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Per i comuni senza asili nido resta solo il potere sostitutivo*

Il passaggio dal bando all’avviso ha convinto vari comuni del Sud a chiedere le risorse per la costruzione di asili nido. Altri continuano a rinunciare, nonostante siano inadempienti rispetto alla quota di copertura. Per loro rimane una sola soluzione.

C’è chi i nidi proprio non li vuole

Per assegnare ai comuni le risorse Pnrr destinate agli asili nido, il ministero ora individua direttamente quelli che hanno più necessità di potenziare il servizio. Diverse amministrazioni incluse nell’elenco hanno comunque rinunciato ai fondi.

Che ne sarà dei nuovi nidi senza Pnrr*

La modifica del Pnrr ha ridotto il numero di nuovi posti negli asili nido da realizzare, ma il governo ha confermato gli obiettivi di copertura per il 2026 e il 2030. Nel perseguirli, andrebbe tenuto conto delle lezioni del Pnrr e dei divari territoriali.

Bonus asili nido: i numeri di una misura per famiglie *

Introdotto nel 2016, il bonus asili nido è stato fruito nel 2022 da più di 400 mila bambini, tra strutture pubbliche e private. Restano forti differenze territoriali, ma la misura può aiutare la natalità e promuovere l’occupazione, soprattutto quella femminile.

Asili nido: la copertura europea resta un miraggio

Il Pnrr stanzia ingenti somme per aumentare l’offerta di posti disponibili negli asili nido e offrire così un servizio che permetta un miglior equilibrio tra lavoro e famiglia. Ma riusciremo a raggiungere il livello di copertura fissato dall’Ue?

Bambini al nido e mamme al lavoro

Politiche pubbliche di assistenza all’infanzia sono uno strumento per ridurre le diseguaglianze sociali. Favoriscono infatti l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e l’inclusione socio-economica delle famiglie più bisognose di un secondo reddito.

Dove costruire gli asili nido del Pnrr?*

Per l’assegnazione delle risorse destinate dal Pnrr alla costruzione di asili nido, il Ministero ha scelto una procedura “dal basso”. Ma così si indebolisce l’obiettivo di offrire il servizio a tutti i bambini, indipendentemente da dove risiedano.

Obbligo scolastico: come funziona nei paesi dell’Ue

Alcuni partiti propongono di alzare l’obbligo scolastico. Ma per durata e inizio non si discosta molto dagli altri paesi europei. È sulla disponibilità di asili nido che il nostro paese resta indietro rispetto agli obiettivi europei, specie in alcune zone.

Come funziona l’obbligo scolastico in Italia e in Europa

Nella campagna elettorale, si è parlato anche di obbligo scolastico. In particolare, Terzo Polo e Partito democratico hanno avanzato proposte di riforma che mirano ad alzarne la soglia.

In Italia l’obbligo scolastico comincia a partire dai 6 anni (cioè, dal primo anno della scuola primaria) e si conclude a 16 anni (ossia, generalmente, al secondo anno della scuola secondaria di secondo grado). Successivamente, e fino al compimento dei 18 anni, sugli studenti grava un obbligo formativo, che consiste nel diritto/dovere di frequentare attività che garantiscano forme di didattica, anche se alternativa. È il caso, per esempio, dei contratti di apprendistato.

Una prima proposta avanzata sia dal Partito democratico sia dal Terzo Polo nei loro programmi elettorali mira a estendere l’obbligo scolastico da 16 fino a 18 anni, ossia fino al raggiungimento della maggiore età. Attualmente, come si evince dalla figura 1, l’Italia si colloca quasi perfettamente in linea con la media europea, che è di poco superiore ai 16 anni (16,2 per l’esattezza). Infatti, Spagna e Francia presentano la stessa “età limite” dell’Italia, mentre per la Germania è ancora più bassa. Meritano una menzione speciale Belgio, Austria e Polonia, che offrono la possibilità ai propri studenti di frequentare gli ultimi tre anni di istruzione (dai 15 ai 18 anni) con una soluzione a tempo parziale. Dunque, se la proposta di Pd e Terzo Polo fosse approvata, l’Italia si collocherebbe fra i paesi con un’età dell’obbligo più elevata.

Una seconda proposta avanzata dal Partito democratico, peraltro fortemente contestata al recente meeting di Rimini, vuole estendere l’obbligo scolastico a partire dai tre anni, in modo da rendere obbligatoria la frequentazione della scuola dell’infanzia (ex scuola materna).

Attualmente, come si vede dalla figura 2, l’Italia si attesta al di sopra della media europea, che è pari a poco più di 5 anni (5,48 per l’esattezza). In effetti, diversi paesi europei (come Polonia, Grecia e Svezia hanno reso parzialmente obbligatorio frequentare la cosiddetta pre-primary school, soprattutto per l’ultimo anno prima dell’inizio dell’istruzione primaria. Tuttavia, pur non essendo obbligatorio frequentare la scuola dell’infanzia, secondo alcuni dati della Banca Mondiale, in Italia il tasso di iscrizione nel 2020 è stato molto alto (94,6 per cento) e superiore alla media europea, che si assesta all’89,6 per cento.

Nidi in ritardo sugli obiettivi europei

L’Italia sembra dunque allineata alla media europea sia per quanto riguarda l’estremo inferiore sia l’estremo superiore del periodo dell’obbligo scolastico. Al contrario, un’area di criticità ben più urgente è quella degli asili nido, la cui capienza e distribuzione sul territorio italiano rappresentano un problema serio.

Nel 2002, il Consiglio europeo di Barcellona aveva fissato come obiettivo minimo per il 2010 che almeno il 33 per cento dei bambini compresi fra 0 e 2 anni avesse garantito un posto in un asilo nido in tutti i paesi europei. A distanza di vent’anni, l’Italia non ha ancora raggiunto l’obiettivo: infatti, il numero di posti nei servizi educativi per la prima infanzia è di 26,9 su 100 bambini e la distribuzione è estremamente variegata sul territorio nazionale: se le regioni del Centro-Nord raggiungono appena il target minimo, quelle del Sud ne sono molto distanti, con tassi compresi fra il 14,5 e il 15,7 per cento (per le Isole).

La scarsità di asili nido sul territorio implica non solo una carenza di capitale cognitivo dei bambini (con effetti sui risultati scolastici di lungo periodo), ma anche un’accresciuta disuguaglianza di genere. Infatti, come analizzato da Daniela Del Boca nel suo articolo “Pnrr, ultima chiamata per la parità di genere”, l’aumento degli investimenti complessivi negli asili nido avrebbe come effetto un aumento della partecipazione femminile al mondo del lavoro, soprattutto negli anni della maternità, e un aumento del tasso di natalità.

Comuni in confusione sugli asili nido

Il Pnrr considera prioritario lo sviluppo dei servizi educativi per la prima infanzia. Ma la legge di bilancio per il 2022 non stanzia risorse adeguate alla gestione del servizio. Ai comuni rimane un quadro confuso su risorse, obiettivi e strategie.

Il Punto

Oggi è l’8 marzo, la Giornata internazionale della donna. Lavoce la celebra pubblicando solo articoli firmati da autrici. L’Unione europea si prepara ad accogliere i profughi che fuggono dalla guerra in Ucraina. Per salvaguardare diritti e sicurezza di tutti bisogna avere la consapevolezza che investire in accoglienza e integrazione significa investire sul futuro. Chi si oppone alle quote di genere ricorre spesso all’argomento che le donne non lavorano bene con altre donne: una ricerca dimostra che la chiave è lasciare la libertà di scegliere con chi si vuole collaborare, donna o uomo che sia. Gli inquilini morosi non sono il problema più grave delle case popolari, è il modello ibrido tra mercato e welfare che mostra tutte le sue lacune. A parità di condizioni, non è vero che i cittadini del Sud evadono le imposte più di quelli del Nord. Ma è vero che nel Meridione c’è una maggiore diffidenza verso lo stato e di questo dovremmo preoccuparci. Rendere più digitali e più sostenibili le imprese sono obiettivi del Pnrr. Dalla combinazione delle due strategie derivano infatti molti vantaggi, soprattutto per le aziende di piccole dimensioni, che vanno però aiutate a trovare le risorse organizzative per affrontarle contemporaneamente. A tre mesi dal varo sono già molti gli enti non profit che hanno scelto di iscriversi al nuovo Registro degli enti del terzo settore: la riforma sta dunque raggiungendo gli obiettivi di maggiore trasparenza che si prefiggeva. Per diminuire il divario di genere nel mercato del lavoro servono servizi che permettano di conciliare lavoro e famiglia, come l’accordo sindacale che porta all’apertura di asili nido nelle sedi Fincantieri: un esempio da seguire.

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