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Quando la corruzione è un’esperienza di vita vissuta

La corruzione è ancora diffusa nel nostro paese, tanto da essere ritenuta quasi inevitabile per ottenere alcuni servizi. Ma i cittadini sono altrettanto consapevoli che si tratta di un fenomeno che nuoce alla società e che andrebbe sempre denunciato.

Come misurare la corruzione

L’obiettivo numero 16 degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 è dedicato alla promozione di società pacifiche e inclusive ai fini dello sviluppo sostenibile. Si propone di fornire l’accesso universale alla giustizia e di costruire istituzioni responsabili ed efficaci a tutti i livelli. Uno dei traguardi posti riguarda la sensibile riduzione della corruzione e degli abusi di potere in tutte le loro forme (Obiettivo 16.5).

Ma come si può misurare il raggiungimento di questo traguardo?

Finora sono stati elaborati indici di corruzione basati su indagini presso cittadini e imprese che hanno il limite di utilizzare diverse definizioni del fenomeno e di adottare metodologie molto disomogenee e non confrontabili tra paesi per evidenti disparità socio-culturali (ad esempio ciò che può essere considerato un reato in un paese, risulta accettabile in un altro).

Già nel 2013, l’United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc) aveva lanciato una tabella di marcia per migliorare la qualità e la disponibilità di statistiche sulla giustizia penale. La roadmap del 2013 riconosceva la corruzione tra i reati emergenti e difficili da misurare che necessitavano di un ulteriore sviluppo metodologico.

In effetti la misurazione della corruzione presenta evidenti debolezze legate per lo più all’utilizzo di metodologie indirette o basate sulla percezione. La mancanza di concetti statistici confrontabili e standardizzati rende la misurazione della corruzione difficile in quanto fortemente influenzata dal contesto sociale e geografico in cui viene esercitata. Nel 2023 lo stesso Unodc ha pubblicato lo “Statistical framework to measure corruption” volto a definire un quadro di riferimento nazionale “olistico” basato su un ambizioso insieme di indicatori (in tutto 137) di fonti statistiche e non, utile a guidare gli sforzi nazionali di analisi e misurazione della corruzione.

In Italia sono diversi i soggetti istituzionali coinvolti in questo esercizio di misurazione. In primo luogo, l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) che, da qualche anno, ha avviato un percorso di integrazione di diverse fonti di dati volto a progettare metodologie per il calcolo degli indicatori oggettivi, anche attraverso il coinvolgimento di diversi attori istituzionali, accademici, di ricerca ed esponenti delle ong.

Dal 2022 Anac ha messo a disposizione una sezione del proprio portale denominata “Misura della corruzione” con una batteria di indicatori (indicatori di contesto, appalti e indicatori comunali) che consentono di calcolare il rischio di corruzione con un dettaglio territoriale, settoriale e temporale. Il progetto, finanziato anche grazie al programma operativo nazionale “Governance e capacità istituzionale 2014 – 2020” (Fondo sociale europeo), consente di rispondere alla necessità di disporre di indicatori di natura “oggettiva” (legati ad esempio alla gestione degli appalti pubblici o ai dati di bilancio), vale a dire dati misurati attraverso statistiche e indicatori giudiziari che attengono alle denunce e alle condanne per corruzione e ad altri reati contro la pubblica amministrazione.

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Tuttavia, questi dati non bastano. Come la stessa Unodc ha proposto, occorre affiancare alla rilevazione degli indicatori diretti anche informazioni di tipo indiretto, attinenti a tutta quell’area che non emerge dalle denunce e che, per motivi di diversa natura, rimane una parte oscura e difficile da comprendere. L’opacità si deve sia alla mancanza di strumenti di misurazione, ma anche alla natura stessa del fenomeno, che assume forme e gravità diverse a seconda della percezione dei cittadini nei diversi contesti culturali.

L’indagine Istat

A questa esigenza ha risposto Istat con la pubblicazione, il 6 giugno 2024, di alcuni dei risultati dell’indagine sulla sicurezza dei cittadini (edizione 2022-2023), nella quale è stato chiesto alle famiglie di pronunciarsi in merito a quanto non denunciato rispetto a una esperienza vissuta di corruzione.

L’indagine ha riguardato 24.915 individui di età compresa tra i 18 e gli 80 anni e gli ambiti studiati della corruzione sono stati la sanità, l’istruzione, il lavoro e gli uffici pubblici, con approfondimenti sulle società di pubblica utilità, le forze dell’ordine, la giustizia e l’assistenza. Nel corso della loro vita si stima che il 5,4 per cento delle famiglie abbia ricevuto richieste di denaro, favori, regali o altro in cambio di agevolazioni, beni o servizi.

In particolare, dal report Istat emerge che quasi 3 milioni di imprenditori e liberi professionisti (2,9 milioni) affermano che capiti sempre o spesso di pagare per ottenere alcuni servizi. All’1,3 per cento di loro è capitato direttamente per ottenere licenze, concessioni o contratti con la Pa, permessi per l’import e l’export, agevolazioni di pratiche fiscali, velocizzazione di procedure giudiziarie.

Il dato interessante è che il fenomeno sembra essere diminuito nel tempo. Il confronto tra il dato dei tre anni precedenti l’intervista, evidenzia una diminuzione netta: si va dal 2,7 per cento delle famiglie che hanno subito almeno una richiesta di denaro, regali o altro della precedente edizione (2015-2016), all’1,3 per cento per gli ultimi tre anni. La pandemia da Covid-19 tra il 2020 e il 2021 ha certamente avuto un impatto, laddove vi è stata una diminuzione delle occasioni di ricorso ad alcuni servizi. Mentre il settore dell’assistenza sembra essere rimasto stabile (1,4 per cento che rappresenta circa 33 mila famiglie), si osserva una diminuzione, statisticamente significativa, in ambito lavorativo e per le richieste negli uffici pubblici. Ciò probabilmente si deve alla modifica delle dinamiche nel mercato del lavoro e alla progressiva digitalizzazione dei servizi che ha razionalizzato l’erogazione dei servizi. Si sono dimezzate le richieste in ambito sanitario, ma, anche in questo caso, va notata la progressiva avanzata del mercato privato a cui si può ricorrere, qualora esista la disponibilità finanziaria, per usufruire degli stessi servizi forniti (o forniti in tempi troppo lunghi) dal pubblico.

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Tornando alla domanda iniziale relativa alla opacità del fenomeno della corruzione, dai dati Istat emerge che solo il 2 per cento degli intervistati denuncia e chi non lo ha fatto è perché “Pagare o fare regali è una consuetudine per raggiungere i propri obiettivi (29,3 per cento )”, oppure perché “è stata utile la «transazione» (19,4 per cento)”, o semplicemente perché “è inutile denunciare (17,7 per cento)”.

Molto interessante appare il livello di accettabilità espressa da famiglie e imprese (figura 1). Ad esempio, risulta che la preoccupazione sull’incertezza lavorativa dei propri figli porti il 20,1 per cento delle famiglie a considerare accettabile pagare per trovare loro un posto di lavoro. Percentuale che si innalza al Sud di 3,3 punti percentuali.

L’indagine rileva anche il cosiddetto fenomeno del voto di scambio: dai dati emerge che al 2,7 per cento dei cittadini tra i 18 e gli 80 anni raggiunti dall’indagine, è stato offerto denaro, beni o agevolazioni in cambio del loro voto (figura 2).

Per quanto ancora molto diffusa e apparentemente accettata, la corruzione è un fenomeno che dal 90 per cento dei cittadini è ritenuto nocivo alla società e che tutti dovrebbero denunciare, se ne vengono a conoscenza (figura 3). Tuttavia, c’è una buona fetta di intervistati che si trova molto o abbastanza d’accordo nel ritenere la corruzione un fenomeno naturale della società e per questo inevitabile.

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Un quorum grande così

  1. Savino

    Con Toti e Spinelli si rende evidente che c’è sia il dolo del corrotto che quello del corruttore, tale da meritare la stessa rilevanza penale. Bisogna cominciare ad ammettere che le tangenti in soldi e benefit convengono anche a chi le paga, oltre che alla pessima classe dirigente e ai pessimi burocrati che ci ritroviamo. Occorre, inoltre, incentivare i whistleblowing e non mettere il bavaglio a chi vuole segnalare.

  2. Firmin

    Un paese in cui solo il 5% dei cittadini ha partecipato a qualche episodio di corruzione durante tutta la sua vita sarebbe qualcosa di simile al paradiso. Il dato è sorprendentemente positivo soprattutto se confrontato con quello di chi ritiene accettabile la corruzione, che supera il 50% degli intervistati. Ovviamente quelle sui comportamenti illegali sono informazioni sensibili ed imbarazzanti e immagino che pochi siano disposti a fornirle ad un ente pubblico come l’ISTAT, nonostante tutte le garanzie per la privacy. Mi chiedo se qualche informazione in più si possa ottenere dalle rilevazioni sull’uso del contante, che è lo strumento principe (ma non unico) per tutte le transazioni illegali e che in Italia è tra i più elevati di tutta Europa.

    • Sal

      La via della corruzione è semplice da smascherare. Dove c’è spesa pubblica verificare chi ottiene incarichi quante volte e perchè.

  3. Nicola

    Credendo che la coruzzione sia la violazione di un obbligo da parte di un soggetto chiamato a prendere una decisione con l’obiettivo di un beneficio personale extraposizonale in cambio del conseguimento di benefici per il corruttore. Della stessa genesi si puo sostantivare anche il servilismo.
    Sono fenomeni che trovano amplificazione nei sistemi caratterizzati dall’assoggettamento a norme giuridiche ipercomplesse che vincolano l’azione del privato all’interno di stretti percorsi predeterminati piuttosto che l’asciare libera l’iniziativa dietro significative responsabilità.
    Abbandonando il filosofare per tornare al pragmatismo iperbrocratizzato poche norme speciali indirizzate al decisore, ridurrebbero il fenomeno. Statistica e banche dati riescono già oggi a misurare gli arricchimenti personali o tenori di vita ingiustificati dal reddito percepito nel corso della vita di una persona con funzioni decisorie.

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