Le alte temperature fanno accendere i condizionatori e schizzare la richiesta di energia elettrica. È questa la causa dei blackout che creano disagi a cittadini e imprese. Bisogna intervenire sulle reti se si vogliono usare di più le fonti rinnovabili.
Il problema
Anche quest’estate, come ogni anno, tornano i blackout: le alte temperature portano a un intenso uso dei condizionatori, che sovraccaricano la rete elettrica e provocano interruzioni nella fornitura di elettricità, con disagi per i cittadini e le attività economiche, costrette a una sospensione forzata della produzione e dei servizi.
I condizionatori sono, infatti, tra gli elettrodomestici che consumano più energia: una famiglia italiana in un anno consuma mediamente 450 kWh per l’alimentazione del condizionatore, un fabbisogno energetico estremamente elevato considerando i pochi mesi di utilizzo. Per esempio, per il frigorifero, un elettrodomestico attivo tutti i giorni per 24 ore al giorno, mediamente occorrono 300 kWh all’anno. L’utilizzo intensivo dei condizionatori porta a picchi di fabbisogno energetico a livello nazionale di oltre 50 gigawatt durante i mesi estivi, valore che non si raggiunge mai durante il resto dell’anno, nemmeno durante i picchi invernali.
Figura 1
Nota: misurazione ogni 15 minuti dal 1° gennaio 2021 al 24 luglio 2024. Sono evidenziati i periodi 1° giugno – 1° settembre. Fonte: Terna.
Ai blackout non contribuisce solo il sovraccarico della rete: il caldo causa anche alcuni guasti, come nel caso dei cavi interrati che tendono a sciogliersi per le alte temperature del suolo.
Ad amplificare il problema, ci sono i gas refrigeranti che circolano all’interno dei condizionatori (gli idrofluorocarburi): essi contribuiscono all’effetto serra potenzialmente più dell’anidride carbonica e il calore antropico generato aggrava ulteriormente l’effetto “isola urbana di calore”, il fenomeno per il quale nelle città, a causa della poca vegetazione, dei materiali con cui sono costruiti edifici e strade e fonti artificiali di calore (come appunto i condizionatori), il calore viene assorbito (e prodotto) maggiormente rispetto alle zone rurali. Paradossalmente, quindi, i condizionatori aggravano il problema delle alte temperature che cercano di risolvere.
I dati
Parrebbe che dai primi anni Duemila siano stati fatti ammodernamenti – seppur modesti – della rete elettrica per poter distribuire una quantità di energia sempre più elevata ed evitare così i disagi dei blackout. Tuttavia, nel 2023, il numero di interruzioni è tornato a crescere rispetto al triennio precedente, a causa delle temperature sempre più elevate: di conseguenza, ogni cliente della distribuzione ha passato più di un’ora e mezza senza fornitura di energia elettrica, corrispondente a una media di 4,87 interruzioni per cliente all’anno (circa 20 minuti a interruzione).
Figura 2
Se poi si considerano solo i consumatori allacciati alla media tensione (l’energia utilizzata in ambito industriale, nelle grandi aziende e per il trasporto ferroviario, con un voltaggio superiore alla bassa tensione che arriva nelle abitazioni e nelle piccole imprese), una normativa specifica stabilisce per loro un numero massimo di interruzioni dell’energia elettrica a cui possono essere sottoposti: il limite è 6 volte (se il comune ha più di 50 mila abitanti) o 9 volte (se il comune ha tra i 5mila e i 50mila abitanti): nel 2023 il 9 per cento degli utenti in Italia (26 per cento se si considerano solo le regioni meridionali) ha registrato interruzioni superiori a questi standard che hanno portato a un indennizzo di 28 milioni di euro.
La saturazione della rete elettrica, con le conseguenti interruzioni di corrente, è un problema che riguarda la maggior parte delle province italiane: e-distribuzione, società di distribuzione di energia elettrica, individua le aree critiche per disponibilità e capacità di rete, identificate secondo i criteri stabiliti da Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente. Le zone vengono suddivise in alta, media, bassa e bassissima criticità in base alla potenza di carico minima e quella richiesta: secondo questa classificazione, nel mese di luglio 2023, il 20,6 per cento delle province italiane si trovava in una situazione di alta criticità, il 62,6 in media criticità, il 6,5 in bassa criticità e il 7,5 in bassissima criticità.
Figura 3
Le possibili soluzioni
Gli interventi fatti fino a ora non sono stati quindi sufficienti a eliminare le criticità. Tra le soluzioni al fenomeno dei blackout estivi si possono individuare interventi direttamente sulla rete elettrica, sull’immagazzinamento dell’energia e sul comportamento dei cittadini.
Per quanto riguarda la rete elettrica, necessita di essere ammodernata, in quanto i cavi più vecchi sono meno resistenti e più soggetti a guasti, e allungata, per tenere il passo con la produzione di energie rinnovabili e il nostro fabbisogno. Infatti, la lunghezza della rete elettrica globale dovrà raddoppiare rispetto a quella attuale entro il 2040. C’è poi l’ipotesi di “smart grid”, cioè le reti intelligenti, che sono una rivoluzione con benefici enormi: ottimizzano la distribuzione dell’energia elettrica e sono inoltre reti decentralizzate per evitare “colli di bottiglia”. A queste soluzioni sono già stati assegnati fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza: 500 milioni per migliorare la resistenza delle reti agli eventi estremi e 3,6 miliardi per l’implementazione delle smart grid.
Sullo stoccaggio dell’energia, ci sarebbero le batterie domestiche, ancora piuttosto costose, e altre sicuramente ne arriveranno come i palazzi che si ricaricheranno: due ricercatori sono riusciti a rivoluzionare la formulazione del comune cemento per rendere gli edifici degli enormi accumulatori in grado di rilasciare l’energia immagazzinata da fonti rinnovabili. Nell’immediato (e più concretamente), invece, si possono sensibilizzare i cittadini a un uso più consapevole e a un’estensione dell’obbligo di temperatura minima di 27 gradi negli edifici pubblici e in quelli privati.
Di possibili soluzioni ce ne sarebbero diverse molte, il problema tuttavia resta metterle in pratica.
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Kim ALLAMANDOLA
Gentile Autrice,
da qualcuno che ha studiato e poi implementato (non sono un edile né ho interessi nel comparto) per se “il new deal”, ovvero costruito a nuovo, aggiungendo poi f.v. domestico autocostruito (qui, Francia è legale [1]) ed auto elettrica: per implementare il new deal serve costruire a nuovo e per farlo servono piccoli edifici, case unifamiliari, capannoni, perché sono il questi possiamo far f.v. domestico di taglia adatta all’autoconsumo, la sola modalità sensata d’uso delle rinnovabili, e solo in questi possiamo aver consumi elettrici e di risorse naturali tali da poter convergere ad elettrico.
Per farla compatta: il modello California è la prova della fallimentarietà di pensare le rinnovabili come servizio “inseribile” nell’esistente. Una casa nuova si riscalda/raffresca a latitudini italiche con ~1kW, ovvero circa 1/7|1/10 di quel che serve ad una casa (intera) media “classica”. A livelli così bassi di assorbimento possiamo elettrificare, oltre anche se migliora la trasmissione non c’è abbastanza generazione per farlo. Non solo, le rinnovabili in rete implicano una pesante e rapida variazione del carico medio alle grandi centrali, per cui sopra una certa soglia provocano blackouts tanto maggiori (per estensione e durata) quanto maggiore è la quota rinnovabile senza stoccaggio in rete.
Ora ho l’intera casa a 21℃ con 29℃ (a nord, all’ombra) consumando ZERO da rete, e per il condizionamento consumando ~1050W tra VMC termodinamica (VMC doppio flusso con compressorino) e aria condizionata principale (PdC aria-aria). Nel mio vecchio appartamento avrei condizionato un vano piccolo ed uno piccolissimo alla stessa potenza assorbita, da rete ovviamente, perché in condominio il f.v. può aver potenze di picco utili agli appartamenti all’ultimo piano al massimo, non certo per l’intero condominio. Questo è il vero punto: o si AMMETTE che il New Deal è possibile solo vivendo sparsi, modello maggioritario in Francia, Irlanda, ma anche Paesi Bassi, Belgio, (ri)costruendo a nuovo, rinunciando all’Agenda 2030 in cui ogni cosa è servizio e noleggio per i più o il new deal è impossibile e il livello di qualità della vita cui siamo abituati è impossibile per conseguenza.
Possiamo come risorse naturali costruire a nuovo per quasi tutti in occidente, ricreando un’economia viva, innovativa e vivace di PMI alla giusta densità di scala per l’oggi, che è ben minore di quella urbana inevolvibile ed iper-costosa per eccesso di densità, con un programma pubblico di deurbanizzazione che proponga permuta a privati di vecchi immobili contro nuovi, a condizione che siano immobili di residenza o reddito (ma sempre solo privato) in luoghi localmente stabili (niente alluvione o frana sulla casa, poco importa se gli arriva vicino) a condizione che dai consumi si provi la reale classe A, programma che può esser accettato inizialmente da pochi abbastanza da non romper l’offerta per eccesso di domanda, principalmente telelavoratori e pensionati ancora arzilli, che aprono la via con la loro mera nuova residenza ad altre coorti, per i servizi ai primi, e le successive ad altre ancora generando una crescita di qualche decennio che ricostruisce il paese ed il suo tessuto economico, cosa COMUNQUE necessaria, visto che il grosso del costruito e l’economia finanziarizzata cadono a pezzi, tornando ad un modello economico del fare industriale ed intellettuale che fu quello che fece la nostra fortuna e che sta facendo quella Cinese oggi. Certo, i giganti muoiono, la gig economy in primis, ma la nazione vive, ed evolve, e crea un meccanismo dove c’è spazio per evolvere.
Difficile compattare oltre, ma ben interessato a farlo qualora vi sian domande sul tema. Quel che posso dire qui come riassunto di quanto sopra è che il new deal è impossibile nel costruito presente e non si può integrare nella rete elettrica nazionale, mentre in autoconsumo permette la convergenza ad elettrico SENZA far salire i consumi da rete in maniera significativa. Serve ELIMINARE la speculazione attuale, per cui f.v. e stoccaggio costano un 80% in più che nei BRICS, e sono spesso venduti a oltre il 200%, cosa che si ottiene con un programma pubblico e serve rinunciare a nutrire una finanza autofaga che oramai ha esaurito la paglia e può solo sperare di vincere una guerra mondiale che non abbiamo le condizioni di vincere umane, solo quelle distruttive, sfruttando le grandi vulnerabilità demografiche (Cina), climatiche (India, Indonesia ecc) ed industriali (Russia) di coloro che vogliamo rapinare ed impedire di evolvere a livelli Europei.
[1] ed è una lezione che l’Italia dovrebbe imparare, gli impianti elettrici sono certificati dal CONSUEL, un ente emanazione del gestore della rete (ERDF, equivalente di Terna) non da chi li fa, lasciando l’autocostruzione legale come opzione che rende conveniente ai prezzi correnti il f.v.
Davide
Non avrebbe piu senso investire nel rendere le citta intrinsecamente meno calde?
L’aria condizionata individuale é un enorme spreco in termini di efficienza, anche per via dell’uso scorretto che ne viene fatto in molti casi.
Isole urbane verdi, camini condominiali per estrarre laria calda ed immettere quella fresca, migliore coibentazione, per intervenire prima di dovere mettere l’aria condizionata.