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Il prezzo dell’acqua

L’acqua dolce è una risorsa scarsa. Dovremmo perciò definire un prezzo per i suoi utilizzi. Non si tratta di privatizzarla, ma di costruire una strategia e un sistema di regole capace di promuovere comportamenti e consumi più corretti ed efficienti.

Una risorsa scarsa

L’acqua è un bene prezioso e una risorsa scarsa che va tutelata: cittadini, istituzioni, agricoltori e utilizzatori industriali sarebbero tutti d’accordo con questa affermazione. Ma occorre darle seguito anche nelle azioni e dare all’acqua un prezzo coerente con il suo valore.

Negli ultimi mesi la siccità è arrivata nel cuore pulsante del paese, la pianura padana, dal Monviso al delta del Po i fiumi sono in secca. L’agricoltura, gli allevamenti e l’industria sono minacciati dalla mancanza di acqua. In alcune valli alpine e prealpine viaggiano già le autobotti.

È stata costituita una cabina di regia sul tema, con la previsione di un nuovo commissario straordinario chiamato a risollevare le sorti del paese nell’emergenza. Un intervento necessario ma certamente tardivo e non risolutivo: occorre mettere a fuoco le tante questioni che ruotano intorno al governo dell’acqua.

È venuto il momento di allargare lo sguardo.

Gli invasi raccolgono solo il 4 per cento dell’acqua piovana e solo il 5 per cento delle acque depurate è riutilizzato in agricoltura. Investiamo nel servizio idrico delle città metà di quanto investono gli altri paesi europei e consumiamo il doppio, con tariffe che sono la metà di quelle di Parigi e un terzo di quelle di Berlino.

L’Eipli, il soggetto pubblico deputato alla gestione delle dighe e delle infrastrutture di approvvigionamento nel distretto dell’Appennino meridionale, è in liquidazione da più di dieci anni. Di conseguenza, non solo non si investe, ma nemmeno vengono eseguite le manutenzioni: negli invasi si può oggi trattenere il 30 per cento di acqua in meno rispetto alla reale capienza, e quest’acqua preziosa, che non viene trattenuta, deve essere lasciata defluire per incuria e trascuratezza. Un vero e proprio assurdo.

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Anche la società pubblica pensata per gestire le infrastrutture del Mezzogiorno, prevista dalla legge di bilancio 2018, e che avrebbe dovuto coinvolgere il ministero dell’Economia e le regioni, non è mai decollata. E i termini per la sua costituzione sono stati di recente prorogati a fine 2023.

Accanto alla necessità di migliorare l’efficienza delle reti idriche e le loro interconnessioni è necessario prendere atto del fatto che l’acqua dolce per uso potabile rappresenta meno del 20 per cento dei prelievi di acqua e che la restante quota viene utilizzata in agricoltura, negli allevamenti e nell’industria.

La situazione di oggi per l’acqua dolce, al pari delle altre risorse naturali sfruttate oltre le loro possibilità di rigenerarsi, è nota agli economisti come “tragedia dei beni comuni”: quando ciascuna parte – cittadini, agricoltori, industriali – agisce in modo egoistico guardando solamente alla propria utilità, il bene comune si deteriora e tutti ne vengono danneggiati.

Mettere in pratica soluzioni già note

Le cose da fare sono note, citiamone alcune.

Salvaguardare le fonti idriche. Realizzare tanti e diffusi piccoli invasi per agricoltura e accumuli di acque piovane a servizio delle abitazioni. Rendere obbligatorio il riutilizzo delle acque grigie nelle nuove abitazioni. Prevedere desalinizzatori mobili per sopperire alle punte di domanda nelle località turistiche. Realizzare bacini di raccolta dell’acqua piovana tramite soluzioni basate sulla natura. Rendere obbligatorio il riuso dell’acqua depurata e affinata in agricoltura.

Ancora oggi gran parte dell’acqua utilizzata in agricoltura e industria è prelevata dall’ambiente in modo indiscriminato, senza misurazioni e controlli, con pozzi o prelievi spontanei dai fiumi, e a costi comunque irrisori. È chiaro che sino a quando ciò sarà consentito e tollerato ogni iniziativa per disciplinare e regolamentare i prelievi di acqua è destinata a fallire.

Occorre dunque ripensare la governance regionale degli stoccaggi e delle riserve di acqua in laghi e bacini. Definire gli usi essenziali, integrare i diversi piani di gestione delle risorse, chiedendo a ciascun utilizzatore di fare la propria parte nel risparmio e, soprattutto, di contribuire al ripristino ambientale, per assicurare la rigenerazione della risorsa: con interventi mirati ad aiutare gli ecosistemi a trattenere acqua, tramite la rigenerazione dei fiumi e delle zone umide, agendo contro l’impermeabilizzazione dei suoli e il loro consumo per aiutare le falde a ricaricarsi. Combattere gli sprechi d’acqua e rivedere le concessioni idriche.

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Non si tratta di privatizzare l’acqua, ma di costruire una strategia e un sistema di regole e prezzi in grado di segnalarne la scarsità, di allocarne il consumo in modo efficiente, di promuovere comportamenti virtuosi, incentivare l’efficienza.

I prezzi nella teoria economica servono a guidare i comportamenti di tutti verso il benessere sociale.

È giunto il momento di mettere l’acqua al centro di un progetto credibile, di un impegno collettivo, di cittadini, istituzioni, mondo agricolo e industria. Per trovare nuove forme di governo di una risorsa scarsa e vitale è necessario che tutti contribuiscano. Se vogliamo bene all’acqua, la prima cosa è regolamentarne l’uso e darle un prezzo.

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  1. Maurizio Cortesi

    Pienamente d’accordo.

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