Parte delle coperture previste dalla legge di bilancio per spese certe sono una scommessa. Il governo ipotizza infatti che la riduzione del carico fiscale sul lavoro e le misure di sostegno alle famiglie si trasformino in una crescita del Pil. Ma sarà così?
Entrate incerte per le coperture
La legge di bilancio all’esame del Parlamento contiene per il 2025 coperture per 26,35 miliardi, di cui 19,76 miliardi sono minori spese o definanziamenti e solo 6,59 miliardi maggiori entrate. Di queste ultime, 1,62 miliardi (ovvero circa un quarto del totale) sono entrate cosiddette da “effetti di retroazione”, che dovrebbero arrivare da un supposto immediato effetto espansivo della riforma fiscale.
Sui 6,59 miliardi di maggiori entrate, quelle veramente certe ammontano in realtà a circa 1,46 miliardi. Una parte deriva da un escamotage tecnico (utilizzato in genere ogni anno) – imporre imposte anticipate sulle rivalutazioni dei terreni e delle partecipazioni (circa 840 milioni); vi sono poi una serie di altre entrate di minore entità. La promessa imposta sugli extraprofitti bancari è di fatto un prestito (a tasso zero), pari a 3,51 miliardi, graziosamente concesso dal sistema bancario e assicurativo al governo italiano.
A tutto ciò si aggiunge appunto la una copertura rappresentata da 1,62 miliardi per il 2025, che deriverebbe dalle maggiori imposte incassate sull’effetto espansivo dovuto alla riforma fiscale. In sostanza, il governo stima che la riduzione del carico fiscale sul lavoro e le misure di sostegno alle famiglie si trasformino subito in una crescita del Pil del prossimo anno.
Peraltro, il governo non fa altro che replicare, con strumenti diversi (detrazioni e bonus), l’attuale sgravio contributivo assieme alla già adottata riforma Irpef del 2023. Tuttavia, lo sgravio contributivo effettuato nel 2023 non era stato finanziato per il 2024, e nel rifinanziarlo il governo calcola anche un effetto espansivo sul reddito e quindi sul gettito. L’anno scorso, con lo stesso sgravio sul lavoro, l’effetto espansivo sul gettito non era stato contabilizzato tra le coperture. Quest’anno, visto che le modifiche introdotte sono considerate permanenti, il governo calcola e utilizza come copertura l’effetto incrementale sul gettito dovuto all’intera riduzione dell’imposizione sul lavoro per il 2025.
I calcoli sull’effetto della riduzione del carico fiscale
La legge di bilancio riduce il carico fiscale sul lavoro per 17,6 miliardi (rispetto alla situazione in cui le modifiche fiscali, comunque di fatto già esistenti nel 2024, non fossero state rinnovate per il 2025), di cui 4,8 miliardi sono dovuti alla riduzione del numero di scaglioni da quattro a tre e 12,8 miliardi alle detrazioni e bonus che sostituiscono di fatto il taglio del cuneo fiscale del 2023. Qual è l’effetto moltiplicativo sul Pil di un aumento del reddito disponibile pari a 17,6 miliardi? La legge di bilancio dice in sostanza che riducendo il carico fiscale sul lavoro nel 2025 di 100, nello stesso 2025, si aumenta il Pil di circa 32. Infatti, se ipotizziamo, come da contabilità pubblica, che la pressione tributaria sia pari al 29 per cento del Pil, si può agevolmente calcolare l’espansione della base imponibile da cui il governo pensa di ricavare 1,62 miliardi. Questa è pari a 1,62 miliardi diviso 0,29, ovvero circa 5,6 miliardi, che corrisponde al 32 per cento del maggior reddito disponibile (17,6 miliardi) grazie alla riforma fiscale.
Banca d’Italia suggerisce che, per il nostro paese, i moltiplicatori fiscali associati a una variazione dell’imposizione sul lavoro sono molto bassi, se la misura non è permanente e stabile nel tempo. Si va dallo 0,02 per il primo anno allo 0,04 per il secondo. Nel caso invece di una misura permanente (e quindi l’effetto ricchezza incida sui consumi e l’offerta di lavoro si adegui nel tempo), sempre Banca d’Italia stima un moltiplicatore di 0,19 per il primo anno della riforma, valori superiori a quelli stimati dalla Bce, che per lo stesso periodo non vanno oltre lo 0,1. Quindi, molto dipende da quanto sia credibile che la riforma fiscale sia permanente, ovvero finanziabile ogni anno. Nel caso in cui non lo sia, il gettito ottenibile non sarebbe più di 100 milioni per il primo anno (2025). Anche nel caso, niente affatto scontato, in cui la riforma sia finanziariamente sostenibile in modo permanente, il gettito previsto al primo anno (2025) non sarebbe giustificato: dovrebbe aggirarsi tra 970 milioni (se utilizziamo il moltiplicatore di Banca d’Italia, pari a 0,19) e 510 milioni (con il moltiplicatore della Bce pari a 0,1), lontano dagli 1,62 miliardi previsti nella manovra per il 2025.
L’incremento di gettito stimato pare quindi derivare da un’ipotesi di effetto moltiplicativo molto generoso dovuto allo sgravio fiscale. In ogni caso, come sottolinea anche l’Upb nella sua audizione, l’applicazione di un criterio prudenziale dovrebbe indurre, come in genere si fa, a non utilizzare le fattispecie di entrate di retroazione a copertura di spese certe.
Nel 2025 e negli anni successivi se gli effetti di retroazione dovessero a posteriori rivelarsi più contenuti, di fatto non ci sarebbe alcuna conseguenza per l’Italia. Con il nuovo sistema della governance europea i paesi membri si impegnano su un’evoluzione massima anno per anno della spesa netta primaria che non sarebbe toccata dall’eventuale sovrastima delle maggiori entrate per effetti di retroazione, a meno che il conseguente maggiore indebitamento non porti a sforare il limite del 3 per cento, da cui ci si è molto allontanati anche grazie alle ottimistiche modifiche delle previsioni di entrate a legislazione vigente.
Il governo sembra insomma ricadere nella trappola dalla quale si vantava di essere uscito, ovvero sperare in entrate stimolate da politiche fiscali espansive. Non poco più di qualche anno fa si fantasticavano entrate fiscali mirabolanti dovute all’effetto espansivo del Superbonus e ora si fa lo stesso, con la differenza che l’effetto espansivo si deve al taglio fiscale. Si scommette sulla reazione (non certa) dei soggetti economici a misure di politica economica. Al di là delle possibili conseguenze immediate per i rapporti tra Italia ed Ue, è comunque importante sottolineare una pratica poco trasparente che permette di definire coperture con entrate non certe: se diventasse un’abitudine potrebbe essere pericolosa in futuro, soprattutto se le cifre in gioco dovessero aumentare.
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B&B
Quanti lavoratori del privato occorrono per pagare gli stipendi e priviegi pensionistici ai parlamentari europei?
Enrico
Non capisco come sia ammissibile coprire le spese contando sugli “effetti di retroazione sul Pil” della manovra. Lo escludono la prudenza e soprattutto la legge 196/2009 di attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio. Saranno norme stupide, ma finché esistono vanno rispettate.
Mirko
La crescita del PIL reale il vero dilemma.
Le misure di austerità fiscale da qui ai prossimi anni impatteranno negativamente sul PIL . Per tornare alla crescita, visti anche questi “ridicoli” moltiplicatori fiscali di queste “ridicole” misure di politica fiscale, la soluzione è ritornare a politiche keynesiane e allo Stato attore – e non solo regolatore – dell’economia. Affianco di una BCE che abbia come obiettivo – accanto alla stabilità dei prezzi – la crescita sostenuta dell’economia.
Ma serve lungimiranza.
L’Italia non si merita queste misure “più o meno” auto-imposte di austerità del piano strutturale di bilancio e farci male da soli non riporterà i conti pubblici in ordine ma solo costi sociali enormi.
L’Europa non è l’Argentina, da noi serve la crescita reale del PIL non la disciplina fiscale.