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Per i comuni senza asili nido resta solo il potere sostitutivo*

Il passaggio dal bando all’avviso ha convinto vari comuni del Sud a chiedere le risorse per la costruzione di asili nido. Altri continuano a rinunciare, nonostante siano inadempienti rispetto alla quota di copertura. Per loro rimane una sola soluzione.

Dal bando all’avviso

Un recente contributo su lavoce.info ha messo in evidenza l’importante cambio di rotta del nuovo piano asili nido 2024 del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Il cambiamento consiste nel passaggio da un approccio “dal basso”, basato su bandi competitivi dove i comuni partecipanti possono ottenere il finanziamento sulla base di graduatorie regionali, a uno “dall’alto”, in cui il ministero, con apposito decreto, individua direttamente, sulla base dei fabbisogni, i comuni da finanziare. Per ottenere le risorse, i comuni interessati devono necessariamente aderire all’avviso emanato in un momento successivo al decreto.

Come si sottolinea nell’articolo, l’abbandono dello strumento del bando ha sì consentito una più omogenea distribuzione territoriale dei nuovi posti nido, ma non ha eliminato il problema della mancata adesione agli avvisi da parte di un considerevole numero di comuni che pure hanno tassi di copertura inferiori al 33 per cento.

La distribuzione territoriale

Uno dei principali limiti dei bandi emanati negli scorsi anni è stata l’insufficiente partecipazione di comuni e città metropolitane del Mezzogiorno, soprattutto in Campania e Sicilia.

Da questo punto di vista, i risultati ottenuti con il recente avviso ministeriale hanno prodotto non pochi aspetti positivi, che lasciano presagire una maggiore consapevolezza della rilevanza del tema da parte degli amministratori meridionali.

Gran parte delle risorse individuate dall’ultimo decreto ministeriale era difatti riservata ai comuni con un oggettivo fabbisogno di asili nido: quelli che, pur essendo caratterizzati dalla presenza di almeno 60 bambini fra 0 e 2 anni, avevano un tasso di copertura dei posti inferiore al 33 per cento.

Questi comuni erano poi suddivisi dal decreto in due gruppi: i “più bisognosi”, con un più alto numero di bambini o una più bassa percentuale di copertura (tabella 1) e i “meno bisognosi” (tabella 2).

Per entrambi i gruppi il decreto individuava il numero di nuovi posti asilo che avrebbe consentito il raggiungimento del Lep (livello essenziale della prestazione) e le risorse necessarie per la loro realizzazione. Tuttavia, mentre per i comuni del primo gruppo il decreto metteva già a disposizione i fondi, per i comuni del secondo gruppo l’accesso alle risorse era subordinato a eventuali economie o mancate adesioni dei comuni più bisognosi.

L’analisi delle graduatorie ci dice che, per la mancata adesione di comuni fra i più bisognosi (e di alcune città metropolitane), anche tutte le amministrazioni del secondo gruppo che hanno presentato domanda sono riuscite ad accedere alle risorse (il penultimo comune nella graduatoria dei meno bisognosi risulta difatti beneficiario).

Se la guardiamo nell’ottica di una progressiva riduzione dei divari, la distribuzione territoriale delle adesioni all’avviso e dei nuovi posti che saranno realizzati appare confortante.

Come si può vedere dalle due tabelle, per entrambi i gruppi di comuni sia il grado di adesione all’avviso, sia la percentuale di posti nido che verranno realizzati rispetto a quelli necessari per il raggiungimento del Lep sono di gran lunga più elevati al Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord.

Si tratta di risultato importante, poiché compara situazioni locali delle due circoscrizioni caratterizzate da un medesimo grado di fabbisogno.

Il decreto prevedeva, inoltre l’attribuzione di una quota residuale alle quattordici città metropolitane, sulla base della loro dimensione e indipendentemente dal fabbisogno di posti asilo. Anche in questo caso, la distribuzione territoriale delle adesioni premia quelle città meridionali che si erano caratterizzate, in passato, per l’insoddisfacente partecipazione ai bandi (tabella 3).

Cosa fare per i comuni inerti

L’avviso ministeriale non ha però risolto il problema di quei comuni che “i nidi proprio non li vogliono”, perpetuando così la questione di come assicurare il rispetto del Lep su tutto il territorio nazionale.

Se si volesse perseguire quest’obiettivo, l’ultima possibilità rimasta per realizzare i posti asilo necessari a garantire il Lep anche nei comuni che non hanno aderito né ai bandi né all’avviso sembrerebbe consistere nell’esercizio del potere sostitutivo da parte del governo centrale.

La possibilità che il governo si sostituisca ai comuni è prevista dall’articolo 120, comma 2, della Costituzione “quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

Sussiste poi la possibilità di un intervento sostitutivo “ordinario” da parte del governo, anche al di fuori della fattispecie richiesta dall’articolo 120 (la tutela dell’unità giuridica ed economica), qualora sia accertata una carenza dei servizi predisposti (o non predisposti) per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni. L’intervento può essere invocato solo “in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa nazionale definisca il livello essenziale di erogazione”.

L’esercizio del potere sostitutivo presuppone comunque almeno due requisiti fondamentali:

1) l’oggettiva e accertata inerzia dell’ente locale nello svolgimento di compiti pubblici e di soddisfacimento dei diritti dei cittadini;

2) la natura residuale dell’intervento, che deve rappresentare un rimedio di ultima istanza, a cui fare ricorso solo in caso di impossibilità o di inefficacia di altri strumenti di tipo collaborativo o negoziale.

Sugli asili nido, il primo requisito dovrebbe sussistere, considerata la conclamata inerzia di alcuni comuni rispetto all’attivazione del Lep, nonostante i finanziamenti messi a loro disposizione dal Pnrr e le maggiori risorse che ricevono dal fondo di solidarietà comunale per far fronte alle spese correnti per l’erogazione del servizio.

Anche gli strumenti collaborativi tesi a offrire loro le risorse necessarie per adempiere alla fornitura del Lep si sono rivelati inefficaci. Al contempo, appare difficile immaginare soluzioni negoziali che spingano i comuni inerti a realizzare nuovi posti asilo.

In conclusione, l’inserimento di un ulteriore comma alla norma di legge relativa al Lep per gli asili nido, che contempli la possibilità dell’esercizio dei poteri sostitutivi e ne regoli le modalità di attuazione, potrebbe essere una strada per realizzare l’equità orizzontale in questo ambito.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.

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Il Punto

  1. Savino

    Al giorno d’oggi si dice che lo Stato ha devoluto tutto alle Regioni e agli Enti Locali. Secondo questa vulgata, lo Stato si sarebbe spogliato di ogni potere. Il PNRR, L’export e le ambasciate sono in favore dei “Governatori” (che si fanno chiamare così) e dei Sindaci. La geopolitica la fanno Zaia e, fino a pochi giorni fa, Toti. Non capisco cosa aspettiamo ad uscire da questa burla e ritornare ad avere uno Stato che investa sulle politiche dell’infanzia, della scuola, sulle politiche di genere ed altro ancora.

  2. mauro tosi

    Stiamo sempre parlando nel vuoto; per quanti contributi possano essere dati ai comuni per le sedi o per buoni di frequenza l’asilo nido, come le mense scuola , i trasporti, restano servizi a domanda individuale la cui disponibilità, la frequenza , la tariffa sono a richiesta delle famiglie e in cui il Comune è obbligato a pagare una quota e a chiedere un pesante contributo alle famiglie. Non è un caso che la discriminante nell’uso non sia solo fra sud e nord ma sia pesante anche all’interno delle “ricche” regioni del norda dove solo una quota , sempre minore riesce a farsi carico del pesante costo del servizio. Selezione di censo come per la scuola dell’infanzia e per il pagamento della mensa nella scuola dell’obbligo.

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