I Lep hanno reso uniformi i servizi pubblici per l’impiego, ma ne hanno anche eroso l’utilità. Perché la standardizzazione ha limitato la discrezionalità indispensabile nel processo di inserimento lavorativo. Vanno rimesse al centro le persone.
I Lep applicati ai servizi per il lavoro
Il Programma Gol è arrivato al termine, con il pieno recepimento della standardizzazione dei servizi per il lavoro: una formula apparentemente neutra e rassicurante, che evoca equità, accessibilità, garanzia della fruizione del diritto.
Il processo ha trovato il suo culmine con il Dlgs 150/2015 e il Dm 4/2018 sui livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Peraltro, il decreto è stato a lungo disatteso per una forma di inerzia amministrativa: i Lep non erano applicabili perché non c’era abbastanza personale a erogarli. Ora, dopo la deliberazione n. 5 di Anpal del 2022 che li ha associati ai servizi remunerati attraverso il Programma Gol, con gli oltre 5 miliardi stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza Misura 5.1, dopo tre anni di attività, possiamo dire che la rete dei servizi pubblici per il lavoro parla lo stesso linguaggio e i Lep sono standard comune in tutto il territorio nazionale. Ma a che prezzo?
Le conseguenze del processo di segmentazione delle competenze
Il processo di segmentazione delle competenze e di certificazione parcellizzata ha il suo fondamento nella raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 16 giugno 2022 sulle microcredenziali per l’apprendimento permanente e l’occupabilità (2022/C 243/01), lì definite come: “la registrazione dei risultati dell’apprendimento ottenuti da un discente in seguito a un piccolo volume di apprendimento”.
Anche le professioni associate ai servizi per il lavoro sono ricomprese nello stesso meccanismo di segmentazione in sempre più semplici micro-competenze che definiscono la capacità di presidiare un micro-processo. Nei servizi per il lavoro i micro-processi diventano micro-servizi di base come i livelli essenziali delle prestazioni. La linea rossa che unisce letteratura sulle competenze, panieri di servizi e Lep è adesso riconoscibile. Siamo di fronte alla semplificazione delle mansioni in atomic task, quell’approccio fondato sulla parcellizzazione che l’antropologa Mary Gray ha chiamato taskification e che comporta una dequalificazione del lavoratore.
Ogni fase del trattamento della persona è oggi formalizzata in protocolli elementari: accoglienza, dichiarazione di immediata disponibilità, scheda anagrafica professionale, assessment, redazione del patto di servizio personalizzato (Psp), skill gap analysis, bilancio delle competenze, scouting di opportunità occupazionali. La standardizzazione ha progressivamente limitato la discrezionalità nell’erogazione: l’orientamento di base si è trasformato in una checklist associata ad algoritmi per la definizione dell’intensità di aiuto, il patto di servizio in un format caricato sulle piattaforme regionali, l’orientamento specialistico ancora in un formulario di skill gap analysis e in un format di bilancio di competenze. In pratica, una parcellizzazione estrema, associata a output rigidamente strutturati in format prestabiliti, che ha destrutturato il lavoro dell’operatore, trasformandolo in mero compilatore.
È il trionfo dell’automazione burocratica: micro-servizi replicabili, tracciabili e certificabili, scollegati dal proprio obiettivo, sempre più simili a meri adempimenti che possono fare a meno del contributo umano dell’operatore.
L’adozione di questo modello ha modificato la natura stessa del lavoro nei centri per l’impiego, producendo due effetti distorsivi. Primo: la sottoutilizzazione delle risorse umane. L’immissione massiccia di personale tramite concorso pubblico, in particolare con formazione giuridico-amministrativa, ha rafforzato l’approccio normativo-formale a discapito di quello relazionale. Non si tratta di persone che possono maneggiare test psicologici o condurre sedute di coaching e counseling: gli strumenti devono progressivamente semplificarsi e le competenze di persone altamente qualificate in ambito giuridico sono umiliate in un’attività che si riduce alla raccolta di certificazioni, format, checklist e alla compilazione di moduli predefiniti. Il risultato è la dequalificazione: personale impiegato in mansioni esecutive, senza margini di iniziativa.
Secondo: la perdita di senso dell’accompagnamento: il disoccupato percepisce il percorso come rituale inutile (magari necessario per ricevere un sostegno al reddito, Naspi, Dis-coll, Sfl, Adi); l’operatore lo vive come adempimento senza scopo. Il sistema perde ogni tensione trasformativa. L’accompagnamento diventa sostegno alla compilazione.
Perché i Lep sono adottati meccanicamente e ci si adagia verso il basso? Le ragioni sono due: la compliance ai modelli vincolanti permette il rimborso agli operatori privati. Se vuoi essere pagato, ti adatti. Inoltre, la paura della discrezionalità uniforma la qualità al livello minimo, essenziale, appunto: paura del danno erariale, del rilievo disciplinare, dell’accusa di arbitrio. Meglio il conformismo procedurale che l’innovazione concreta. Peraltro, è paradossale che l’amministrazione costringa professionisti dell’inserimento lavorativo a utilizzare procedure formalizzate e a non potersi affidare ai propri strumenti, spesso più efficaci e di maggiore qualità. Il risultato è una delega sempre più passiva al sistema informativo: il modulo compilato diventa il luogo del servizio. L’interazione umana è sostituita dall’interfaccia standardizzata. E in questo scenario, l’innovazione rende possibile la sostituzione. Se lavoratori altamente qualificati sono chiamati a erogare servizi formalizzati e parcellizzati, il passo successivo è evidente.
Rimettere al centro la persona
L’alternativa c’è, l’adozione dell’approccio black box: fissare l’obiettivo e lasciare agli operatori la libertà di trovare la strada più adatta, assumendosi la responsabilità del risultato. Anche sotto lo stesso Dm 4/2018 le regioni possono scegliere di sostenere servizi con risorse proprie che rispondano a principi diversi: pur nel meccanismo dell’assistenza rimborsabile potrebbero scegliere di rimborsare a processo un minimo di ore senza determinarne preventivamente il contenuto; oppure (ma in questo caso con gare a evidenza pubblica) potrebbero remunerare solo il risultato. Dovrebbe poi essere possibile valorizzare il ponte tra disoccupato e imprese: lo scout, in quanto persona di fiducia, diventa il canale attraverso cui l’impresa si apre a una candidatura. Il responsabile aziendale si fida della segnalazione dello scout e lo scout assicura sulla “tenuta” minima del candidato. Anche nei casi più difficili (perché gli altri si ricollocano da soli), il servizio alla persona prepara le condizioni minime per potere partecipare al gioco (condizioni igieniche accettabili, affidabilità minima nei contesti produttivi, capacità di relazionarsi), poi costruisce la relazione fiduciaria con l’azienda perché alla persona si dia l’occasione di dimostrare il proprio valore.
I Lep hanno snaturato la funzione trasformativa dei servizi pubblici per l’impiego. Li hanno resi uniformi, ma ne hanno svuotato l’utilità. È tempo di rimettere al centro la persona: l’operatore dei servizi, il disoccupato, l’imprenditore.
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Savino
I LEP sono vincoli finanziari, cioè il settore pubblico deve avere le risorse necessarie per svolgere un determinato servizio. Una Regione deve dimostrare di avere quelle risorse e di poter svolgere quel servizio meglio dello Stato per efficienza, efficacia ed equità. Presupposto per la determinazione dei LEP è la definizione dei fabbisogni e costi standard, cioè dell’ammontare delle risorse necessari per le prestazioni, risorse impattanti sulla finanza regionale. Non essendoci una definizione uguale per tutti di LEP, la loro individuazione avviene per via esplorativa, tenendo conto della gerarchia delle fonti, della componente tecnica, del profili di finanza pubblica, delle necessità distributive ed allocative delle risorse come priorità del decisore politico.