Un vero sistema di difesa comune non si costruisce semplicemente aumentando le spese militari. Serve prima di tutto un cambiamento nella governance europea. Perché senza una regia comune, crescerà la distanza tra i paesi ricchi e i paesi più poveri.

Difendere tutti è un’impresa impossibile

La guerra russa contro l’Ucraina e il previsto aumento della spesa militare in Europa e nel mondo hanno riportato l’attenzione sui temi della sicurezza, della difesa e delle istituzioni necessarie a garantirle.

Secondo molti politici e osservatori, è indispensabile incrementare la spesa militare per fronteggiare la minaccia del Cremlino. Nel discorso pubblico, però, la difesa è spesso considerata erroneamente un bene pubblico puro, non rivale e non escludibile, e quindi garantito a tutti. In realtà, si tratta di un “bene pubblico impuro”: nessun governo, infatti, può proteggere integralmente tutti i cittadini in caso di conflitto, disponendo sempre di risorse limitate. Per usare le parole di Todd Sandler e Jon Cauley (1975), “(…) Una linea difensiva intorno a una città strategica diminuisce l’ammontare di protezione che altre città possono ricevere (…)”.

La sola eccezione è l’ombrello nucleare, poiché in quel caso la distruzione è assicurata a tutti, così come ricordato dall’acronimo Mad (Mutual Assured Destruction), e quindi più che di un “bene” dovremmo parlare di un “male” pubblico.

In ogni caso, l’attuale richiamo alla deterrenza per giustificare l’aumento della spesa militare si basa sull’idea della difesa come bene pubblico. Ma se questa definizione non è precisa, è sicuramente più utile ricorrere alla teoria dei giochi, e in particolare al gioco del colonnello Blotto introdotto da Émile Borel e basato sull’idea realistica di risorse scarse (un numero finito di truppe) da distribuire su diversi campi di battaglia. Uno spiegamento maggiore di truppe garantisce la vittoria in una singola battaglia, ma la guerra la vince chi prevale in più battaglie. Nei modelli di questo gioco raggiungere un equilibrio risulta difficile se gli obiettivi delle singole battaglie sono di diverso valore e gli attori hanno risorse differenti. In estrema sintesi, quanto più si introducono assunzioni realistiche tanto più il gioco si allontana da soluzioni stabili. E dunque poiché la difesa è un bene pubblico impuro, siamo costretti a scegliere una strategia in cui il nostro colonnello Blotto dovrà sacrificare alcuni obiettivi per vincere la guerra, accettando che l’avversario ne conquisti altri.

Uno scenario per l’Europa

A dispetto della retorica, lo scenario che comincia a delinearsi in Europa per gli anni futuri sembra esattamente questo, vale a dire alcuni paesi e territori saranno più al sicuro di altri. La prospettiva è ancora più probabile in virtù della frammentazione che esiste tra i paesi membri e che peraltro è aumentata – e non diminuita – negli ultimi anni.

Il risultato prevedibile del processo di riarmo su base nazionale è infatti l’aumento della disuguaglianza tra paesi in termini di difesa e sicurezza. Gli stati Ue più grandi e più ricchi, nonché produttori di armi (Francia, Italia e Germania su tutti) avranno un vantaggio nei confronti dei più piccoli.

Se così sarà, in uno scenario “colonnello Blotto”, i paesi più poveri e con minori dotazioni militari rischiano di diventare “sacrificabili”. Senza una regia comune e senza un meccanismo efficace di condivisione delle responsabilità (burden-sharing), la distanza tra i paesi ricchi e i paesi più poveri tenderà ad ampliarsi.

In definitiva, se il riarmo non è accompagnato da riforme che aiutino a riequilibrarne i costi e i benefici tra i paesi, la tanto desiderata difesa comune non solo non si realizzerà, ma si allontanerà. Per chi pensa che pace e sicurezza si raggiungano solo con le armi, significa accettare che alcuni paesi Ue saranno inevitabilmente meno protetti di altri, e quindi più esposti a potenziali minacce.

Un’Autorità indipendente per la difesa

Un sistema di difesa comune, che possa affrontare i problemi legati a una sua definizione come bene pubblico impuro, non si costruisce semplicemente aumentando le spese militari. Serve prima di tutto un cambiamento nella governance europea.

Per prima cosa, sarebbe auspicabile l’istituzione di un’Autorità europea per la difesa, con poteri su (a) procurement comune di armamenti; (b) commercio internazionale di armi; (c) sistema di burden-sharing, non solo per la spesa militare generale ma anche per le missioni di peacekeeping e gli interventi militari comuni. L’Autorità dovrebbe essere completamente indipendente dai governi nazionali e anche dalla Commissione europea. In altre parole, dovrebbe avere un’autonomia simile a quella della Bce nella gestione dell’euro. Un’autorità così strutturata darebbe più credibilità al progetto di difesa comune dell’Ue e, di conseguenza, darebbe più sicurezza a tutti i paesi europei. Rappresenterebbe anche un progetto più ambizioso rispetto alle proposte attuali.

Già il rapporto Draghi (settembre 2024) suggeriva la creazione di un’Autorità e di un commissario per l’industria della difesa, incaricati di coordinare acquisti centralizzati a livello europeo. Vanno in questa direzione la nomina del commissario alla Difesa (oggi il lituano Andrius Kubilius), l’istituzione del Safe (Security Action for Europe) e il Libro bianco per la difesa europea (White Paper for European Defence – Readiness 2030).

Un ulteriore passo potrebbe essere il Me (Meccanismo europeo della difesa) proposto da Guntram Wolff, Armin Steinbach and Jeromin Zettelmeyer, modellato sull’Esm (Meccanismo europeo di stabilità). Sarebbe del tutto autonomo dai singoli governi e avrebbe la capacità di finanziare progetti comuni ricorrendo al mercato dei capitali. Ha però due i limiti: il Med sarebbe concentrato sul mercato interno, senza competenze sul commercio estero di armamenti, fondamentale per l’Europa, secondo esportatore mondiale dopo Usa e Russia, mentre la governance basata sulle quote sottoscritte rischierebbe di accentuare le disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri.

Nonostante i progressi già sottolineati su lavoce.info, una nuova forma di cooperazione tra paesi volenterosi in ambito Nato appare oggi più praticabile di una riforma strutturale verso una difesa comune. Si conferma così la previsione secondo cui l’escalation della guerra avrebbe allontanato l’obiettivo di una difesa comune.

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