La voglia di protezionismo e isolazionismo non riguarda solo gli Usa di Trump. La si vede in molte democrazie occidentali, dove le conseguenze della globalizzazione e della crisi finanziaria hanno modificato il posizionamento di elettori e partiti.

Una storia già vista

In un remake di un film già visto nel 2018, proprio in questi stessi giorni, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ricominciato a imporre – o a minacciare di imporre – dazi sulle importazioni in provenienza dai principali partner commerciali degli Usa. Ora come allora, la ragione dell’escalation è duplice. Un’amministrazione guidata da “un artista degli affari” ritiene che tutti gli accordi commerciali stipulati dai suoi predecessori (anche da sé stesso nel caso di quello con Canada e Messico del 2020) siano, se non disastrosi, quanto meno poco ambiziosi e vadano quindi rinegoziati con le buone o, soprattutto, con le cattive. Dopo che per decenni gli americani hanno promosso la riduzione delle barriere al commercio internazionale su scala globale, coercizione ed estorsione attraverso ricatti protezionistici sembrano essere diventate gli strumenti insostituibili per “fare nuovamente grande l’America” (per dirla alla Trump), garantendo che “il futuro sia realizzato in tutta l’America da tutti i lavoratori americani” (per dirla alla maniera del suo predecessore Joe Biden).

Il protezionismo e l’isolazionismo di elettori e partiti

La svolta protezionista degli ultimi anni non è limitata agli Stati Uniti, ma è legata a un fenomeno più ampio, conosciuto come “globalization backlash”, traducibile in italiano come contraccolpo della globalizzazione. Con questo si intende il progressivo spostamento di elettori e partiti verso posizioni sempre più protezioniste rispetto al commercio internazionale e isolazioniste in termini di relazioni e organismi multilaterali, con implicazioni sostanziali in termini di orientamento degli esecutivi e di politiche attuate. La figura 1 ci mostra come il fenomeno sia iniziato già dai primi anni Novanta.

Figura 1 – Voto cumulato per diverse famiglie di partiti politici, dal 1980 al 2022

Nota: Analisi su dati del Manifesto Project, come in Colantone, Ottaviano e Stanig (2022).

Nello specifico, le linee del grafico ci mostrano cumulativamente, da zero a 100, l’andamento delle percentuali di voto per diversi gruppi di partiti politici in ventitré democrazie avanzate (tra cui Usa e tutti i paesi dell’Europa occidentale). Ad esempio, la prima linea in basso riporta il supporto per i partiti anti-globalizzazione di destra, mentre lo spazio tra la prima e la seconda linea è la percentuale di voto per i partiti anti-globalizzazione di sinistra. Il sostegno complessivo per i partiti anti-globalizzazione raddoppia nel corso del tempo, passando da circa il 30 per cento a quasi il 60 per cento.

Fino alla crisi finanziaria del 2007-2008, la crescita è guidata prevalentemente dai partiti di destra, e in particolare dalla destra radicale. Negli anni successivi emergono i partiti anti-globalizzazione di sinistra. Allo stesso tempo, la destra radicale continua a guadagnare consensi, anche spostandosi più verso sinistra in termini di politiche economiche interne, ad esempio sulle pensioni. Lo spazio che si apre negli ultimi anni tra la prima linea in basso e la linea tratteggiata rappresenta proprio la percentuale di voto dei partiti di destra radicale che diventano più redistributivi nel corso del tempo.

Le ragioni del cambiamento di opinioni

Il contraccolpo della globalizzazione ha diverse cause concomitanti. Una di queste è la globalizzazione stessa. L’ondata di iper-globalizzazione tra gli anni Ottanta e la crisi finanziaria hanno contribuito a far crescere le disuguaglianze di reddito e opportunità nei paesi avanzati. Pur con guadagni di benessere aggregati, si sono creati vincitori e perdenti della globalizzazione. I perdenti, localizzati soprattutto nei distretti manifatturieri impoveriti, votano maggiormente per Trump e per i partiti anti-globalizzazione, soprattutto della destra radicale. A spingere i votanti verso partiti anti-globalizzazione sono stati anche gli effetti delle politiche di austerità fiscale in corrispondenza della crisi finanziaria, come pure i flussi di migranti e rifugiati. Di fronte a questi fenomeni, nell’elettorato si è fatta strada una domanda crescente di protezione in generale, e protezionismo in particolare.

Questa domanda ha incontrato un’offerta politica sempre più protezionista e isolazionista nel tempo. A questo proposito, la figura 2 mostra l’evoluzione dei programmi dei partiti nell’arco di cinque decenni, dalla seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso ai primi anni Venti di quello attuale, nelle stesse ventitré democrazie avanzate.

Figura 2 – Posizionamento dei partiti in base ai programmi elettorali

Nota: Analisi su dati del Manifesto Project

Il focus è su tre famiglie di partiti: destra radicale (DR), centro-destra (DM), e centro-sinistra (DS). Sono posizionate sull’asse destra-sinistra in base alle loro posizioni in termini di politica economica interna, e sull’asse pro-anti-globalizzazione in base alle posizioni riguardo al commercio internazionale e alle istituzioni sovranazionali. Le frecce mostrano lo spostamento delle posizioni medie delle tre famiglie politiche nei decenni.

Dal grafico possiamo derivare alcune conclusioni. Innanzitutto, in media il centrosinistra si sposta al centro in termini economici, e a favore della globalizzazione, specialmente negli anni Novanta e Duemila, mentre dopo la crisi tende a muoversi verso sinistra in termini di politica economica e a moderare leggermente il proprio appoggio alla globalizzazione. In parallelo, anche il centrodestra, fino alla crisi, aumenta o mantiene un chiaro sostegno alla globalizzazione. Allo stesso tempo, la destra radicale, che negli anni Settanta non aveva posizioni fortemente anti-globalizzazione, dagli anni Ottanta in poi si sposta progressivamente in questa direzione, a soddisfare per prima la domanda crescente di protezionismo nell’elettorato. Negli anni Dieci, le posizioni della destra radicale sono molto lontane da quelle dei partiti mainstream. Dopo la crisi, anche il centrodestra cerca di inseguire, anche se con un percorso più moderato, questi settori dell’elettorato.

Anche se si sarebbe tentati di pensare il contrario, la svolta anti-globalizzazione va oltre Trump e Washington: caratterizza tutte le principali democrazie avanzate.

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