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All’acqua serve un ministero

La cabina di regia sulla siccità, che ha coinvolto sette ministeri, è stata molto utile per gestire l’emergenza del 2022, definendo una strategia condivisa. Ma per decidere sulle questioni più spinose c’è bisogno di un soggetto tecnico e di uno politico.

Il cambiamento climatico in Italia

Il nostro paese è al centro di un “hotspot” del cambiamento climatico, ovvero una delle aree del pianeta dove il riscaldamento globale si manifesta con impatti maggiori per gli ecosistemi e le popolazioni che vi risiedono. Nei prossimi decenni l’Italia scivolerà dunque progressivamente, ma inesorabilmente, verso un’area climatica assai prossima a quella di paesi come Siria, Iran, Iraq, Tunisia, che convivono stabilmente con la presenza di ampie aree desertiche e atavica scarsità della risorsa acqua.

Secondo l’European climate risk assessment,pubblicato a marzo 2024, l’Italia sarà esposta ad alti rischi in termini di aumento delle temperature medie, frequenza delle ondate di calore e cambio del regime delle precipitazioni, che si fanno meno frequenti, più abbondanti e concentrate nello spazio, con conseguenti fenomeni emergenti di alluvione e siccità.

La situazione attuale

In un recente lavoro abbiamo fatto il punto del dibattito su questi temi. Le copiose precipitazioni che hanno interessato l’area alpina e il Nord del paese a partire da febbraio 2024 hanno permesso di rimettere sotto controllo una situazione che appariva già emergenziale e che permaneva dal 2022, quando tutto il Nord Italia è stato colpito da una siccità che ha generato danni ingentissimi. Le prospettive per il resto della penisola, però, non sono rosee, come certificato dagli Osservatori distrettuali permanenti per gli utilizzi idrici – istituiti nel 2016 e previsti dal Piano di gestione delle acque (direttiva “Acque” 2000/60/Ce). Riportano un grado di severità idrica bassa per il distretto dell’Appennino centrale e quello dell’Appennino meridionale e un grado di severità media per il distretto di Sardegna.

Particolarmente grave è la siccità che attanaglia in questi mesi la Sicilia. Una situazione che sembra replicare lo schema già visto durante il periodo siccitoso del 2022: investimenti e azioni “di riparazione”, piuttosto che una serie di azioni preventive e coordinate per migliorare la capacità di assorbire gli effetti della ancor più acuta scarsità di acqua in un territorio storicamente fragile. Il caso della Regione Sardegna sembra invece offrire alcuni spunti utili su come la prevenzione può aiutare a governare le scarsità.

Più fronti di azione

Adattamento a un clima vuole dire ridurre l’esposizione al rischio, a un grado ritenuto accettabile e governabile, minimizzando gli eventuali danni. Un obiettivo che può essere realizzato lavorando simultaneamente su più fronti: infrastrutture “a prova di clima” e una nuova governancedell’acqua.

Sul primo punto intervengono il Piano nazionale di ripresa e resilienza e le iniziative del Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico. Il Pnrr, fra i vari ambiti, contempla anche azioni volte al rinnovamento del servizio idrico, con specifico riferimento a “Investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico” e “Riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua, compresa la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti” per un importo totale pari a quasi 4 miliardi di euro, e che di recente il ministero delle Infrastrutture ha integrato con risorse per un miliardo di euro. Il Pniissi, invece, è più specificatamente orientato all’approvvigionamento idrico primario, con particolare riferimento alle infrastrutture, e ha raccolto richieste per un importo di oltre 13,5 miliardi di euro, mentre si è ancora in attesa che venga deliberato l’ammontare delle risorse disponibili.

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Oltre la cabina di regia

Non è sufficiente, tuttavia, la presenza e il funzionamento di una rete di infrastrutture, ma è necessario anche che venga definito un assetto di governo per la gestione della risorsa. È necessario, insomma, definire ruoli, regole e obiettivi che devono guidare la gestione dell’acqua, in particolare per i suoi utilizzi quando la scarsità della risorsa chiama a fare scelte.

L’emergenza siccità del 2022, prolungatasi anche nel 2023, ha generato una risposta istituzionale che, ancorché emergenziale, si è attivata per migliorare la disponibilità di acqua, il cosiddetto approvvigionamento primario. Infatti, con il Dl Siccità, è stata istituita una apposita cabina di regia che vede la partecipazione di ben sette ministeri, e nominato un commissario straordinario nazionale, al quale è stato chiesto di redigere e attuare una prima proposta d’azione per far fronte al fenomeno della scarsità idrica. Da una parte, le proposte sono state orientate alle infrastrutture, con l’approvazione dei finanziamenti per la realizzazione di opere per 102 milioni di euro ovvero la valutazione di 127 richieste di finanziamento pervenute tramite il Pniissi. D’altra parte, le proposte sono state anche l’occasione per una riflessione sulla governance dell’approvvigionamento idrico primario. È un chiaro passo avanti, di cui iniziamo a vedere i frutti.

La governance condivisa tra tanti attori istituzionali è la soluzione migliore – e forse l’unica – per gestire una situazione emergenziale. Ma quando si tratta di trasformare l’intervento emergenziale in una chiara strategia di medio-lungo termine, in grado cioè di affrontare i diversi nodi, mostra i propri limiti: permette sì di riunire intorno a un tavolo le tante sensibilità delle diverse parti dell’amministrazione dello stato, ma riesce a esprimere una strategia quando si tratta di affrontare i temi della scarsità e del conflitto sull’uso della risorsa? Riusciremo a contemperare le esigenze della produzione agricola di cui è depositario il ministero dell’Agricoltura con quelle degli usi per la produzione di energia a cui è titolato il ministero dell’Ambiente? E riusciremo a tener conto dell’indubbio impatto che queste strategie avranno sulla competitività dei settori industriali idro-esigenti, come la petrolchimica, la farmaceutica, il tessile o la produzione di carta, su cui esercita le proprie prerogative il ministero delle Imprese e del made in Italy? E ancora che ruolo potrà giocare in questa partita il ministero dell’Economia e delle Finanze, stante la difficoltà e la necessità di ridurre il debito pubblico?

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In altre parole, è preferibile privare dell’acqua l’agricoltura accettando un danno alle colture oppure sottrarla alla produzione di energia? Oppure va sottratta a una industria idro-esigente cagionando un fermo dell’attività produttiva e una minaccia per la sua continuità? E ancora, è possibile mutuare strumenti economici in grado di aiutarci a stabilire priorità tra le diverse alternative, individuando quelle con il costo più basso, in termini economici, sociali e ambientali?

A questi interrogativi possiamo rispondere guardando all’esperienza di paesi come India (1985), Cina (1954) o Australia (1971), che hanno istituito un ministero dell’Acqua, a cui è demandata la responsabilità di gestire la risorsa idrica, disciplinarne l’accesso, definirne un costo d’uso coerente con il valore dei suoi diversi impieghi. Questi paesi sono anche quelli nei quali l’uso degli strumenti economici per disciplinare gli utilizzi dell’acqua ha raggiunto i traguardi più avanzati. Per esempio, in Cina, dove un terzo del paese si trova in situazioni di elevato stress idrico, esistono soggetti equiparabili alle Esco dell’energia (denominate Water Saving Services Companies) con il compito di favorire gli interventi per il risparmio idrico negli usi industriali. In Australia, a veri e propri mercati dell’acqua è affidato il compito di disciplinarne l’uso da parte degli agricoltori, nell’ambito di quote che vengono loro assegnate e che possono essere scambiate al fine di garantire che il sacrificio in termini di perdita di produzione sia ridotto al minimo e al contempo riconoscere un indennizzo agli agricoltori che cedono i loro diritti d’uso ad altri.

La cabina di regia italiana sulla siccità ha rappresentato un passo importante per gestire l’emergenza della siccità del 2022, scrivendo una strategia condivisa per la gestione dell’acqua. Si è scelto di potenziare la capacità di trattenere le acque per aumentare la disponibilità della risorsa.

In prospettiva, tuttavia, è probabile che la concertazione non sarà in grado di entrare nel merito di questioni spinose, come disciplinare le priorità di uso in un contesto di maggiore scarsità e definire costi per l’utilizzo dell’acqua coerenti con il principio di pieno recupero di quelli operativi e ambientali e degli investimenti.

Per fare questo abbiamo bisogno di un soggetto tecnico e di uno politico: un mandato rinforzato a un’autorità indipendente, deputata a tradurre queste indicazioni in regolazione economica, ma anche di vigilare sull’intero comparto dell’adduzione primaria, oltre agli usi civili. E abbiamo bisogno di un ministero dell’Acqua.

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Politiche di coesione: cruciali, ma interessano poco

  1. Savino

    Anzichè sperperare per l’inutile ponte sullo stretto sia dia un’occhiata alle perdite generate dagli acquedotti colabrodo oramai obsoleti.

  2. Jorge H.C.Almeida

    Avevo depositato un brevetto anni fa a Roma, si tratta di una tecnologia che permette di dessalare l’acqua di mare, per evaporazione in modo naturale, con cento metri quadrati si riesce a produrre da due a sette metri cubi al giorno, più il clima e secco più funziona.
    Non si può competere con il sistema ad osmosi in termini di quantità, però nemmeno il sistema ad osmosi può competere con me in termini di qualità, è purissima in tutti sensi poiché posso anche filtrare l’aria che alla quale viene a contatto diretto.
    Attualmente mi trovo all’estero se qualcuno è interessato al progetto mi potete contattare per mail:jorgehumberto.almeida@gmail.com

  3. B&B

    Stasera 16 maggio piove.
    Sono allegate alcune regioni del nord.
    Si salva il Veneto con il presidente Zaia, il quale disvela di avere azionato le vasche di laminazione, avvedutamente realizzate, indispensabili per il contenimento delle acque. Il sindaco Sala invece accusa tutti compreso la sinistra.
    In Emilia ritorna l’allarme di un anno fa. Se riesondano chissà cosa si inventerà questa volta la Schlein, ex assessora alla tutela del territorio, con Bonaccini: E’ colpa del cambiamento climatico. Non devono vergognarsi quei babbei che li sostengono e pure li votano.

  4. Andrea Trenta

    Come in tante discussioni sul tema acqua nessuno ricorda che esistono le Autorità di bacino, che conoscono molto bene quello che c’è da fare. Eventualmente si possono dotare di maggiori risorse e creare anche dove non vi sono risorse naturali.

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