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Apriamo le porte agli scienziati in fuga dagli Usa

Il clima creatosi nelle università americane offre all’Europa l’opportunità di recuperare terreno nella ricerca scientifica. Bisogna però creare le condizioni per accogliere i tanti ricercatori che hanno manifestato l’intenzione di lasciare gli Usa.

Verso un brain gain europeo?

I grandi shock sono sempre dolorosi, ma aprono anche preziose opportunità per chi le sa cogliere. Lo tsunami generato dall’amministrazione americana tra dazi e insulti rischia di influire pesantemente sull’andamento dell’economia mondiale ed europea; ma può essere anche un’occasione storica per l’Unione europea, o perlomeno per un sotto-insieme di essa, per uscire dalla sudditanza nei confronti degli Usa. Se l’America si richiude in sé stessa diventando l’alfiere del protezionismo, con forti venature autoritarie interne e minacciose proiezioni esterne, sta all’Europa, che vanta dimensioni economiche paragonabili, farsi carico della difesa dello stato di diritto, del multilateralismo negli scambi e della libertà di ricerca.

In particolare, tra le diverse opportunità che il comportamento dell’amministrazione Trump offre all’Europa, c’è anche quella di recuperare parte del terreno perduto sul piano della ricerca scientifica d’avanguardia. Nella sua campagna contro i nemici interni ed esterni, la nuova dirigenza Usa ha preso di mira anche le grandi università del paese, colpevoli di essere fonte di pensiero progressista e di aver sostenuto l’ideologia multi-gender. Studenti che vengono arrestati nei campus perché coinvolti in proteste, fondi che vengono sottratti alle principali università e centri di ricerca in base a pretesti, un clima di intimidazione nei confronti degli organi accademici, la paura per i molti ricercatori stranieri che lavorano negli Usa di poter essere in futuro espulsi o di non poter rientrare dopo un viaggio all’estero, sono tutti aspetti che incredibilmente sono diventati rapidamente parte integrante dello scenario universitario americano. L’ideologia Maga (make America great again) ha anche condotto a tagli rilevanti nei fondi federali e a vere e proprie misure coercitive nei confronti degli studiosi impegnati in campi quali la ricerca sul cambiamento climatico o sui vaccini, per non parlare ovviamente degli studi dedicati alle minoranze o al gender.  

Un ambiente di lavoro così deteriorato non può non influire sulle scelte di carriera e lavoro di molti ricercatori che oggi lavorano negli Usa. A dimostrazione, il risultato di un sondaggio svolto dalla rivista Nature alla fine di marzo 2025, che ha sollevato molto scalpore negli ambienti accademici. Alla domanda “Come ricercatore operante negli Usa stai prendendo in considerazione la possibilità di lasciare il paese a seguito degli ostacoli opposti alla ricerca scientifica dalla presidenza Trump?” ha risposto affermativamente il 75 per cento dei 1.650 scienziati interpellati, con un vero e proprio plebiscito tra le componenti potenzialmente più ricattabili, cioè i ricercatori all’inizio della carriera (548 su 690 tra i post-doc e 255 tra i 340 studenti di dottorato rispondenti). 

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Le università e i centri di ricerca europei più dotati di finanziamenti e di autonomia nelle decisioni di reclutamento sono state svelte nell’approfittare dell’occasione. In Francia, la Aix Marseille University (Amu), in Belgio, la Vrije Universiteit Brussel (Vub), in Svezia, il Karolinska Institute, nel Regno Unito tutte le università più blasonate hanno lanciato programmi per assumere scienziati americani “minacciati nella propria ricerca dalla nuova amministrazione”. E dove non arrivano le università o i centri di ricerca privati, si muovono gli stati: per esempio, la città-stato di Berlino, la Catalogna, la Spagna, i Paesi Bassi, stanno tutte contemplando l’attivazione di programmi per attrare scienziati americani in fuga in campi considerati di interesse strategico. E in Germania otto scienziati di fama hanno pubblicato una lettera aperta a Der Spiegel chiedendo al governo che si impegni in uno sforzo concertato per riportare nel paese cento ricercatori scienziati di livello internazionale che ora svolgono la loro attività negli Usa.

Serve un impegno collettivo

I ricercatori si muovono sulla base di tanti elementi; certo la sicurezza del posto di lavoro, lo stipendio o un ambiente di ricerca favorevole, ma quello che conta è soprattutto la sicurezza di poter avere a disposizione attrezzature e fondi sufficienti per poter portare avanti i propri studi. Sulle tecnologie più avanzate, queste garanzie possono essere messe a disposizione offerte solo da un impegno collettivo dei paesi europei. È dunque da salutare con favore il fatto che a marzo 2025 i ministri di 12 paesi appartenenti all’Ue abbiano scritto una lettera congiunta al commissario europeo per l’Innovazione (Ekaterina Zaharieva) perché proponga una strategia atta a rendere l’Ue la “più attrattiva possibile” per i talenti scientifici in fuga. All’inizio di aprile, Zaharieva ha dichiarato che la Commissione intende sancire la libertà della ricerca scientifica all’interno del diritto dell’Ue e aumentare immediatamente il sostegno finanziario offerto dal Consiglio europeo della ricerca (Erc). In particolare, i ricercatori con base negli Stati Uniti che si trasferiscono in Europa potranno richiedere due milioni di euro in più rispetto all’importo massimo abituale del finanziamento (2,5 milioni).

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C’è in sostanza la possibilità di una nemesi storica: il salto qualitativo nella ricerca scientifica americana a partire dagli anni Quaranta del secolo scorso è stato in larga parte dovuto all’emigrazione forzata di molti ricercatori europei a seguito delle liste di proscrizione per gli ebrei prima e alla distruzione indotta dalla guerra poi. Con l’amministrazione Trump è possibile che l’esodo si ripeta, ma questa volta nella direzione opposta.

Come sottolinea un fondo del consiglio editoriale del Financial Times di qualche giorno fa, “offrendo libertà accademica senza impedimenti, l’Europa potrebbe iniziare a invertire il lungo esodo di cervelli verso l’altra sponda dell’Atlantico e dare nuovo slancio alla propria ricerca e alle iniziative di start-up imprenditoriali”.

Tra i dodici firmatari ci sono tutti i principali paesi europei, Francia, Germania e Spagna in testa. Manca l’Italia. Possibile che la qualità della nostra classe dirigente sia caduta così in basso da non rendersi conto che c’è un’opportunità storica da sfruttare?

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Perché all’Europa conviene mostrarsi falco

  1. bob

    è il principio civile della qualità della vita che l’intera Europa deve mettere sul piatto della bilancia. Le conquiste di civiltà fatte in secoli di storia anche a prezzo di tragedie. Lo Stato sociale, la sanità pubblica, i diritti delle persone, etc. La ricchezza sia materiale che umana di cui l’Europa è ricca rispetto agli altri Continenti. Azioni sporadiche o iniziative isolate non servono a nulla ma solo ad inasprire il conflitto. Non l’ Europa che deve cambiare ma è l’America che deve crescere

  2. Pietro Della Casa

    Ma chi sarebbero poi i fuggitivi? Parliamo di Einstein e di Fermi o dei tanti venditori di fuffa antiscientifica che temono la fine della grande cuccagna dei gender studies?

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