L’agricoltura europea riceve sussidi elevati dalla Pac e, dopo le ultime proteste, arriveranno altre risorse. I fondi pubblici dovrebbero invece sostenere la transizione ecologica e nuovi processi di produzione, più redditizi anche per gli agricoltori.
Quante risorse all’agricoltura europea
Le proteste delle ultime settimane degli agricoltori, in Italia e nel resto d’Europa, hanno messo in evidenza ancora una volta l’importante peso politico di questa categoria economica. Sia a livello nazionale che europeo, le proteste hanno ottenuto forti concessioni economiche e regolamentari, talvolta veri e propri voltafaccia politici. A provocare la protesta sono, da un lato, i costi dell’energia e dei fertilizzanti, che rimangono elevati a causa della guerra in Ucraina. Dall’altro, però, le contestazioni sono forse una delle avvisaglie più evidenti della conflittualità sociale che può emergere dalla transizione ecologica.
Il ruolo strategico dell’agricoltura nel mantenimento del territorio rurale e nel fornire beni alimentari a un prezzo accessibile garantisce al settore un supporto dai governi di tutto il mondo: in totale 850 miliardi di dollari all’anno nel periodo 2020-2022, di cui 518 miliardi messi sul piatto direttamente dai bilanci pubblici e il rimanente pagati dai consumatori sotto forma di più alti prezzi al consumo a causa di altre azioni di politica pubblica (ad esempio dazi alle importazioni). Del totale, solo il 12,5 per cento va in investimenti in innovazione, infrastrutture o biodiversità, mentre quasi tutto il resto è supporto diretto ai produttori.
Nell’Unione europea, per quanto si spenda oggi significativamente meno che nel 2000-2002, il sussidio totale all’agricoltura equivale ancora a un quinto dell’intero valore della produzione agricola (figura 1b). La stessa cifra corrisponde ogni anno allo 0,6 per cento del Pil, pari a quanto i governi Ue spendono in edilizia pubblica, e un po’ meno di quanto spendono in protezione dell’ambiente (0,8 per cento).
Figura 1 – Il supporto governativo all’agricoltura è diminuito nel tempo ma rimane ingente
Dal punto di vista economico, un supporto pubblico all’agricoltura è giustificato dalle condizioni climatiche cui il settore è soggetto e dal tempo di crescita di certi prodotti agricoli, che generano incertezza e dalle quali gli agricoltori si possono proteggere solo in parte.
Dati alla mano, il reddito da attività agricole – se inteso come reddito dell’imprenditore agricolo per unità di lavoro effettivo – è inferiore a quello di un lavoratore medio. Tuttavia, il dato nasconde profonde differenze tra imprese agricole, e non considera che molti agricoltori, soprattutto nelle aziende familiari più piccole, guadagnano un ulteriore reddito da attività correlate all’agricoltura (l’agriturismo, per esempio). Infine, il solo reddito medio per occupato nel settore è cresciuto significativamente: del 48 per cento dal 2007 al 2020 e del 3,5 per cento all’anno dal 2020.
Per il periodo 2021-2027, la Politica agricola comunitaria elargirà 290 miliardi di euro di supporto diretto ai produttori della Ue; per l’Italia sono previsti 4,2 miliardi di euro l’anno (dati Parlamento europeo 2022), corrispondenti a circa 4.600 euro l’anno per ciascun occupato nel settore. La Pac assorbe così il 33 per cento del bilancio dell’Unione europea e, nonostante la progressiva riduzione avvenuta nei decenni, ne rimane la voce di spesa più importante, ben al di sopra di altri programmi potenzialmente strategici come quelli per l’innovazione, il digitale e il mercato unico (13 per cento del bilancio), o la politica estera europea e di allargamento (10 per cento).
Un grave impatto ambientale
Poche di queste stesse risorse sono indirizzate alla riduzione dei gas serra dell’agricoltura, e non hanno contribuito significativamente a tale sforzo. Nel 2021 l’agricoltura produceva ancora l’11 per cento di tutte le emissioni di gas serra del continente, pur rappresentando poco più del 4 per cento dell’occupazione. La riduzione si è limitata al 10 per cento delle emissioni del 1990, e non ne è stata registrata alcuna vera dal 2012 in poi.
Figura 2 – Le emissioni di gas serra dall’agricoltura sono ancora elevate
Come intervenire
Che soluzioni possiamo immaginare? Difficile riassumere qui le numerose iniziative possibili per limitare l’impatto ambientale dell’agricoltura, per le quali si rimanda per esempio a un’analisi dell’Ocse. Ma poiché si è parlato di risorse, si potrebbe per esempio reindirizzare una parte maggiore del supporto pubblico già disponibile verso azioni per affrontare la transizione ecologica. Si può anche pensare – nel limite di quello che il territorio può dare – di cambiare la composizione del prodotto coltivato. Ci sono colture e allevamenti che garantiscono in media maggiore produttività e migliori ritorni economici. Questo può anche aiutare a battere la concorrenza di alcuni grandi paesi che si affacciano ora al mercato europeo, come l’Ucraina o il Brasile.
Ma cambiare il modo di produrre richiede soprattutto investimenti. Nel 2020 più della metà delle imprese agricole nell’Unione europea ha coltivato meno di 10 ettari, cioè una superficie di poco più di 300 metri per lato, e tipicamente ha consumato la metà della propria produzione per auto-sostentamento. Dato che le imprese piccole hanno particolare difficoltà a investire, si può pensare a un consolidamento di più aziende in un’entità più grande, sia essa una cooperativa, un consorzio, o una fusione di più aziende. Peraltro, si tratta di un trend già in atto.
Imprese più grandi sono anche mediamente più produttive, innovative e con maggiore potenziale di crescita, il che può tradursi in più bassi prezzi al consumo e maggiore occupazione nel settore, a parità di qualità prodotta. Per qualche ragione, purtroppo, l’Italia è uno di cinque paesi della Ue nei quali la produttività dei fattori di produzione nel settore agricolo è diminuita tra il 2011 e il 2019, assieme a Grecia, Malta, Cipro e Danimarca.
Riassumendo, il settore agricolo europeo ha ottenuto di recente nuove vittorie politiche, che si sommano alle ingenti risorse già spese a suo supporto, e nonostante un impatto ambientale importante e pressoché costante nel tempo. Ben presto si dovranno poi aggiungere risorse pubbliche per affrontare le conseguenze di fenomeni metereologici estremi e dell’erosione del suolo e delle coste. Forse è tempo di pensare a riforme più incisive delle politiche pubbliche nel settore.
* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire solamente all’autore e strettamente personali.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Savino
E’ stato rilanciato solo l’assistenzialismo pubblico, mentre i contenuti del settore primario sono andati indietro, se pensiamo che è stata giudicata come una vittoria il ritiro dei provvedimenti UE sui pesticidi, cioè quella da ritenersi come una sconfitta per tutti i consumatori.
Carmelo Sicuranza
Credo che al settore primario europeo vada riconosciuta la giusta dignità. In fondo è stata una delle prime forme di aggregazione a livello europeo, non mi sembra ci sia una Politica Fiscale Comune a differenza della Politica Agricola Comune. Sussidiare il settore significa anche garantire il presidio del territorio, limitare quindi i rischi incendi, alluvioni e frane. Ricordo anche l’importanza paesaggistica che tale attività ha. Il problema della dimensione aziendale è chiaramente trasversale a tutti i settori ma in questo caso ciò che spesso si perde, rinunciando ad economia di scala, lo si guadagna in qualità ed è proprio sulla qualità che bisogna continuare ad investire. Ciò non significa che l’aggregazione non debba essere perseguita a tutti i costi ma deve essere a supporto della qualità. L’Italia nel mondo si distingue positivamente per le eccellenze gastronomiche oltre che per tante altre qualità (arte, moda, storia…). Eccellenze che vengono dalla Terra. Il tendere ad un’agricoltura esclusivamente industriale potrebbe minare il nostro primato, vedi peste suina, aviaria, mucca pazza etc . Per favorire la transizione ecologica bisognerà attendere la disponibilità di un parco macchine capace di utilizzare le energie rinnovabili cosa ancora non possibile. Se devo comprare un’automobile posso decidere con cosa alimentarla, se devo acquistare un trattore, scelte alternative non ce ne sono al momento. In ultimo, nonostante il settore sia sicuramente ad alta intensità di aiuti è nella cultura comune la non attrattività, spesso lo si sceglie per ripiego o incentivi e non per incoraggianti prospettive economiche. Fa sempre notizia se una/un professionista abbandona la propria carriera per dedicarsi alla campagna. Chiudo augurandomi che le scelte di consumo sempre più consapevoli possano indirizzare le produzioni agricole verso la sostenibilità, consapevolezza che dovrà ridurre i clamorosi sprechi alimentari.
oreste ronchetti
Mi permetto di far notare che l’affermazione secondo cui i trattori presenti sul mercato siano solo quelli a motore termico, non è un affermazione corretta, da tempo esistono trattori elettrici, di diverse marche, anche europee.
Fabrizio Fabi
Una domanda sulla Politica Agricola Comune della UE. Si sente dire che la PAC è mal congegnata e finisce per dare maggior sostegno alle aziende più grandi, che ne hanno meno bisogno. E’ vero questo? Forse poi nella PAC andrebbe fatta una chiara distinzione fra gli aiuti finalizzati alla difesa idrogeologica e quelli di puro sostegno alla produzione…
Aisle
Sarebbe giunto il momento di veriicare l’incidenza dell’immigrazione sull’inquinamento.
bob
è insopportabile che una categoria abbia livelli di assistenzialismo a dir poco surreali. Cosa che non avviene assolutamente per altre categorie . Se penso solo i mutui agrari di remota memoria al 4% trentennali ( con i BOT al 22%) . All’epoca la banca di faceva un mutuo massimo a 10 anni . Per non dire delle attrezzature, dove un artigiano acquista anche l’aria che respira e ad un contadino gli comprano pure le scarpe
Aisle
Una macchina elettrica, appena uscita dalle catene di montaggio, ha già prodotto un inquinamento equivalente a 100.000 Km. percorsi da un diesel common rail. Lo dicono gli esperti del settore.