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Il soccorso in mare è ancora un obbligo

È una sentenza a tutela dei diritti umani quella della Cassazione sul caso Diciotti. La Corte ha ribadito l’obbligo di soccorso in mare. E il salvataggio dei naufraghi si conclude con lo sbarco, che deve avvenire nel più breve tempo possibile.

Il caso Diciotti

La sentenza della Corte di Cassazione sul caso Diciotti è stata trascinata dalla polemica politica su un terreno secondario e sfruttabile a fini propagandistici: quello del risarcimento economico a favore del profugo eritreo che, ingiustamente trattenuto a bordo della nave, ha avuto la forza di resistere attraverso i diversi gradi di giudizio per arrivare al pronunciamento del massimo organo giudiziario. Con grande dignità ha dichiarato che quel risarcimento, 1.600 euro secondo le stime, nemmeno lo chiederà allo stato italiano. Ha voluto invece difendere un principio, che la Corte ha nitidamente affermato.

Richiamo qui brevemente i termini della questione. Il 16 agosto 2018, la nave italiana Ubaldo Diciotti, della Guardia costiera, ha soccorso 190 persone, in acque internazionali al largo dell’isola di Malta, perché l’imbarcazione su cui si trovavano rischiava di affondare. Tredici naufraghi sono stati subito trasferiti a Lampedusa, per problemi sanitari, gli altri al porto di Catania, dove però il 20 agosto l’allora ministro degli Interni, Matteo Salvini, ha dato ordine di non consentire lo sbarco, infrangendo le norme internazionali che prevedono il trasferimento in un porto sicuro nel più breve tempo possibile. In questo caso, fra l’altro, i naufraghi si trovavano su una nave militare italiana, quindi giuridicamente sul territorio italiano. Soltanto il 26 agosto a mezzanotte le persone accolte sulla nave Diciotti sono state autorizzate a sbarcare.

Ormai, i soccorsi in mare sono assicurati prevalentemente dalle navi della Guardia costiera o della Marina militare italiana. A parte gli arrivi spontanei (ossia quelli delle imbarcazioni che entrano spontaneamente in un porto italiano, senza chiedere soccorso, come è avvenuto spesso con le partenze dalla Tunisia), le navi umanitarie hanno recuperato negli ultimi anni il 10-12 per cento delle persone che sbarcano in Italia per chiedere asilo: a causa delle restrizioni imposte dal governo Meloni (un solo salvataggio per ogni viaggio e assegnazione sistematica di porti di sbarco lontani dalle zone operative, con conseguente aggravio di tempi e costi), l’intervento delle Ong in mare è stato drasticamente limitato. Rimangono invece le navi militari, di cui poco si parla per ragioni politiche, e che a loro volta devono seguire regole d’intervento rigide e talora contraddittorie, come ha tristemente dimostrato il naufragio di Cutro nel 2023.

Lo stato non è esente da controlli

Nel caso Diciotti, dopo anni di polemiche sui soccorsi in mare – se sono dovuti, a chi competono, dove devono approdare – la Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo del soccorso in mare, oltre a corrispondere a un’antica regola di carattere consuetudinario, “rappresenta il fondamento delle principali convenzioni internazionali” e “costituisce un preciso dovere per tutti i soggetti, pubblici o privati, che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo”, in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi la necessità del soccorso, e indipendentemente dalla nazionalità o dallo status legale dei naufraghi.

Dissipando il polverone del conflitto tra norme nazionali e accordi internazionali divergenti, secondo la sentenza, l’obbligo del soccorso “deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”. Due capisaldi del sovranismo, più volte ribaditi proprio in materia di diritto d’asilo, riguardano la prevalenza del potere politico su quello giudiziario – in pratica, la libertà per il governo eletto dal popolo, di fare ciò che vuole – e la prevalenza delle norme nazionali su quelle europee e internazionali.

La Corte ha invece ristabilito la gerarchia appropriata delle norme di legge: le convenzioni internazionali a cui l’Italia ha aderito hanno un rango superiore e limitano quindi la potestà legislativa dello stato. Non possono essere oggetto di deroga sulla base di scelte e valutazioni discrezionali del governo in carica. In pratica, secondo la Cassazione, non si possono violare diritti fondamentali delle persone, con il loro trattenimento a bordo di una nave, invocando la natura di atto politico della decisione. L’affermazione della sovranità dello stato e le sue prerogative di presidio dei confini non sono esentate dal controllo della magistratura su come questo potere viene esercitato.

La questione del porto di sbarco

Quanto al porto di sbarco, la Corte è stata altrettanto chiara. Impedire lo sbarco significa compromettere il soccorso. Il salvataggio dei naufraghi si conclude con lo sbarco delle persone salvate, e questo deve avvenire nel più breve tempo possibile. L’unico margine discrezionale per le autorità politiche riguarda l’individuazione del porto più opportuno, “tenuto conto del numero dei migranti da assistere, del sesso, delle loro condizioni psicofisiche nonché in considerazione della necessità di garantire una struttura di accoglienza e cure mediche adeguate”. In altri termini, la scelta del porto è vincolata alla necessità di garantire al più presto la migliore assistenza possibile ai naufraghi, non dipende da considerazioni politiche, staccate da vincoli organizzativi, come quelle che oggi permettono alle autorità di dirottare le navi umanitarie verso lontani approdi dell’Italia settentrionale e centrale. Lo scopo è quello di rendere più lunga, costosa e complessa l’attività di salvataggio ed è proprio quello che la Corte ha nettamente condannato.

Le polemiche scomposte che hanno accolto la sentenza, il provocatorio invito ai giudici a portare i rifugiati a casa loro, la manovra diversiva sui soldi dei contribuenti onesti che verrebbero regalati ai cosiddetti clandestini, tutto questo repertorio di pseudo-argomenti conferma che la sentenza ha colto nel segno. Non sono tempi facili per la difesa dei diritti umani, ma la Cassazione ha tracciato una linea che contrasta con la logica politica oggi prevalente.

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  1. Carlo

    Articolo un pò di parte.
    Le norme che spiegano il porto di sbarco sono contenute nella risoluzione MSC 167(78) del 2004 dal paragrafo 2.4 al paragrafo 2.6; mentre la definizione di POS (Place of safety) è contenuta nei paragrafi dal 6.12 al 6.14: in particolare quest’ultimo recita: “A place of safety may be on land, or it may be aboard a rescue unit or other suitable vessel or facility at sea that can serve as a place of safety until the survivors are disembarked to their next destination.
    Naturalmente è tutto da definire la destinazione successiva di un cd naufrago, mentre la nave Diciotti poteva anche essere considerata un POS in attesa dello sbarco in terraferma

  2. Simone C.

    Sarebbe utile avere, se non un link al testo della sentenza (NB: a Sezioni Unite), per lo meno gli estremi: è il minimo in un articolo che non sia generalgeneralista.
    Dovrebbero essere: Cass.SS.UU. civ. 5992/2025

    Il testo dovrebbe essere questo: https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/5992_03_2025_civ_oscuramento_noindex.pdf

  3. Mahmoud

    I Paesi con frontiere esterne UE dovrebbero recedere dai trattati internazionali dei quali non condividono più il contenuto.

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