla luce della competenza attribuitale in materia di politica monetaria da parte dei Trattati (fonte che prevale su qualsiasi atto di diritto derivato).
La strada è ancora lunga
Con tale parere — che, a chi scrive, risulta su alcuni punti ragionevole — la Bce apre, seppur pacatamente, una prima faglia nell’apparente idillio che ha finora caratterizzato la discussione fra istituzioni euro-unitarie in merito all’euro digitale.
I temi in discussione hanno rilevanza da un punto di vista economico ma, come facilmente intuibile, interessano anche l’ambito giuridico-politologico: da un lato, infatti, si palesa la questione relativa alla possibilità di remunerare una banconota “dematerializzata”, mentre, dall’altro, si deve ragionare in merito a quanto il legislatore possa incidere sulla definizione di questo strumento senza ledere l’indipendenza della Bce, stabilita dall’articolo 130 del Tfue. In quest’ottica, non va inoltre trascurato come si profilino all’orizzonte le elezioni europee, con la possibilità di un significativo rimescolamento di forze all’interno di Parlamento e Commissione da cui potrebbe derivare una mutata sensibilità sul tema (il gruppo Ecr, a cui partecipa Fratelli d’Italia, si è espresso in maniera alquanto scettica rispetto all’utilità del complessivo progetto).
La questione euro digitale, pertanto, è ancora tutta da decidere e Piero Cipollone, subentrato a Panetta all’interno del Comitato esecutivo della Bce, avrà il suo bel da fare nel trovare un compromesso fra gli innumerevoli interessi coinvolti.
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Michele
Caro Dott. Bursi,
Questa e’ una storia interessante. Le banche centrali pero’ non sembrano interessate ad usare blockchain, per cui direi che le valute digitali gia’ esistono in termini di ACH network.
Sarei interessato a leggere un Suo futuro articolo su “A che servirebbero le monete digitali delle banche centrali?” Io ci penso da anni e non riesco a trovare un’utilita’.
Grazie!
Matteo Bursi
Buongiorno Michele,
grazie a lei per il commento.
Ho scritto un articolo sulla rivista Federalismi dal titolo “Euro Digitale: una questione di sovranità”.
In quel paper, ho cercato di delineare la possibile utilità di una Moneta Digitale di Banca Centrale emessa da Francoforte.
Spero nello scritto in oggetto di fornire una risposta al suo quesito.