Lavoce.info

Occupazione in Italia: cresciuta e migliorata, ma sempre ultima in Europa

Dalla fine della crisi Covid, l’occupazione è cresciuta molto in Italia. Eppure, il confronto con gli altri paesi ci relega ancora all’ultimo posto in Europa per tasso di occupazione, instabilità del posto di lavoro e part time involontario delle donne.

I buoni risultati

Dall’inizio del 2021, finita la crisi dovuta al Covid, l’occupazione in Italia è molto cresciuta, sino a raggiungere il più alto livello nella storia recente. Anche la sua qualità risulta migliorata, perché si sono ridotti due tradizionali gravi difetti: la grande diffusione dei rapporti a tempo determinato e del part time involontario tra le donne.

Il confronto con quanto accaduto negli altri paesi europei e perfino con quelli con un mercato del lavoro più debole è però impietoso: i progressi dell’Italia risultano quasi sempre inferiori a quelli degli altri stati e i dati del 2023 (gli ultimi disponibili nelle statistiche Eurostat) ci collocano ancora in fondo alla classifica.

Il volume dell’occupazione

Secondo un vecchio adagio degli studiosi del mercato del lavoro, “meglio la ciambella del buco”, ovvero il tasso di occupazione è un indicatore migliore di quello di disoccupazione: meglio cioè un dato di fatto (avere un lavoro) di una dichiarazione (cercare un lavoro), che può essere falsata dallo scoraggiamento e dal rifugio nell’inattività, un fenomeno da noi più diffuso che in altri paesi europei. Orbene, sotto questo profilo, come mostra la tabella 1, con poco più di 61 occupati su 100 persone da 15 a 64 anni, l’Italia è all’ultimo posto tra i 27 paesi dell’Unione europea. Con alcuni stati la differenza è abissale: quasi 20 punti percentuali con l’Olanda. Anche l’aumento del tasso di occupazione dal 2019 al 2023 (2,5 punti percentuali) non è tra i più alti, sicché persino la Grecia ci ha ormai superato.

La debolezza dell’occupazione non si deve soltanto a quella bassissima delle donne (nel 2023 poco oltre il 52 per cento, 26 punti percentuali meno dell’Olanda), ma anche a quella degli uomini. Infatti, il tasso di occupazione dei maschi supera appena il 70 per cento, quasi 26 punti percentuali meno di quello dell’Olanda. Soltanto Belgio, Croazia e Spagna fanno peggio di noi, peraltro di pochissimo.

L’occupazione instabile

Se poi guardiamo alla percentuale di occupati a tempo determinato involontario, nel 2023 in Italia supera ancora l’8 per cento, pur essendosi ridotta di oltre 5 punti percentuali dal 2019 (tabella 2). Soltanto tre paesi (Portogallo, Spagna e Cipro) fanno peggio, mentre in ben dodici stati Ue la percentuale di coloro che hanno un rapporto a scadenza pur desiderandone uno a tempo indeterminato è sotto al 2 per cento. 

Il part time involontario tra le donne

Secondo l’Ocse, l’Italia detiene da sempre il record mondiale delle donne che svolgono un lavoro a tempo parziale pur desiderando lavorare a tempo pieno. Dal 2019 al 2023 i rapporti di tempo parziale involontari tra le donne si sono però molto ridotti, a favore di quelli volontari. Tuttavia, come mostra la tabella 3, la percentuale di occupate a part time involontario sul totale delle occupate con questa formula supera ancora il 50 per cento. Di nuovo, siamo il fanalino di coda tra i paesi europei, in ben dieci dei quali la percentuale è intorno al 10 per cento, mentre in Olanda, ove è molto diffuso il tempo parziale volontario, è inferiore al 2 per cento.

Dunque, nonostante i recenti miglioramenti, rispetto agli altri paesi europei i lavoratori italiani non solo sono molto meno retribuiti, come non poche ricerche hanno mostrato, ma sono tuttora pochi, hanno lavori più instabili e le donne sono più spesso costrette al tempo parziale.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Precedente

Quei finanziamenti poco chiari per la formazione professionale

Successivo

MPS-Mediobanca: quando la finanza privata incontra il governo

  1. michele

    ultimi siamo, e finche’ non si decentralizza la contrattazione ultimi resteremo.

  2. Alessandro LA ROCCA

    Il riferimento al parti time , e alla sua maggiore incidenza rispetto al resto d’Europa, va a mio avviso ridimensionato: le imprese italiane hanno mediamente poco più di tre addetti, sono piccole e spesso poco competitive, e si avvalgono di un part time che maschera in realtà rapporti di lavoro a tempo pieno. Il lavoratore percepisce una retribuzione con una contribuzione a tempo parziale, salvo poi percepire la restante a nero. Questo fenomeno ha chiaramente un incidenza che varia a seconda dell’attività economica dell’impresa, della zona geografica ecc.

  3. Andrea Barbieri

    Fra i vari motivi che hanno provocato questa situazione assurda c’è il ricorso all’assistenzialismo e al dilagare delle (finte o non dovute) pensioni di invalidità e dei baby pensionati. Tutto ciò a carico della collettività. Se poi si aggiungono le migliaia di posti di lavoro pubblici elargiti soprattutto al sud, non ci si deve stupire.
    Non va dimenticato, poi, che il nostro tasso medio di occupazione del 61,5% riflette un sud dove la media è in alcune regioni del 49% (abominevole) e un nord (Lombardia, Veneto ed Emilia) dove si aggira attorno al 70%.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén