Al centro di molte discussioni, l’overtourism non va ridotto a una battaglia tra residenti e lavoratori del settore. Bisogna invece attuare strumenti che permettano di regolare e gestire il fenomeno. Anche perché riguarda zone ben delimitate.
I valori del turismo
Nell’estate 2024 si è parlato tanto del fenomeno “nuovo” dell’overtourism. Dati concreti, però, ce ne sono pochi. E semmai dimostrano che il nostro territorio non è ingolfato, gli alberghi non sono strapieni e la stagione estiva non è andata poi così bene.
Sempre di più, in tutta Italia, il valore economico prodotto dal turismo (spese, fatturati, lavoro generato) si va intrecciando con tanti altri e diversi elementi immateriali, che appaiono la necessaria connotazione della marca forte di un territorio protagonista anche per le quantità di turisti – soprattutto internazionali – che lo scelgono: il nostro paese è la destinazione più desiderata al mondo, o comunque sempre una delle prime.
Questi valori prendono il nome generico di sostenibilità (ambientale), ma poi si specificano nella solidarietà sociale, nella legalità anche nei confronti del lavoro, nell’equità economica e retributiva, nel rispetto delle identità locali, e così via.
È a questi concetti che occorre fare riferimento anche nel trattare la questione dell’overtourism, altrimenti si resta intrappolati in una assurda querelle tra “residenti” da un lato e “camerieri” dall’altro.
Turismo fenomeno globale, sovraturismo puntuale
Parliamo di eccessi di turismo (sovraturismo o sovraffollamento) quando il tipo e il periodo delle visite eccedono la capacità di carico di una destinazione o di alcuni suoi punti di interesse, così da avere conseguenze negative sui residenti, offrire un’esperienza turistica degradata, sovraccaricare le infrastrutture, creare danni alla natura o minacce alla cultura e al patrimonio, come dice l’Organizzazione mondiale del turismo – Unwto.
Sempre secondo Unwto, ci troviamo nell’ambito di una crescita della domanda turistica internazionale prevedibilmente impetuosa, che vede già nel 2024 il pieno recupero dei livelli pre-Covid e prospetta per il 2030 un sostanziale raddoppio del dato mondiale rispetto al 2013, con due miliardi di viaggiatori internazionali.
Figura 1
Ciononostante, il sovraturismo:
- non è un fenomeno globale; e infatti la gran parte del mondo non ne soffre;
- non è un caso nazionale, in quanto la maggior quota di territorio (si pensi anche solo alle aree interne e rurali) è investita solo in modo marginale dai fenomeni turistici;
- non riguarda intere regioni e neppure territori comunali nella loro interezza, neppure a Venezia, Firenze, Bologna e tantomeno Roma, tutti comuni molto più vasti dei pochi punti in cui si verificano eccessi di concentrazione.
L’overtourism è un fenomeno multi-locale, che riguarda alcuni “punti di interesse” nei quali per vari motivi, in determinati momenti, si creano concentrazioni eccessive di persone non residenti. Accade magari per azioni più o meno volute di marketing, ma sempre più per una etero-genesi, come nel caso delle crociere, o causate dai turisti stessi per la potenza dei social e in particolare di Instagram.
I pernottamenti si possono governare
Da una parte ci sono gli ospiti pernottanti, al cui numero concorrono diversi fattori e soggetti, anche locali, e quindi si prestano soprattutto ad azioni di gestione locale. Le amministrazioni locali sono in grado di governare la crescita degli esercizi ricettivi convenzionali, come gli hotel. Ma le conseguenze più negative derivano dalla crescita incontrollata – e finora incontrollabile – della ricettività “non convenzionale”, come le case affittate per periodi brevi, il cui prezzo crescente incide poi sulla capacità dei residenti di trovare alloggi abbordabili.
Questo tipo di ricettività risulta “sommersa” anche per quanto riguarda il lavoro, spesso “nero”, o riferito ad altri settori: dalle pulizie alle manutenzioni, fino alle lavanderie. Non mancano però le iniziative per arrivare a una gestione più rigorosa del fenomeno – a ben vedere il vero e proprio sovraturismo: a livello nazionale. Per esempio, l’istituzione del Codice unico delle strutture ricettive costringe tutte all’emersione e al rispetto delle normative fiscali, lavoristiche, sanitarie e di pubblica sicurezza. A livello comunale, poi, vi sono varie esperienze di successo nel contrasto al proliferare degli affitti brevi, soprattutto dove le normative lo consentono, come a Barcellona e Amsterdam. In Italia, invece, norme di questo tipo non ci sono ancora.
Gli escursionisti si devono gestire
L’altro lato della medaglia ha per protagonisti gli escursionisti che fruiscono per poche ore di “beni comuni rari” senza un reale controllo, molto spesso per effetto di scelte e interessi extra-locali: primi tra tutti i tour operator e bus operator, poi le compagnie di crociera e quelle di navigazione, infine anche i trasporti ferroviari veloci.
Anche in questo caso, la capacità di controllo è molto ridotta, sul territorio restano tanti costi e pochi ricavi; anche il lavoro non fa riferimento alle imprese turistiche ed è particolarmente precario e sottopagato.
Al contrasto del sovraffollamento causato dai non pernottanti sono già dedicate alcune sperimentazioni, anche in Italia. Vanno dal “numero chiuso” (scelto da molti parchi naturali) all’imposizione di “ticket” (Venezia, ma anche nei musei e siti archeologici, in molte chiese, al Pantheon e in prospettiva perfino alla Fontana di Trevi), all’obbligo di prenotazione, come avviene ormai diffusamente per molti spazi pubblici e per quasi tutte le imprese private (a teatro, nei cinema, negli alberghi, al ristorante, per citarne alcuni).
Mediare e gestire interessi diversi
Lo scontro tra interessi diversi tra di loro non porta automaticamente a una visione univoca e richiede una capacità di regolamentazione e governance sempre più evoluta.
Da un lato, come sta accadendo in Italia, si può pensare di aumentare l’imposta di soggiorno, o di far pagare anche la fruizione degli spazi pubblici molto ricercati.
D’altro canto, anche la sola prenotazione obbligatoria, più o meno onerosa, può consentire di preservare la qualità della vita dei residenti e la fruizione da parte degli ospiti.
Occorre istituire piani di confronto e di contrattazione con i grandi player esterni alle destinazioni turistiche, dalle crociere alle ferrovie, per contrastare l’eccesso di concentrazione negli spazi e nei tempi.
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Adriano Devita
Da veneziano residente temo che non siano chiare alcune cose per chi non vive direttamente gli effetti dell’overtourism. A Venezia è coinvolta tutta la città, non solo un zona (Mestre non è Venezia) la popolazione residente è ridotta al lumicino. Con essa tendono a scomparire gli asili, le scuole, i reparti di maternità. Il tessuto sociale si è quasi disintegrato e sono comparsi fenomeni di criminalità prima inesistenti anche perché tenuti sotto controllo dai residenti stessi.
Il problema è che – superata una certa soglia non si torna indietro. Ci sono punti di non-ritorno. Una intera città con mille anni di storia sta facendo la fine dei paesini abbandonati delle zone più impervie del Paese. Prenotazioni, city card e simili si sono da tempo rivelati pannicelli caldi, sostanzialmente inutili. Questa deriva si può invertire solamente andando contro il mercato, rendendo gli affili brevi meno convenienti di quelli a lungo termine e attirando aziende adatte al tipo di città.
Servono costosi e decisi interventi pubblici che però nessuno sembra intenzionato a fare.
Artemisio
“la crescita incontrollata – e finora incontrollabile – della ricettività “non convenzionale”.
Direi una crescista incontrabile perchè non controllata.
Venezia è l’unica città italiana a cuì è stata attribuita la possibilità di regolare gli affitti brevi e non ha dato seguito alla cosa. Molti sindaci negano ci sia un problema del genere nonostante associazioni di cittadini di diverso tipo denuncino le ricadute negative crescenti portate da questo tipo di attività.
L’imposizione di tutta la normativa conseguente al codice CIN avrà bisogno di un apparato di controlli che vede tra gli attori proprio quelle autorità comunali che sono le prime a negare il problema.
Il codice CIN potrebbe essere utile per intervenire sul sommerso. Ma è il settore nel suo complesso, sommerso o meno, che senza limiti alla crescita incide in maniera negativa in tante città.
Se mai si dovesse riuscire ad avere una normativa simile a quella di altri paesi anche in Italia (a dispetto delle forti pressioni contrarie del settore) questa dovrebbe prevedere, entro certi limiti, degli automatismi che possano aggirare l’inerzia delle autorità locali.