Dopo il secondo turno delle amministrative alcuni esponenti della maggioranza, ufficialmente preoccupati della scarsa partecipazione al voto, hanno proposto di cambiare le regole per l’elezione del sindaco. È un attentato alla democrazia o una proposta su cui ragionare?
Un cantiere che non chiude mai
Ci sono bambini che, quando perdono una partita a calcio con gli amici, se ne vanno arrabbiati e si portano via il pallone. Altri, magari più grandi, decidono invece di cambiare le regole del gioco. In politica, e soprattutto nel nostro paese, non si tratta certo di un fenomeno nuovo. Il cantiere delle leggi elettorali è sempre aperto e non serve essere un addetto ai lavori per rendersene conto. A volte, si tratta di interventi a posteriori, come il tentativo di questi giorni; altre volte, si tratta di interventi a priori, come nel caso della legge elettorale 270/2005, il cosiddetto “Porcellum” di Roberto Calderoli, che venne approvata meno di quattro mesi prima delle elezioni politiche. Il risultato di tutta questa iperattività del legislatore è che, a partire dal comune più piccolo fino a raggiungere il Parlamento europeo, il complesso delle norme elettorali nel nostro paese si caratterizza per la massima eterogeneità possibile. Non solo perché per ogni livello di governo esiste una legge elettorale specifica, ma perché bisogna considerare che ogni regione può dotarsi (e, di fatto, quasi tutte lo hanno fatto) di una propria norma. In più ci sono due leggi elettorali diverse per i comuni sopra e sotto la soglia di 15 mila abitanti: maggioritario a turno unico per i sindaci dei comuni più piccoli, maggioritario a doppio turno per i comuni più grandi.
Nonostante tutta questa abbondanza di casistiche differenti, il legislatore non è ancora riuscito a trovare pace. Se a inizio dell’anno si disquisiva su quale fosse il numero di mandati ottimale per i sindaci, ecco che ora si discute di quorum. Nello specifico, la proposta sarebbe quella di ricorrere al secondo turno delle elezioni comunali per i comuni sopra i 15 mila abitanti solo nel caso in cui nessun candidato superi il 40 per cento dei consensi al primo turno, in luogo dell’attuale 50 per cento.
Apriti cielo: per l’opposizione, si tratterebbe di un attentato alla democrazia, l’ennesimo, dopo l’autonomia differenziata, il premierato, la riforma della giustizia e altro ancora. Per la maggioranza, al contrario, è un modo proprio per aumentare la rappresentatività degli eletti, visto che l’affluenza al secondo turno risulta particolarmente bassa. Giusto per dare qualche numero, in questa tornata elettorale l’astensione ha raggiunto quota 32 per cento al primo turno e 52 per cento al secondo turno. In effetti, un buon argomento per sostenere che i risultati del primo turno siano più rappresentativi di quelli del secondo turno. Tuttavia, l’impressione è che quello della partecipazione sia solo un argomento strumentale: alle coalizioni più unite, come il centro-destra, conviene il turno unico (o comunque rendere più difficile il ballottaggio); alle coalizioni più divise, come l’opposizione, torna più utile il doppio turno, con possibilità di compattarsi dopo il primo verdetto delle urne. Proviamo comunque, con occhio neutrale, ad analizzare pro e contro della proposta e di capire se esistano casi simili da cui imparare qualcosa.
Paese (e regione) che vai, quorum che trovi
Per non confondersi troppo, è utile cominciare dalle leggi elettorali per le elezioni comunali. Ricordando che sotto la soglia dei 15 mila abitanti non esiste il secondo turno: un candidato sindaco vince se ottiene anche un solo voto in più dell’avversario che arriva secondo. Maggiore il numero dei contendenti, minore il quorum teorico che basterebbe raggiungere per essere eletti. Per fare un esempio numerico, ma non è difficile trovare casi del genere nella realtà, con quattro candidati si potrebbe benissimo essere eletti con poco più del 25 per cento dei consensi. Anche con tre candidati non è certo raro vedere sindaci eletti con molto meno del 40 per cento dei voti. Perché mai, quindi, per un comune piccolo questo sistema maggioritario a turno unico va bene, mentre per un comune più grande no? Le dimensioni e le responsabilità sono diverse, è vero, ma le competenze dei sindaci sono del tutto identiche.
Ammettendo comunque che, per ragioni organizzative e dimensionali, sia opportuno che i comuni più grandi adottino un modello elettorale a doppio turno, la novità riguarderebbe solo i candidati eletti direttamente al primo turno perché superano la nuova soglia del 40 per cento. Per tutti gli altri (chi prende di meno del 40 per cento o chi supera il 50 per cento al primo turno), non cambierebbe nulla rispetto a ora e la presunta maggiore rappresentatività teorica rispetto al turno unico sarebbe garantita. A questo proposito, è però importante notare, come fa chi propone la modifica, che la maggiore rappresentatività dei sindaci eletti al secondo turno è, appunto, solo teorica. Perché se gli elettori che si presentano dopo due settimane sono sensibilmente di meno rispetto a quelli del primo turno, allora appare ragionevole sostenere che un ipotetico 45 per cento al primo turno sia più indicativo della volontà popolare di un 60 per cento al secondo turno. In altri termini, guardando al numero assoluto degli elettori che votano per un candidato, sarebbe più democratico un sindaco eletto al primo turno con 50 mila voti e il 45 per cento dei consensi o il suo avversario eletto al secondo turno, con il 60 per cento dei voti ma grazie a soli 45 mila voti? Ognuno può avere la sua posizione in merito, ma il fatto stesso che la risposta non sia così ovvia mette la proposta in una luce meno controversa di quanto le opposizioni vogliano farla apparire.
Peraltro, sempre limitatamente alle elezioni comunali, già dal 2016 in Sicilia e giusto da quest’anno in Friuli Venezia Giulia, una norma simile esiste già nelle due regioni: il ballottaggio per le elezioni comunali nei comuni sopra i 15 mila abitanti è possibile solo se nessun candidato supera il 40 per cento dei consensi al primo turno. Questo è possibile perché si tratta di regioni a statuto speciale, le quali hanno competenza anche sulle leggi elettorali dei propri comuni. Salendo di livello di governo, invece si trova una norma identica per l’elezione del presidente di regione in Toscana (ballottaggio solo se nessun candidato presidente supera quota 40 per cento al primo turno). È l’unica legge elettorale regionale a prevedere il secondo turno. Per il Parlamento, attualmente il 37,5 per cento dei seggi è assegnato con un sistema maggioritario uninominale, senza alcuna soglia per accedere a un eventuale ballottaggio. La quota maggioritaria a turno unico arrivava al 75 per cento con la legge 276/1993, in vigore fino al 2005.
Cosa sarebbe successo con la regola del 40 per cento
Se la storia fosse andata diversamente e la regola del 40 per cento fosse già stata in vigore, come sarebbe cambiato l’esito delle elezioni comunali? Per rispondere alla domanda, abbiamo analizzato i risultati delle elezioni nei 730 comuni con popolazione superiore ai 15 mila abitanti che hanno rinnovato sindaco e consiglio comunale tra il 2019 e il 2024. Il ballottaggio si è tenuto circa la metà delle volte: nel 51,5 per cento dei casi, invece, il vincitore aveva già superato la soglia del 50 per cento al primo turno. Nei casi restanti, il 27,7 per cento delle volte il candidato più votato ha ottenuto un consenso tra il 40 e il 50 per cento dei voti, mentre nel restante 20,8 per cento delle volte il candidato più votato è rimasto al di sotto del 40 per cento. Nel mondo parallelo che avesse già introdotto la soglia del 40 per cento, ci sarebbero stati ben 202 ballottaggi in meno. Vale comunque la pena di notare che solo nel 17 per cento di questi casi, quindi in 34 comuni, il ballottaggio ha invertito l’ordine dei candidati al primo turno. Un numero certo non marginale, ma comunque limitato.
La nostra proposta
Tornando alla realtà, se volessimo prendere sul serio la proposta avanzata in questi giorni, allora un modo per migliorarla, trovare un compromesso e quindi cercare un consenso più largo, sempre utile quando si tocca la normativa elettorale, potrebbe essere quello di limitare effettivamente la quota per l’accesso al secondo turno al 40 per cento solo se al primo turno partecipasse una soglia X degli aventi diritto, mentre verrebbe mantenuta il quorum del 50 per cento attuale in caso di partecipazione inferiore. La soglia X potrebbe essere fissata al 60 per cento, una quota che si raggiunge ancora nelle elezioni comunali e che spingerebbe i contendenti che sperano di vincere al primo turno a portare a votare più persone possibili. Spetterebbe poi ovviamente al dibattito parlamentare deciderne il valore finale.
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Savino
Piuttosto, occorrerebbe selezionare gli elettori sulla base delle loro conoscenze costituzionali e civiche. Si propone un questionario e si ammette al voto solo chi fa pochi errori. Il diritto di voto è, poi, qualcosa di così prezioso ed esclusivo da sentirne la necessità doverosa di toglierlo a chi ha particolari carichi penali (e sono in tanti, a più livelli).
Andrea
Ecco è arrivato il democratico…
Così con il questionario puo selezionare bene chi fa comodo a lei con criteri arbitrari. I partigiani si stanno rivoltando nella tomba.
Savino
Mi pare che della quantità le forze politiche non si stiano occupando perchè esultano per avere vinto anche quando in milioni non si recano alle urne. In tutto questo, credo che sia opportuno almeno occuparsi della qualità.
Giuseppe
E siamo al voto censitario, a quando una struttura timocratica in luogo della democrazia?
Enrico
Le polemiche contro il doppio turno mi sembrano frutto di ignoranza oppure di malafede. Circa 50 anni fa un certo Ken Arrow, premio Nobel per l’economia, dimostrò che è impossibile prendere decisioni democratiche e ragionevoli tra più di due alternative e 250 anni prima il Marchese di Condorcet aveva mostrato i possibili paradossi di una scelta tra troppe alternative. Capisco il primato della politica, ma i politici dovrebbero rispettare almeno la logica e l’aritmetica.
firmin
In Australia adottano un sistema che simula il doppio turno (che teoricamente è il sistema di scelta collettiva meno inefficiente) senza la necessità di tornare alle urne. Sulla stessa scheda, invece della solita “decima” si indica la prima e la seconda scelta con un 1 e un 2. Per stabilire il vincitore si prendono i primi due più votati, come nei ballottaggi, e poi si sommano i voti delle seconde scelte per avere i voti totali per ciascuno dei due. In questo modo vince il candidato meno sgradito alla maggioranza, e presumibilmente meno estremista.
Giuseppe
E l’idea che ho sempre avuto, sono contento di sapere che è stata adottata in almeno uno stato (tra l’altro nulla osta a che si estenda l’opzione anche alla 3ª o 4ª scelta.
roberto bacenetti
siccome è già complicata complichiamola di più
bravo