L’Ilva torna in amministrazione straordinaria. Non sarà facile trovare un nuovo socio. Anche perché due possibili pretendenti sono già impegnati su altri impianti, sempre con il contributo dello stato. Da evitare una concorrenza tra Taranto e Piombino.
Tornano i commissari
Per altre imprese, l’amministrazione straordinaria è uno stato – appunto – straordinario. Per Ilva, sembra ormai la normalità. L’azienda era entrata in amministrazione straordinaria nel 2015, ne era uscita faticosamente nel 2019 e ora purtroppo sembra ritornare in questo limbo. Pare che dovremo attendere la nomina di tre nuovi commissari, e vedremo di quali strumenti saranno dotati. Si dice che il governo voglia introdurre misure “rafforzate” per dare a questa modalità di amministrazione temporanea strumenti più adatti ad affrontare la situazione dell’impresa (Ilva ora, ma forse altre imprese nel futuro) e vedremo di cosa si tratta.
Purtroppo, tradizionalmente si tratta di soluzioni ponte nelle quali si sopravvive in attesa di un “cavaliere bianco” (l’equivalente finanziario di un principe azzurro) che salva l’azienda con risorse fresche e soprattutto con un nuovo piano industriale. Peccato che il cavaliere bianco del 2019 (il colosso Arcelor Mittal) non si sia rivelato un partner fantastico, né d’altronde lo stato italiano lo ha esattamente trattato con i guanti bianchi.
La storia dello scudo penale rispetto alle responsabilità ambientali è nota. Purtroppo, grazie a norme a dir poco controverse, l’acquirente dell’impianto sarebbe stato responsabile anche delle eventuali nefandezze ambientali di chi lo aveva preceduto. E non solo dal punto di vista economico (costo delle bonifiche o riparazione dei danni ambientali), ma anche da quello penale. E mentre i costi – anche se astronomici – possono essere comunque compensati o coperti da qualche forma di assicurazione, le responsabilità penali restano in capo agli individui. E senza scudo penale la nuova proprietà sarebbe stata esposta a rischi non assicurabili.
Da qui, la necessità di strutture contrattuali e proprietarie complesse, nelle quali – ancora oggi – la proprietà pubblica è tuttora presente. È un peccato, comunque, che l’opzione che era stata accarezzata – un aumento di capitale di 320 milioni a carico della parte pubblica (Invitalia), che avrebbe condotto a una maggioranza in mano pubblica – non si sia concretizzata. Ma chiaramente Mittal non aveva alcuna intenzione di mettere i quattrini, né vede di buon occhio l’idea di restare come azionista di minoranza (poco tutelato, nel nostro ordinamento) con il controllo in mano pubblica; oppure vuole ottenere qualcosa per consentire questo passaggio. Purtroppo, gli accordi con Mittal sono del tutto riservati, il che pone chiaramente un limite a quanto possiamo dire circa le alternative sul tavolo.
Le prospettive
Meglio far fallire Ilva, per Mittal? Diciamo che l’amministrazione straordinaria è probabilmente necessaria per garantire i creditori, a partire da Snam, a cui Ilva non riesce a pagare il gas, fino agli autotrasportatori, che spesso sono imprese piccole che non possono accettare ulteriori ritardi nei pagamenti. Ma non può essere una soluzione per molto tempo.
Da qui in poi, il futuro è incerto. Da un lato, il tentativo di aumento di capitale significa che un cavaliere pronto a prendersi l’Ilva c’è, il che è una buona notizia. La brutta notizia è che – ancora una volta – si tratta dello stato italiano. E si tratta di capire se la proprietà pubblica rappresenta la soluzione “definitiva” per Ilva, o se ha senso sperare in un nuovo investitore privato, per il quale pare servirà una gara pubblica, cosa che prenderà almeno un anno.
Il problema è che gli azionisti capaci di tirar fuori alcune centinaia di milioni per un’acciaieria non sono tantissimi. Il settore non è tranquillo. I prezzi sono saliti molto, ma ora sono scesi in parte. Anche i costi (dell’energia, in particolare, molto importante per la produzione di acciaio) sono impazziti nel biennio 2021-2022, salvo poi ridursi di molto. Gli ultimi due anni sono stati buoni e i margini ci sono, ma sono sempre in balia dei mercati internazionali e di quei paesi, non sempre amici, che avrebbero il gas, ma lo usano come arma di ricatto, o che mettono a repentaglio le rotte delle navi (anche gasiere). Con questa incertezza, non sarà facile trovare qualcuno.
Taranto in concorrenza con Piombino?
È interessante, allora, considerare cosa avviene in un altro polo storico dell’acciaio italiano, ossia Piombino, dove da tempo la Lucchini ha lasciato il passo a imprese estere – prima i russi, ora gli indiani della Jindal (o Jsv Steel). Mentre il governo a Taranto faticherà, e molto, a trovare un investitore, Piombino sembra invece uscire dal limbo, con il rilancio della Jsv Steel e addirittura un secondo investitore per un nuovo impianto. Il secondo progetto vede Danieli al fianco di un grosso investitore internazionale quale Metinvest (quello che aveva Azovstal, che per l’invasione russa faticherà a riprendere le operazioni). Per il secondo progetto si parla di investimenti dell’ordine di 2,2 miliardi di euro per 2,7 tonnellate di capacità produttiva annua, il tutto coordinato dal ministero. In sostanza, due acciaierie una accanto all’altra, sperando che Jindal non punti i piedi rispetto alla liberazione di alcune aree.
Chi troppo, chi troppo poco? Parrebbe. Ed è curioso, perché a un certo punto Metinvest sembrava interessata a Ilva, ciò che non pare compatibile con un importante investimento già programmato altrove, nello stesso paese. Quindi, con Arcelor abbiamo litigato, Metinvest e Jindal li ospitiamo già a Piombino, i russi sono chiaramente improponibili: non restano tanti altri candidati.
Da un lato, è ragionevole che un investitore preferisca Piombino a Taranto (o una regione all’altra) se ritiene che in quel luogo vi siano condizioni logistiche o ambientali migliori. Ma la presenza del patronato governativo dietro il progetto toscano fa quasi sembrare che il governo a Piombino faccia concorrenza al governo a Taranto.
Le due partite sembrano entrambe complesse e non destinate a concludersi rapidamente, e sono interconnesse. L’acciaio italiano sembra prosperare a Brescia e in generale nel mercato italiano, dove l’analisi annuale di Siderweb conferma che i margini 2021-2022 sono buoni e che il 2023 è stato complicato ma più che sostenibile. Quanto agli altri due poli, o si arriva a un genuino coordinamento dall’alto, o il cortocircuito delle politiche pubbliche diventa un rischio molto concreto.
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Savino
Non si discute la tematica ambientale e la necessità di un modello produttivo green e sostenibile, ma sorgono tutti i dubbi relativamente alla presenza della volontà politica di continuare ad avere in Italia un settore strategico quale è la siderurgia. Dubbi che vengono accentuati se si considera che è stata intrapresa la tortuosa via del commissario straordinario pur in presenza di necessità sociali e socio-economiche ben precise. Introdurre forzatamente il fattore “mercato”, in questo caso, vuol dire farla difficile e vuol dire complicarsi la strada. Chi pensa al “mercato” in questo momento non avverte i problemi e passa da raffinato liberista a schizzinoso.
Marco
1. Decarbonizzazione
2 Riconversione degli impianti
3 Cambio generazionale con profilo tecnico/evolutivo
4 Piano industriale e strategie economica/industriale
5 Cambio dei vertici dirigenziali
6 Bonifiche, smaltimento degli impianti obsoleti ed ecosostenibilità a 360 gradi
7 Controllo del livello dello stato mentale e di salute di tutti i lavoratori martoriati e mobbingzzati da un decennio a questa parte
8 Screening di tutta la popolazione Tarantina e paesi limitrofi
9 Impianti sotto sequestro
Morale: chi investitore è pronto ad intraprendere tutto ciò?