I paesi europei hanno una lunga tradizione nell’industria aerospaziale e competenze tecniche di alto livello. Eppure, nel contesto internazionale non sembrano esercitare un ruolo adeguato. Per ottenerlo è necessario cambiare la governance dell’agenzia spaziale europea.

I numeri dell’economia dello spazio

Quali sono gli elementi fondamentali per una ricetta di successo in un settore ad alto tasso di innovazione come quello spaziale, in particolare in un periodo dove l’interesse per la space economy è in crescita? E come si posiziona l’Europa in questo scenario?

Prima di rispondere alle due domande, parliamo di numeri: 570 miliardi di dollari il valore stimato della space economy nel 2023 su scala planetaria, 1.800 miliardi di dollari la stima al 2035, 117 miliardi di dollari la spesa pubblica nel settore inclusa la difesa, che copre una quota di 59 miliardi.

Guardiamo all’Europa. Il budget delle tre organizzazioni intergovernative “europee” Esa, Eumetsat e Eso prese assieme ci porta a un totale di 6.357 miliardi.

L’Agenzia spaziale europea (Esa), istituita nel 1975 con lo scopo di sviluppare programmi spaziali di ricerca e sviluppo per uso pacifico, conta oggi ventidue stati membri (Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania, Spagna, Svezia, Svizzera, Ungheria). La Slovenia ha firmato l’accordo e dal 1° gennaio 2025 sarà il ventitreesimo stato membro dell’Esa, mentre tre paesi che vi aderiscono non fanno parte dell’Unione europea (Norvegia, Regno Unito e Svizzera). Eumetsat (European Organization for the Exploitation of Meteorological Satellites), istituita nel 1986, gestisce satelliti per il monitoraggio delle condizioni ambientali e climatiche e raggruppa trenta stati membri (Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Latvia, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Regno Unito, Ungheria), di cui cinque non sono membri dell’Unione europea (Islanda, Norvegia, Regno Unito, Svizzera, Turchia). Eso (European Southern Observatory), istituito nel 1962 si occupa di ricerca astronomica nell’emisfero australe e annovera sedici stati membri (Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Olanda, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito) di cui due non appartenenti all’Unione europea (Regno Unito, Svizzera).

Quanto spende l’Europa nel settore

Ma che capacità di spesa ha nel settore l’Europa? È un dato importante per condurre una analisi in termini assoluti e di confronto con i principali paesi su scala globale. Non conteggeremo in questo esercizio il budget relativo a Esa/Eumetsat/Eso. La ragione è che il budget delle tre organizzazioni intergovernative si forma grazie all’insieme dei versamenti da parte degli stati membri e dell’Ue (Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Rep. Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Latvia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia).

Leggi anche:  C'è chi i nidi proprio non li vuole

Per capire quanto ha speso l’Europa nel 2023 nel settore spaziale, prenderemo quindi come riferimento la spesa dei 27 paesi dell’Ue a cui sommeremo il contributo Ue. Dobbiamo inoltre considerare che cinque paesi Ue non sono membri o membri associati o stati cooperanti Esa: Bulgaria, Croazia, Cipro, Estonia, Latvia.

Confrontiamo il dato così ottenuto con quello che si ricava aggiungendo il contributo degli stati membri di Esa e Eumetsat (i paesi Eso sono ricompresi negli insiemi Esa e Eumetsat, escludendo la Turchia dal conteggio per uniformità) che non sono nell’Ue, e infine lo compariamo con gli impegni di spesa dei principali paesi diversi dall’Europa. E qui cominciano le sorprese. La spesa complessiva in Europa nel 2023 è stata pari a circa 13 miliardi, che raggiunge i 15 miliardi se includiamo Svizzera, Norvegia e Regno Unito. Certamente è un dato molto distante dagli investimenti Usa, che si aggirano intorno ai 72 miliardi, ma è comparabile con quello della Cina, che si aggira sui 14 miliardi. Il Giappone totalizza 4,6 miliardi e il Canada circa 700 milioni. Per diverse ragioni, il calcolo potrebbe non essere preciso, ma quello che qui ci interessa considerare è l’ordine di grandezza, e le differenze sono molto significative.

Se consideriamo che i principali paesi europei sono molto attivi nel settore sin dall’avvio dell’era astronautica con notevoli competenze tecniche, ci saremmo aspettati di trovare l’Europa posizionata subito dopo gli Usa in settori come, ad esempio, l’accesso allo spazio, l’orbita bassa terrestre, l’esplorazione del sistema solare. Invece, la situazione sembra diversa: nonostante ci siano segnali molti positivi di ripresa, l’accesso allo spazio per l’Europa rimane una questione per il momento irrisolta, soprattutto in termini di competitività su scala globale.

Per l’orbita bassa si registra qualche attività in termini di costellazioni satellitari, ma certamente minore rispetto ad attori – anche privati – che provengono dal mercato americano, mentre non ci sono ancora iniziative consolidate per lo sviluppo autonomo e l’accesso a infrastrutture LEO post-ISS, (stazioni spaziali commerciali in orbita bassa dopo la cessazione delle operazioni sull’International Space Station (Iss) nel 2030). Nell’esplorazione del sistema solare, l’Europa ha dichiarato il pieno supporto al programma Artemis di ritorno sulla Luna e sta producendo diversi moduli sia per il Gateway lunare che per le infrastrutture di superficie, ma ciononostante alla missione Artemis II che andrà in orbita lunare è stato assegnato un canadese oltre a tre astronauti americani e per Artemis III, che scenderà sulla superficie lunare, un membro dell’equipaggio sarà giapponese. L’Esa dovrebbe essersi assicurata alcuni voli per il Gateway in Artemis IV e V, ma per molti anni ancora non vedremo nessun europeo sulla superficie della Luna.

Leggi anche:  Fsc, il fratello minore delle politiche di coesione

Una governance da ripensare

Il limitato ruolo dell’Europa sembra avere radici di natura diversa, compresa la questione del geo-ritorno in ambito Esa (il ritorno geografico è un meccanismo che incentiva gli stati membri a investire in programmi di interesse per la propria industria in quanto il finanziamento nazionale, depurato dei costi di gestione, viene poi investito dall’Esa in contratti all’industria di quel paese). In ogni caso, non è una questione di mancanza di competitività tecnica e neppure di investimenti, almeno pubblici. Guardiamo invece alla governance. I programmi sono gestiti da tre organizzazioni intergovernative (Esa, Eumetsat e Eso), dalla Direzione generale Dg-Defis in Commissione europea, da Euspa, l’agenzia dell’Ue per i programmi spaziali, e in più ogni stato membro ha una propria agenzia o ufficio spaziale. Non si dovrebbe forse procedere a una razionalizzazione? Esa/Eumetsat/Eso, messi assieme, totalizzano 6,3 miliardi, cioè meno della metà della spesa complessiva europea. Ciò significa che gli stati membri investono anche in programmi nazionali e bilaterali paralleli oltreché nei programmi comuni europei. I molti attori coinvolti producono una governance non efficiente e che impedisce all’Europa di ottenere sulla scena internazionale risultati e benefici che siano comparabili agli investimenti fatti.

In un libro molto interessante di Giovanni “Nanni” Bignami e Andrea Sommariva pubblicato nel 2017 da Castelvecchi e intitolato L’economia dello spazio: le sfide per l’Europa, il punto viene sottolineato chiaramente: l’Europa è a un bivio (lo era già nel 2017), e può decidere di perseverare con l’attuale configurazione, col rischio di emarginazione, o può procedere, come suggeriscono gli autori, alla creazione di una agenzia federale fra gli stati membri dell’Unione.

Si tratta di una operazione a mio avviso estremamente complessa, anche se qualche azione si potrebbe cominciare a intraprendere, come ad esempio l’assorbimento delle agenzie spaziali nazionali all’interno dell’Esa, che potrebbe evolvere in agenzia federale, con le agenzie nazionali che potrebbero trasformarsi in uffici locali. È solo una delle possibili soluzioni e la scelta è appannaggio degli stati membri, che però sono allineati a geometria variabile. L’obiettivo resta sempre quello di rendere più efficiente il sistema: per tornare ad avere una Europa rilevante nello spazio, come e più di prima, è cruciale prendere subito una decisione, qualunque sia la nuova governance che si sceglierà di adottare.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Fsc, il fratello minore delle politiche di coesione