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Ma che cosa vuol fare da grande l’Atalanta?

Come dice il suo mister, l’Atalanta non è una squadra indebitata e il suo bilancio è quello di una società solida dal punto di vista finanziario. Il suo limite è condiviso da tutte le piccole imprese italiane: non costruire la struttura per crescere.

Una società solida, ma piccola

Il trionfo dell’Atalanta in Europa League ha concluso la stagione calcistica delle squadre italiane e chiude anche la nostra disamina dei conti dello sport più seguito in Italia. L’allenatore Giampiero Gasperini, più volte, non ha mancato di sottolineare con una nota polemica la differenza tra il modello sportivo della squadra bergamasca e società più blasonate, su tutte l’Inter, che ottengono risultati indebitandosi.

L’Atalanta del fondo Bain è sicuramente una società che ha stupito per i suoi risultati, ma è tutto oro quel che luccica? Abbiamo considerato il bilancio della stagione passata, il 2022/2023, per provare a fare un’analisi del modello atalantino.

Un primo elemento riguarda proprio la compilazione dei bilanci: l’Atalanta è una srl (società a responsabilità limitata) e fino alla stagione 2021-2022 seguiva i principi contabili che concludono l’anno al 31 dicembre. Dalla stagione scorsa, invece, come società calcistica, chiude il bilancio al 30 giugno di ogni anno. Ciò spiega perché non possiamo fare il confronto del conto economico su due anni: per il 2021-2022 sono disponibili soltanto i dati relativi a un semestre.

Guardando allo stato patrimoniale dell’Atalanta, siamo di fronte a una società sicuramente solida e, tuttavia, con una struttura da squadra piccola con poche leve per crescere.

Tabella 1

La voce di spicco delle attività concerne il parco giocatori sia come valore dei cartellini – a testimonianza di una squadra che investe molto sul settore giovanile per creare e scoprire talenti – sia come crediti verso altre società, dovuti a un sistema che vende i cavalli di razza per generare plusvalenze e ricavi.

Il patrimonio netto è significativo: 185 milioni di euro, che rappresentano il 50 per cento delle passività.

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Un modello di business da ripensare?

L’Atalanta, come dice il suo mister, non è una squadra indebitata e mostra il bilancio di una società solida dal punto di vista finanziario.

Il conto economico, tuttavia, a livello operativo mostra anche le vulnerabilità potenziali e, soprattutto, solleva una questione di management strategico, nonostante i brillanti risultati ottenuti in Europa.

Tabella 2

I ricavi si fermano a meno di 200 milioni di euro, molto al di sotto delle grandi squadre italiane come Juventus, Inter e Milan, ma anche del Leicester citato da Gasperini come termine di paragone che, dopo la vittoria in Premier League nel 2016, in due stagioni ha visto i ricavi salire da meno di 150 milioni di euro a quasi 250.

È comunque la composizione dei ricavi della squadra bergamasca che consente di dire qualcosa di interessante. Nonostante lo stadio di proprietà, i ricavi da biglietti si fermano sotto i 15 milioni (probabilmente saliranno dopo il completamento dei lavori del Gewiss, ma rimangono una voce molto poco significativa). Quelli da diritti tv dipendono, fondamentalmente, dalle prestazioni sportive, mentre le sponsorizzazioni arrivano a 23,9 milioni di euro.

Spicca la voce legata al merchandising e dunque al branding: i ricavi dell’Atalanta non superano il mezzo milione di euro, quasi che ci si accontentasse di occupare una nicchia di mercato relativa alla provincia di Bergamo.

Anche in questo caso la gestione operativa, per altro assai virtuosa, si basa soprattutto sul player trading che, però, a ben vedere, non si discosta molto dalla strategia della dirigenza dell’Inter degli ultimi anni.

È una strategia che può portare risultati ma che, come per l’altra compagine nerazzurra, sottostà al rischio intrinseco del business: aleatorietà dei risultati, incertezza, elevato rischio. Una stagione sbagliata, insomma, può compromettere i risultati economici e generare perdite importanti.

Guardando ai conti dell’Atalanta, la domanda chiave è dunque chiara: cosa vuole fare la società nel futuro?

Il modello attuale è quello di una società piccola che non sembra puntare molto a scalare i ricavi.

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Benissimo il controllo dei costi e la sostenibilità del modello, ma in questo modo il flusso di ricavi non può decollare né garantire la possibilità, per esempio, di fare un salto di qualità e puntare con più decisione a titoli più blasonati.

Qualcuno potrebbe obiettare che l’Atalanta occupa una nicchia di mercato in una regione dove due altre squadre, Inter e Milan, monopolizzano il mercato del tifo. Per quanto in parte l’osservazione sia fondata, quel mercato è diventato contendibile negli ultimi anni (anche per la crisi delle società meneghine) e spingere il brand dell’Atalanta potrebbe sicuramente migliorare le prospettive del fatturato.

Un esempio su tutti arriva da Dortmund: essere espressione di una città di mezzo milione di abitanti, in un campionato dominato dal Bayern Monaco, non ha impedito al Borussia di ottenere un fatturato quasi tre volte superiore a quello dell’Atalanta e una finale di Champions quest’anno, che non è un’eccezione, visto che in poco più di un decennio la squadra è arrivata per due volte in fondo alla competizione.

Crescere indebitandosi non è un modo virtuoso di produrre risultati, ma non indebitarsi e non crescere per occupare una nicchia di mercato da jolly sempiterno del campionato italiano forse non è la strategia migliore. All’Atalanta, un po’ come alla tipica piccola-media impresa italiana, manca forse proprio la visione strategica di un’azienda che provi a rispondere alla domanda: “Siamo solidi e credibili; cosa vogliamo fare da grandi?”

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  1. massimo

    La critica alla politica economica dell’Atalanta mi sembra un pelino azzardata in considerazione della crescita avuta negli ultimi 8-9 anni dalla stessa società.

    Crescita costante e graduale, ma sicuramente decisa. Considerando anche che negli ultimi 5 anni si è provveduto all’acquisto ed alla ristrutturazione dello stadio.

  2. Alessandro

    Classiche considerazioni da economisti, con tutti i pregi e soprattutto i limiti del caso . Non tutti i modelli sono replicabili numeri alla mano, perché la realtà è spesso molto più complicata e le variabili coinvolte sono molto di più di quelle analizzate. In questo caso la realtà dice che nel mondo del calcio non esistono società così piccole che sono riuscite a fare il salto di qualità per poter competere economicamente ad armi pari con radicate realtà metropolitane.
    Il paragone con il Dortmund poi non sta in piedi per vari motivi, tra cui soprattutto il potenziale bacino di utenza completamente diverso, oltre ad una concorrenza decisamente minore.

  3. bob

    I ricavi si fermano a meno di 200 milioni di euro, molto al di sotto delle grandi squadre italiane come Juventus, Inter e Milan,”
    Perdoni la mia ignoranza come può Bergamo ( 100 mila abitanti) pensare di avere ricavi simili alle sopracitate?

  4. Carlo

    L’ingresso del fondo americano sta cambiando le cose: l’anno scorso il co-owner Steve Pagliuca disse ‘Win, win ‘. Noi bergamaschi abituati a fare lo jo-jo fra serie A e Serie B, pensavamo fosse matto. Ha comprato Scamacca, El Bilal; ha trattenuto Koop. Abbiamo vinto l’Europa League. Stiamo già esplorando nuovi territori a noi sconosciuti.

  5. Ezio

    La società è cresciuta molto negli ultimi anni e a detta di Percassi crescerà ancora. Certo che il nostro bacino di utenza non è paragonabile a quello di Juventus Inter Milan per cui spero che il bello continui magari vincendo lo scudetto perché la squadra ne ha le potenzialità e un grande allenatore. D’altronde l ha vinto il Leicester perché non noi

  6. massimo

    Numeri, numeri, numeri, sempre e solo numeri. Senza nulla togliere alla competenza degli articolisti, la passione, la dedizione al lavoro, l’onestà, non sono parametri misurabili e quindi per loro non sembrano importanti. Ce ne fossero di più che guardano anche oltre i pur necessari bilanci, il mondo calcistico e non andrebbe forse molto meglio…

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