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Se alcuni rifugiati sono più uguali degli altri

Verso i rifugiati abbiamo sempre lo stesso atteggiamento o siamo più generosi nei confronti di quelli che appaiono più vicini a noi culturalmente ed etnicamente? I risultati di un’indagine fanno propendere per la seconda ipotesi. Il peso della politica.

L’atteggiamento verso i rifugiati

Nel suo spettacolo “Amore+Iva”, Checco Zalone impersona una signora della “Bari bene” che vorrebbe ospitare una donna profuga. La signora chiede all’organizzazione che di questo si occupa di poter ospitare una donna ucraina. Le viene risposto che “le ucraine sono finite”, ma ci sarebbe una ragazza siriana. A quel punto Zalone/signora benpensante replica che, ecco, purtroppo, non può prendere la donna siriana perché il colore della sua pelle non si abbina a quello del parquet di casa.

Alcune dichiarazioni seguite all’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio del 2022, e del conseguente flusso di profughi, non sono poi così diverse da quelle della signora di Zalone. L’ex primo ministro bulgaro disse che “Gli ucraini sono europei (…) sono persone intelligenti, istruite. Questa non è l’ondata di profughi (…) con un passato oscuro, che avrebbero potuto essere anche dei terroristi”. Un corrispondente della Cbs dichiarò: “L’Ucraina non è un luogo, con tutto il rispetto, come l’Iraq o l’Afghanistan (…) Questa [Kiev] è una città relativamente civilizzata, relativamente europea”.

In un diverso contesto, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sostenuto che l’Italia avrebbe dovuto “prendere” migranti dal Venezuela, perché molti sono di origine italiana e cristiana, e quindi, di nuovo, “come noi”.

Si tratta di aneddoti, oppure esiste nella popolazione una sistematica preferenza per alcuni tipi di persone che fuggono da guerra e violenza rispetto ad altri?

L’indagine

In una ricerca recente, abbiamo reclutato un campione rappresentativo di 4.087 residenti in Italia e abbiamo distribuito loro un questionario online. In aggiunta al gettone di partecipazione, abbiamo dato loro un ulteriore bonus di un euro. Abbiamo poi diviso in maniera casuale il campione in tre gruppi. A ogni membro del primo gruppo, il questionario offriva la possibilità di donare una parte del bonus a un’organizzazione che si prende cura di persone italiane vittime di violenza. Al secondo e al terzo gruppo abbiamo invece dato la possibilità di donare a un’organizzazione che si occupa dell’accoglienza di rifugiati dall’Ucraina e di rifugiati da paesi africani in guerra, rispettivamente. In ciascun gruppo, oltre a chiedere a ogni partecipante quanto del bonus assegnato volessero donare, abbiamo chiesto di indicare, qualora la donazione fosse positiva, la percentuale della donazione da destinare ad acquisti di beni di prima necessità (come prodotti per la cura della persona o biglietti per i mezzi di trasporto pubblici) e quale percentuale della donazione da versare direttamente in contanti ai beneficiari.

Il primo obiettivo di questo disegno sperimentale è di studiare se la propensione a donare, vista come una misura di attitudine verso un tipo di beneficiari, dipendesse appunto dalla “distanza” fra il partecipante e il destinatario e se questa distanza portasse a una gerarchia delle preferenze. Coloro che hanno la possibilità di donare ad altri italiani donano di più rispetto a coloro a cui viene proposto di donare a stranieri? E tra questi ultimi, c’è differenza nella propensione a donare ai rifugiati ucraini, presumibilmente il gruppo percepito come meno distante, e ai rifugiati africani, visti come culturalmente ed etnicamente più lontani?

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L’evidenza del nostro studio è che i partecipanti chiamati a donare ad altri italiani offrono di più di quelli assegnati a rifugiati stranieri (figura 1). Il risultato conferma l’ipotesi, verificata in altri studi in economia e psicologia sociale, di preferenza per individui del gruppo di appartenenza. Benché non emerga una differenza fra quanto donato in media a rifugiati ucraini e africani in termini di donazioni totali (circa 47 centesimi di euro in entrambi i casi contro 55 centesimi donati agli italiani), i contributi in contanti sono significativamente minori per i destinatari africani (21,7 per cento) rispetto agli ucraini (25,5 per cento). Per questi ultimi, la percentuale è quasi equivalente a quella degli italiani (26,1 per cento).

Figura 1 – Donazione totale, e percentuale della donazione in contanti, per tipo di beneficiario

Donazioni in contanti e in beni di prima necessità

A parità di totale donato, la suddivisione fra contanti e beni in natura evidenzia il grado di fiducia che il partecipante ripone nel “buon uso” del denaro da parte dei beneficiari. Chi dona in natura di fatto decide per il destinatario come usare il contributo. Donando direttamente contanti, al contrario, si esprime implicitamente la fiducia che il destinatario userà la sua maggior flessibilità per gli usi che ritiene migliori. Interrogati infatti su come prevedevano che i beneficiari avrebbero usato il contante, coloro che hanno scelto di non dare denaro contante prevedono con maggiore frequenza acquisti come alcol, sigarette o droghe (figura 2). Al contrario, coloro che hanno scelto di donare almeno una certa somma in contanti confidano maggiormente che il denaro venga usato per l’acquisto di beni necessari. Inoltre, la percezione che una donazione in contanti venga investita nell’acquisto di beni di prima necessità risulta maggiore fra il gruppo di intervistati assegnato a donare agli ucraini rispetto al gruppo assegnato a donare agli africani. Esiste, quindi, una percezione più negativa verso il gruppo di stranieri che presumibilmente viene percepito come più distante, dettata da un maggiore pregiudizio o minore fiducia verso questi ultimi.

Figura 2 – Percentuale di partecipanti che indicano diverse categorie di beni che i beneficiari acquisterebbero con una donazione in contanti, per tipo di donazione e beneficiario

Nota: Per identificare i riferimenti ai beni di prima necessità, abbiamo considerato risposte contenenti termini quali “cibo”, “abbigliamento”, “salute”, “necessario”, e simili. Per i beni nocivi, abbiamo incluso menzioni di “alcol”, “sigarette”, “droghe”, “gioco d’azzardo”, “armi”, e simili.

Quanto incide l’orientamento politico

La diversa disposizione verso i diversi gruppi etnici, a sua volta, dipende dall’orientamento politico del partecipante. La minore generosità e maggiore sfiducia verso gruppi più distanti caratterizza principalmente gli individui che hanno riportato un orientamento politico di centro-destra; per le persone che si dichiarano di sinistra questa gerarchia di preferenze non appare. Diversi studi nel campo della psicologia dei fondamenti morali hanno rilevato che persone di orientamento politico e sociale conservatore tendono a essere più individualisti e localisti, e valorizzano la lealtà verso il gruppo di appartenenza. Chi si dichiara progressista, al contrario, ha più a cuore principi come la cura dell’altro e l’uguaglianza di trattamento. Il nostro studio mostra come queste credenze si riflettano nel modo in cui affrontiamo uno dei principali processi del nostro tempo, e cioè i flussi migratori e le crisi umanitarie.

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Il ruolo delle politiche europee

Un secondo obiettivo della nostra ricerca era di analizzare il ruolo che le politiche migratorie europee possono avere nel determinare le attitudini verso i rifugiati.

Prima della donazione, abbiamo ulteriormente diviso i partecipanti assegnati a beneficiari ucraini o africani in due sottogruppi. A un sottogruppo abbiamo fornito informazioni su una riforma attuata a livello europeo sulla gestione dei rifugiati e su una diversa distribuzione fra paesi che non gravasse solo su quello di primo arrivo, nello spirito della direttiva sulla protezione temporanea 2001/55/Ce. L’informazione includeva anche la possibilità che la riforma, introdotta per rispondere al flusso di profughi dall’Ucraina, in futuro potrebbe essere adottata per la redistribuzione di tutti i rifugiati su scala Ue.

Fornire queste informazioni non ha avuto alcun impatto sul livello di donazione, né a favore dei rifugiati ucraini né dei rifugiati africani. Non sembra che le istituzioni possano migliorare le attitudini dei cittadini con le riforme. La predisposizione verso i migranti e i rifugiati, e le differenze a seconda della loro provenienza, pare derivare da visioni del mondo radicate e, di conseguenza, difficili da mutare.

Se crediamo che, in un mondo sempre più connesso ed eterogeneo, l’apertura al diverso possa portare vantaggi alla nostra società, allora l’istruzione e l’educazione civica potrebbero aiutare a ridurre l’eccesso di chiusura e diffidenza (nel nostro studio troviamo che le persone più istruite si dimostrano più generose verso i rifugiati). Si tratta di processi di lungo periodo, che richiedono anni e forse generazioni. Nel frattempo, è ragionevole aspettarsi che continui la speculazione politico-elettorale contro i “diversi”, particolarmente efficace quando una parte della popolazione mostra convinzioni radicate che i messaggi politici possono stimolare a loro piacimento e beneficio.

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  1. Savino

    Il risultato di una società dal benessere diffuso, che passa le giornate acquistando on line, dalla cena di stasera alla villa con piscina. Non abbiamo voglia di produrre, non abbiamo voglia di rischiare, non facciamo figli per svariati motivi, siamo diventati solo apatici e rancorosi. In tutto questo, lasciamo almeno che siano altre persone, provenienti da altri popoli, a sognare e a desiderare una vita migliore, tanto noi mi pare che il senso e il senno della vita lo abbiamo perduto da tempo.

  2. aldo

    Mi chiedo che senso abbia continuare a parlare di “apertura al diverso”, “eccesso di chiusura e diffidenza” (con la solita notazione classista “le persone più istruite si dimostrano più generose verso i rifugiati”: forse perchè non ci abitano porta a porta?) quando in Italia ci troviamo di fronte a questa situazione: https://www.wired.it/article/giovani-cervelli-in-fuga-italia-europa-numeri/
    . E’ ovvio che la speculazione politico-elettorale contro i “diversi” prosegua e si amplifichi, visto che nel concreto nessuno fa nulla, tranne lasciar morire questo Paese.

  3. Mahmoud Abdel

    Premesso che anche in questo articolo, figurarsi nella testa dei non addetti ai lavori, si fa molta confusione tra “rifugiati” (che si presumono tali ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, per inciso pochissimi ucraini i quali provenendo da Paese in guerra godono difatti in larga parte invece della protezione c.d. sussidiaria), profughi, sfollati, migranti ed altri termini, questo esperimento mi pare restituisca percentuali molto simili, del tutto analoghe trattandosi di persone differenti in ciascuno dei gruppi, rispetto alla propensione a donare nei confronti delle differenti categorie di persone proposte.

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