Le città santuario che negli Usa proteggono gli immigrati dalla deportazione e la legge sul fine vita della Toscana hanno qualcosa in comune: nei sistemi decentralizzati i governi locali possono rappresentare un contropotere rispetto a quello centrale.

Una garanzia per i diritti

Un paio di vicende – una più lontana, un’altra che ci coinvolge direttamente – mettono bene in evidenza, i vantaggi che i sistemi decentralizzati, o federali, offrono in termini di garanzia dei diritti delle minoranze di fronte a decisioni politiche non condivise del governo nazionale, oppure di fronte a lacune della disciplina nazionale su temi fortemente sentiti.


Il primo caso è targato Usa ed è quello degli stati o città “santuario” rispetto alla deportazione in massa degli immigrati. Quello italiano riguarda l’iniziativa legislativa di alcune regioni, in primo luogo la Toscana, per regolare l’assistenza al fin di vita, per la quale manca ancora una disciplina nazionale, nonostante la sentenza della Corte costituzionale. I due casi sono diversi, ma si completano. L’autonomia, alias la decentralizzazione, è tutela contro decisioni, o l’assenza di decisioni, che contano molto per le minoranze.

Le città santuario in America

Iniziamo dal caso americano. Siamo in molti, se non tutti, a essere sconcertati dalla violenza della politica anti-immigrazione con cui il presidente americano ha iniziato il suo secondo mandato. Ma non è un problema solo di “trumpismo”. Un articolo del New York Times di fine gennaio riporta i risultati di una serie di sondaggi commissionati dallo stesso giornale sull’adesione degli americani a due delle principali politiche della nuova amministrazione, il protezionismo e la deportazione degli immigrati illegali. In entrambi i casi, la percentuale dei favorevoli è di molto superiore a quella di coloro che hanno votato per il presidente in carica.


La cosa è seria. La svolta illiberale non è da addebitare solo a Donald Trump, perché la maggioranza che è a favore è molto più ampia di quella che lo ha votato.


In secondo luogo, non si può ascrivere l’elezione di Trump o la popolarità di queste politiche a un fallimento della democrazia, e di quella americana in particolare. Il grado di democraticità di un sistema, se così si può dire, non si misura dal tipo di politiche che produce, anche se questa è un’interpretazione molto popolare, secondo cui democrazia è sinonimo di progresso sociale, cambiamento e altre buone cose. Nell’interpretazione classica, che è stata un po’ dimenticata, democratico è un sistema che, attraverso la separazione dei poteri sancita dalla costituzione, impedisce a una maggioranza, per quanto grande, di opprimere la minoranza, per quanto piccola. Sotto questo profilo, la democrazia americana è ancora, e per fortuna, viva.


Lo dimostrano, proprio in relazione alla deportazione degli immigrati, le città e gli stati “santuario”. Secondo un articolo apparso sul “City Lab” di Bloomberg sarebbero oggi tredici gli stati e circa duecento i governi locali santuario. Del concetto non vi è una definizione giuridica. L’origine dell’appellativo “santuario” risale agli anni Ottanta del secolo scorso, quando alcune associazioni religiose provvidero un rifugio sicuro a coloro che scappavano dal Centro America per sottrarsi alla repressione politica. Oggi si applica a municipalità, contee e stati che non richiedono ai residenti di rivelare il loro status di immigrazione per accedere a servizi pubblici come scuole e cure di emergenza; oppure che limitano la divulgazione dello status di immigrazione dei propri residenti al governo federale; oppure che si astengono dall’arrestare le persone esclusivamente sulla base del loro status di immigrazione. Alcuni tra loro fanno tutte e tre le cose.


In una sentenza del 1997, la Corte Suprema ha stabilito, ovviamente interpretando la Costituzione Usa, che il governo federale non ha il diritto di richiedere ai funzionari degli stati di far rispettare la legge federale. È una dottrina nota come “principio anti-comando”, che afferma che i poteri non attribuiti al governo federale dalla Costituzione, né da essa proibiti agli stati, sono riservati rispettivamente agli stati, o al popolo. In altre parole, gli stati e le città santuario agiscono in perfetta legalità quando rifiutano di consegnare gli immigrati alla custodia federale, o di fornire informazioni che facilitino ricerca e cattura degli immigrati da parte dell’agenzia federale competente (Immigration and Customs Enforcement Agency, Ice).


Ovviamente, Trump non starà con le mani in mano. Non lo è stato neanche durante la sua prima presidenza, quando la sua amministrazione citò in giudizio stati e città che avevano introdotto norme santuario e quando escluse le medesime dall’accesso a fondi federali. Nemmeno città e stati sono stati con le mani in mano. L’articolo di Bloomberg cita il caso della California, che subito dopo l’elezione presidenziale di novembre 2024 ha approvato una legge che addirittura vieta alla polizia statale e locale e agli sceriffi di chiedere alle persone il loro status di immigrazione, di effettuare arresti sulla base delle violazioni delle leggi sull’immigrazione e di condividere informazioni personali in materia con gli agenti federali.


Ovviamente, ci sono stati e città, e presumibilmente sono la maggioranza, che collaborano con l’amministrazione federale, o mostrano uno zelo anti-immigrati ancora più forte di quello federale. Addirittura, l’Economist cita il caso di Huntington Beach, la città californiana più “trumpiana”, dove il sindaco ha portato in giudizio lo stato sulla legge che proibisce alla polizia locale di collaborare alle deportazioni. Nel frattempo, però, la città deve comunque osservarla, perché gli stati americani sono sistemi unitari, dove gli enti locali sono subordinati allo stato di appartenenza.

Il fine vita della Toscana

Veniamo al caso italiano. Alcune regioni, partendo dalla loro competenza concorrente in materia di sanità pubblica e nella continua latitanza del Parlamento, sono intervenute con proposte di regolamentazione del suicidio medicalmente assistito, rispetto al quale manca ancora una disciplina statale coerente con i principi costituzionali.


Una sentenza “storica” della Corte costituzionale (n. 242/2019) ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, che punisce le condotte di istigazione o aiuto al suicidio. In particolare, oltre all’interruzione dei trattamenti sanitari con contestuale somministrazione di cure palliative, la sentenza ha previsto la possibilità dell’assunzione del farmaco idoneo a portare alla morte prematura. Il diritto al “fine vita” è stato quindi sancito, ma, inevitabilmente, la sentenza lascia un vuoto applicativo rispetto ai tempi in cui deve arrivare una risposta al paziente che ha richiesto il suicidio assistito e rispetto a chi debba gestire e somministrare il farmaco. Un vuoto che – per l’assenza di un successivo intervento legislativo statale – ha di fatto reso inoperativo un diritto che doveva essere garantito dalle strutture sanitarie pubbliche.


La Regione Toscana è stata la prima ad approvare, a febbraio 2025, una legge che stabilisce il percorso da seguire per chi vuole usufruire dell’assistenza al fin di vita con tempi certi e con la copertura delle spese per i farmaci (finanziandole con le risorse proprie). Anche la Lombardia ha dato attuazione alla sentenza, anche se solo con regolamentazione amministrativa. Può darsi che il governo cerchi di limitare l’efficacia della legge con un ricorso alla Corte costituzionale. E cercherà forse di evitare che regioni come Emilia, Campania e Puglia seguano la Toscana. Altre regioni ancora, in cui esiste un sentimento contrario alla facilitazione del fine vita, si asterranno da ogni intervento legislativo. Vediamo, insomma, come il pluralismo istituzionale possa agire in funzione di garanzia del pluralismo politico, oltre che in difesa di valori comunitari e identitari sempre meno rispettati dagli stati nazionali.


Insomma, i due casi – quello americano come quello italiano – mettono in evidenza il ruolo che l’autonomia territoriale può svolgere in difesa delle minoranze, anche rispetto alla garanzia dei diritti civili di base. Quanto sia importante diventa più evidente quando consideriamo le paradossali vicende dell’autonomia differenziata di casa nostra, dove lo scambio di ruoli – chi era prima a favore è ora contrario e viceversa – ne indica lo scarso apprezzamento della maggior parte della classe politica.

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