Le regole europee prevedono che i conti di tutta la pubblica amministrazione siano sotto controllo. Per questo anche i comuni sono sottoposti a vincoli. Va però chiarito quale sia la quota di indebitamento netto consolidato della Pa loro riconosciuta.

Lo stato dell’arte

In tempo di pandemia ci siamo un po’ dimenticati dei vincoli europei sui conti pubblici, giustamente sospesi in questo periodo. Quando torneremo alla normalità, però, si dovrà riprendere a rispettarli.

Il saldo rilevante in sede comunitaria è l’indebitamento netto, che in rapporto al Pil non dovrebbe essere superiore al 3 per cento (Patto di stabilità esterno). Per adempiere all’obbligo è necessario che tutti i conti della pubblica amministrazione siano sotto controllo, proprio perché l’indebitamento netto è calcolato come saldo consolidato degli indebitamenti netti di tutti gli enti della Pa.

Per adempiere alle condizioni del cosiddetto Patto di stabilità esterno è stato richiesto a regioni ed enti locali il rispetto del pareggio di bilancio calcolato come differenza tra entrate finali e spese finali. Tuttavia, a decorrere dal 2019, i comuni devono assicurare il pareggio di bilancio calcolato sulla differenza tra entrate complessive e spese complessive. In altre parole, alle entrate finali si sommano le entrate da accensione prestiti e alle spese finali si sommano le spese per rimborso prestiti. Questo implica che la differenza tra entrate nette (entrate finali al netto delle entrate finanziarie) e spese nette (spese finali al netto delle spese finanziarie), ovvero l’indebitamento netto, non sia più direttamente controllabile.

Tuttavia, probabilmente nell’intento di controllare l’indebitamento netto dei comuni, si sono nel tempo stratificati molti vincoli sull’utilizzo delle entrate e sull’entità della spesa. Per esempio, almeno il 50 per cento delle entrate da sanzioni per violazioni del codice della strada devono essere utilizzate esclusivamente per interventi di miglioramento della sicurezza stradale, gli oneri di urbanizzazione devono finanziare interventi di riqualificazione urbanistica o nuove opere pubbliche, le entrate da alienazioni del patrimonio devono essere destinate esclusivamente a spese di investimento. E per quanto riguarda le spese, i comuni, per esempio, non possono sostenere più del totale della spesa del personale dell’anno precedente, non possono spendere in acquisti di beni e servizi un valore superiore al valore medio del triennio precedente e dal 2018 le spese di funzionamento relative al parco immobiliare, impiego delle auto di servizio e strumentazione informatica devono essere ridotte.

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Infine, i comuni possono accendere nuovo debito solo se la quota di interessi sulle entrate correnti non supera il 10 per cento.

Tutti questi vincoli tendono sicuramente a contenere le spese e quindi, a parità di entrate, l’indebitamento netto, cioè la differenza tra entrate nette e spese nette. Tuttavia, sarebbe auspicabile stabilire con chiarezza cosa lo stato centrale chiede ai comuni, ovvero quale quota dell’indebitamento netto consolidato della pubblica amministrazione è riconosciuta ai comuni.

La proposta

Per fare ciò, si rende necessario stabilire un patto tra stato centrale e comuni in cui si decida nella legge di bilancio per ogni triennio qual è la quota dell’indebitamento della pubblica amministrazione che viene assegnata al comparto comunale. Questa può essere ripartita poi ai comuni secondo parametri di virtuosità. La cosa importante è che i comuni possano sapere con congruo anticipo di quanto può essere al massimo il proprio indebitamento netto.

L’articolo 119 della Costituzione dice che il nuovo debito del comparto comunale può servire solo a finanziare le spese per investimento. Il vincolo non vige per le amministrazioni centrali. Una volta stabilita con certezza la quota programmata di indebitamento del comparto comunale in modo tale da adempire ai vincoli comunitari non vi è ragione di vincolarla alle sole spese di investimento: come nel caso dell’amministrazione centrale, potrebbe essere dedicata a coprire parte delle spese correnti soprattutto in fase di ciclo economico sfavorevole. Per fare ciò, però, bisognerebbe modificare l’articolo 119 della Costituzione.

I criteri di ripartizione

Dopo aver stabilito l’ammontare aggregato di indebitamento netto assegnato al comparto comunale è necessario avere un criterio secondo cui ripatirne gli spazi.

Possono essere utilizzati indicatori per valutare la virtuosità nella sostenibilità dell’indebitamento netto per i comuni relativi alla gestione dei residui, la presenza di liquidità nelle casse comunali, la sostenibilità dei debiti non finanziari, cioè l’indicatore annuale di tempestività dei pagamenti, la solidità patrimoniale misurata attraverso il rapporto tra fonti consolidate (patrimonio netto e debiti da finanziamento) e impieghi in attività finanziarie immobilizzate (immobilizzazioni immateriali e materiali).

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L’idea finale è di avere un indicatore composito, risultato da una somma pesata degli indicatori precedenti, che consenta il riparto di un valore aggregato di indebitamento netto su tutti i comuni. Assegnate le quote di indebitamento, i comuni potrebbero cedere le proprie quote di indebitamento ad altri comuni e riprenderle negli anni successivi, utilizzando uno schema già sperimentato con i patti orizzontali e verticali ormai non più in vigore.

Una volta tenuto sotto controllo l’indebitamento netto, non vi è alcuna ragione di imporre tutta la serie di vincoli descritti sopra che, soprattutto nel caso di quelli previsti sull’utilizzo delle entrate, si traducono spesso in avanzi vincolati molto cospicui.

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