Non ci sono prove scientifiche che le sigarette elettroniche facciano meno male alla salute di quelle tradizionali. Eppure, grazie al disaccoppiamento tra dispositivo e stick, non sono soggette alle stesse restrizioni. Perché bisogna intervenire.
Cosa dice la scienza sulle sigarette elettroniche
Secondo le teorie del ciclo di vita dei prodotti, le sigarette tradizionali sono un prodotto maturo, destinato a lungo andare a un mercato sempre più ristretto. Accade soprattutto per via della consapevolezza del grave danno che provocano alla salute e per via delle politiche pubbliche introdotte di conseguenza per contrastare l’abitudine al fumo.
L’industria del tabacco ha reagito, da una parte, ostacolando le politiche antifumo, dall’altra introducendo un’innovazione radicale, che sfrutta nuove tecnologie: le sigarette a tabacco riscaldato, anche dette sigarette elettroniche. I produttori sostengono che questa forma di fumo è meno nociva perché evita la combustione del tabacco, ma in realtà non esistono evidenze robuste in questo senso.
La mancanza di combustione del tabacco e della carta dovrebbe rendere le sigarette elettroniche un po’ meno nocive. Ma su questo non abbiamo evidenze scientifiche solide perché effettuare studi epidemiologici controllati è difficile e gli esiti negativi causati dal fumo si registrano solo nel lungo periodo. Inoltre, l’assunzione delle sostanze cancerogene del tabacco e la quantità di nicotina respirata sono sostanzialmente comparabili tra le due tipologie di sigarette. Mancano anche prove che le sigarette elettroniche siano un passo intermedio per smettere di fumare. Allo stato attuale delle conoscenze, non è dunque prudente considerarle meno nocive di quelle tradizionali.
Il valore del dispositivo
Per l’industria del tabacco, il valore del dispositivo che scalda il tabacco è straordinario perché apre pratiche commerciali e di marketing innovative. Le sigarette tradizionali sono un prodotto relativamente semplice; si vendono a pacchetto in un negozio che, in Italia, deve essere un tabaccaio con una licenza speciale. Il dispositivo, invece, sebbene funzionale al fumo, non contiene tabacco ed è quindi commerciabile senza restrizioni. Ecco perché i negozi specializzati sono diffusi un po’ ovunque e la pubblicità e altre attività promozionali sono legali.
Le potenzialità offerte dalla separazione tra dispositivo e “sticks” (le sigarette corte che contengono il tabacco) non sono facilmente evidenti e spesso sono addirittura nascoste.
In più il dispositivo può essere associato ad attività di fidelizzazione del cliente e a sistemi di promozione che vanno oltre alla pubblicità, che è vietata per le sigarette tradizionali ma permessa per i dispositivi. I centri Iqos (per fare il nome della marca più diffusa in Italia) e alcuni tabaccai offrono un articolato servizio al cliente, oltre alla sola vendita. Consigliano il dispositivo più adatto, spiegano la differenza tra le diverse categorie di stick (intensità e sapore del fumo) e forniscono prime indicazioni su come usarlo.
Un servizio a misura di cliente
I negozi che vendono i dispositivi sono sobri e con un arredamento moderno ed elegante. Spesso sono situati in aree ad alta concentrazione di consumatori: vie molto trafficate, centri commerciali, stazioni ferroviarie, aeroporti. Anche alcune tabaccherie sono attrezzate per mettere in vista i dispositivi. Generalmente, i negozi (di marca) e le tabaccherie specializzate espongono diverse categorie di prodotto con prezzi variabili da 20 a 100 euro. Ma i negozi sono mono-marca e spesso anche le tabaccherie vendono dispositivi di una sola azienda, creando un rapporto stretto tra produttore e rivenditore. I prodotti più economici sono in promozione a condizione di fornire informazioni personali che vengono immediatamente registrate: dati standard come il numero dello smartphone, l’indirizzo e-mail e il codice fiscale che ha il vantaggio di essere un identificativo sintetico. Accettando la registrazione, viene assegnato al cliente un personal assistant, che lo chiama per fornire ulteriori informazioni, magari consigliando quali stick sono più adatti per un fumatore tradizionale che vuole passare al tabacco riscaldato, in funzione delle specifiche sigarette fumate. Ad esempio, se il cliente fuma Marlboro gli viene consigliato un tipo di stick che ne richiama gusto e intensità. Il nuovo cliente si iscrive e accede a una piattaforma elettronica (un sito web ben sviluppato) che presenta i prodotti, altri servizi e una varietà di eventi (come concerti) per i soli membri del “club”. Non solo, una carta virtuale a punti permette di avere vantaggi esclusivi. Il meccanismo più importante per ottenere punti è reclutare nuovi clienti, che devono però essere già fumatori (dichiarandolo senza prove fattuali). Allargare la promozione ai non fumatori sarebbe illegale in Italia. E per la stessa ragione i punti non possono essere usati per avere sconti sugli stick. In altri paesi, con legislazioni più permissive, è probabile che le carte fedeltà possano essere usate anche per il pacchetto di stick.
Un nuovo modello di business
Le sigarette a tabacco riscaldato stanno rivoluzionando l’intero settore industriale, permettendo di sfruttare una serie di innovazioni di marketing, impossibili per le sigarette tradizionali, fortemente regolate e sotto il Monopolio di stato. Ciò deriva dallo sdoppiamento tra dispositivo e stick. Il dispositivo non è soggetto ad alcuna restrizione e fa da volano alla vendita degli stick (che forse non a caso non vengono chiamate sigarette), che invece devono sottostare alle regolamentazioni sul tabacco.
È evidente che le aziende del tabacco hanno una strategia di segmentazione del mercato. Da un lato le sigarette tradizionali, principalmente indirizzate ai fumatori più anziani e incalliti, che non riescono a smettere di fumare e spesso neanche a passare a quelle elettroniche (diventano semmai fumatori duali), dall’altro il prodotto innovativo più vendibile ai giovani, anche perché produce meno fumo, è meno maleodorante e crea meno stigma.
La necessità di una nuova regolamentazione
L’Organizzazione mondiale della sanità mette sullo stesso piano sigarette tradizionali ed elettroniche perché non ci sono evidenze sufficienti che le seconde siano meno nocive per la salute. Il tabacco (non solo il fumo, ma anche la masticazione, che però è poco diffusa in Italia) è il più importante fattore di rischio di morte evitabile, notevolmente di più degli incidenti sul lavoro, delle guerre e degli incidenti stradali.
Una stretta decisa sulle sigarette elettroniche è pertanto necessaria e urgente, anche perché i principali consumatori sono giovani che rischiano di diventare dipendenti a vita dalla nicotina e dalle sigarette. La soluzione è relativamente semplice: estendere le restrizioni ai dispositivi, considerandoli a tutti gli effetti strettamente funzionali al consumo di tabacco. Ciò implicherebbe vietare i negozi specializzati e le loro attività, ogni forma di pubblicità e di fidelizzazione dei clienti. Non si tratta di proibire le sigarette elettroniche, ma semplicemente di riproporre i divieti previsti per quelle tradizionali, in modo da rispondere all’evoluzione tecnologica e agli spazi promozionali che permette.
* Giovanni Fattore è componente del Comitato scientifico della lotta al fumo della Fondazione Umberto Veronesi.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Lascia un commento