Una norma del Codice degli appalti identifica i criteri della maggiore rappresentatività sindacale. Sembra fatta apposta per dar forza al nuovo contratto collettivo “multi-manifatturiero”. E mettere in discussione l’intero sistema sindacale interconfederale.

Per la prima volta individuati i criteri per la rappresentatività comparata

È arrivato alla Camera, per il parere necessario, il decreto legislativo di riforma del codice degli appalti che, per la prima volta, stabilisce come va selezionato il contratto collettivo cui si deve fare riferimento per la determinazione del costo del lavoro negli appalti pubblici.

La norma (art. 63) indica criteri assai discutibili, Vediamo perché.

Per la verifica della maggiore rappresentatività delle associazioni stipulanti è necessario considerare:

  1. il numero complessivo dei lavoratori associati: dato che fino a oggi non è mai stato certificato in alcun modo;
  2. il numero complessivo delle imprese associate: anche questo dato fino a oggi non è mai stato certificato in alcun modo;
  3. la diffusione territoriale delle sedi al livello nazionale e nei vari settori: il dato perde ogni significato, perché non è chiarito che cosa si intende per “sede” (anche la domiciliazione presso uno studio professionale? o una cassetta postale?);
  4. il numero dei contratti collettivi nazionali sottoscritti: dato, anche questo, pochissimo significativo, dal momento che qualsiasi associazione può firmare un numero indefinito di contratti collettivi (al Cnel sono depositati 272 contratti (il 62,7 per cento) firmati da sindacati diversi dai confederali, che non sono considerati come “contratti pirata”, ma nondimeno ne è ignota l’estensione del campo effettivo di applicazione.

Sta di fatto che questi criteri scardinano il sistema interconfederale di relazioni industriali fondato sul Testo unico sulla rappresentanza sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria nel 2014 e sembrano fatti su misura per legittimare il nuovo “contratto multi-manufatturiero” stipulato da Confimi con Confsal.

La bomba del Ccnil

Il 19 settembre, alla presenza della ministra del Lavoro Marina Calderone, è stato presentato il nuovo contratto collettivo nazionale intersettoriale di lavoro (Ccnil) stipulato a marzo. Una novità assoluta nel panorama delle relazioni industriali italiane, che mira in prospettiva a garantire una omogeneità di trattamento giuridico per tutti i lavoratori del settore manifatturiero. È firmato da due sigle: Confsal (Confederazioni sindacati autonomi lavoratori rappresentata al Cnel da due membri) e Confimi, che autocertifica di rappresentare 45mila imprese.

Il Ccnil individua il proprio campo di applicazione nell’insieme di questi settori: alimenti e bevande, legno e arredo, carta e prodotti di carta, tessile, abbigliamento e moda, calzature, pelle e cuoio, penne, spazzole e pennelli, occhiali, giocattoli, chimica, concia e settori accorpati, gomma e plastica, abrasivi, ceramica, vetro, settore Ict. Ha l’ambizione di sostituire, in questi campi, i contratti collettivi tuttora in vigore firmati dai sindacati confederali. Qualsiasi datore di lavoro potrà dunque applicare il Ccnil semplicemente aderendo a Confimi. In alcuni casi potrà comportare un aumento dei costi sul piano retributivo, ma la contropartita consiste in una semplificazione delle relazioni sindacali in azienda e della gestione dei rapporti di lavoro.

La clausola di disapplicazione automatica dei vigenti contratti stipulati anche dai sindacati aderenti a Cgil, Cisl e Uil avrà un effetto dirompente per il sistema delle relazioni industriali che negli ultimi dieci anni è stato regolato del Testo unico sulla rappresentanza per le imprese aderenti a Confindustria e Cgil, Cisl, Uil e la stessa Confsal.

Ecco alcune delle novità più rilevanti previste dal Ccnil:

  • il riconoscimento della sola rappresentanza sindacale aziendale (costituita a norma dell’art. 19 Statuto dei lavoratori) come unico organo interno alla azienda; ciò significa che nelle aziende che applicheranno il Ccnil non vi saranno più le elezioni della rappresentanza sindacale unitaria e, quindi, verrà meno uno dei parametri cruciali previsto dal Codice della rappresentanza del 2014 per la misurazione della rappresentatività sindacale (cosiddetto dato elettorale). Potranno poi essere nominati rappresentanti sindacali e godere dei diritti sindacali in azienda esclusivamente i lavoratori nominati nell’ambito dei sindacati che firmano o aderiscono al Ccnil;
  • la ridefinizione della struttura della retribuzione che si divide in: retribuzione fissa e retribuzione variabile, in gran parte affidata alla contrattazione territoriale o aziendale. Per ogni livello è individuata la paga oraria, che non scende al di sotto dei 9 euro. Per l’adeguamento dei salari non si applica l’Ipca (previsto nel sistema interconfederale), ma un sistema di adeguamento annuale al costo della vita;
  • uno standard retributivo minimo uguale per tutti, indipendentemente dal luogo e dal settore economico, fissato a 9 euro l’ora da intendersi come minimo tabellare lordo, corrispondente a un minimo mensile lordo di euro 1.560 (9 x 173) (art. 34.1): a questi minimi devono essere aggiunti gli altri emolumenti di natura fissa (scatti periodici, mensilità aggiuntive e ratei Tfr) nonché ogni emolumento o indennità di natura variabile;
  • la semplificazione: il contratto si compone di una parte generale e trasversale applicabile a tutti i settori della manifattura e una parte speciale che affronta in maniera puntuale – dove presenti – le tipicità dei settori produttivi coinvolti; la semplificazione interessa particolarmente ai consulenti del lavoro e agli altri professionisti del settore, anche in considerazione dell’introduzione, nel Ccnil, di una disciplina specifica del contratto di rete (art. 58.1) che aiuta a gestire la cosiddetta codatorialità.

Verso una destrutturazione del sistema di relazioni industriali

Se i vantaggi sono legati soprattutto alla riduzione del numero dei contratti collettivi, non pochi sono i difetti che questo modo di fare contrattazione comporta.

A partire dalla destrutturazione delle relazioni industriali. È dal 2014 che le maggiori confederazioni si sono attrezzate per darsi regole condivise fondate sul mutuo riconoscimento, sia nella misurazione della rappresentanza sindacale sia nel garantire la più ampia efficacia del contratto collettivo siglato dai sindacati maggiormente rappresentativi. Il nuovo Ccnil sembra tuttavia avere l’ambizione di rispondere ai requisiti legali che il governo ha individuato nel nuovo codice degli appalti per la maggiore rappresentatività comparata. È infatti assai probabile che sarà proprio questo nuovo contratto ad avere i titoli per essere individuato come parametro per la determinazione del costo del lavoro, almeno negli appalti cui si applicherà il nuovo codice.

La vicenda presenta qualche analogia con quella della Fiat, quando nel 2010 Sergio Marchionne uscì dal sistema interconfederale delle relazioni sindacali revocando l’adesione a Confindustria e negoziando un contratto collettivo di primo e di secondo livello valido soltanto per gli stabilimenti del gruppo. Allora la Corte costituzionale (sentenza n. 231/2013) disse che quell’accordo volto a escludere dagli stabilimenti Fiat la Fiom-Cgil (in quanto non firmataria non era ammessa a nominare la Rsa) era illegittimo per violazione dei principi di democrazia sindacale, che non consentono di tenere fuori dalla azienda i sindacati di fatto maggiormente rappresentativi.

In sostanza, per essere rappresentativi i sindacati non devono necessariamente firmare un contratto collettivo che non condividono, pur avendo attivamente partecipato alla sua negoziazione, in alcune circostanze possono anche astenersi dal sottoscriverlo.

Qualche cosa di analogo potrebbe verificarsi ora, perché nell’ambito di applicazione del nuovo Ccnil si assisterebbe al paradosso di accordi siglati da sindacati aderenti alla sola confederazione ammessa nell’impresa, la quale in questo modo si garantirebbe la totale esclusione di ogni voce dissenziente o contrapposta: non stupirebbe che, a seguito dell’estromissione dei sindacati aderenti alle confederazioni maggiori, un giudice del lavoro qualificasse questo “sindacato unico” come “sindacato di comodo”, applicando la sanzione prevista dagli articoli 17 e 38 dello Statuto dei lavoratori.

In ogni caso, i datori di lavoro iscritti alla Confimi o aderenti al Ccnil possono già applicare il nuovo contratto sia ai nuovi assunti sia a chi è già in servizio, fermi restando i diritti acquisiti. Se e quanto questa sfida al nostro sistema di relazioni industriali tradizionale avrà successo o invece finirà sugli scogli della “condotta antisindacale”, lo si vedrà nei prossimi mesi.

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