I dati Istat sui numeri e le modalità di acquisizione della cittadinanza italiana aiutano a fare chiarezza sulle conseguenze di una eventuale vittoria del “sì” nel referendum. Ci sarà un picco di richieste nel 2025, destinato a esaurirsi presto.

Un referendum sulla legge di cittadinanza

Il quesito del referendum sulla cittadinanza chiede la modifica della lettera b), comma 1, articolo 9 della legge 91/1992, “Nuove norme sulla cittadinanza”, e l’abrogazione della lettera f) dello stesso articolo.

La norma del 1992, approvata quando presidente del Consiglio era Giulio Andreotti, ebbe un iter di oltre tre anni, iniziati con la presentazione in Senato del disegno di legge n. 1460 del 13 dicembre 1988, quando lo stesso Andreotti era ministro degli Esteri. Stabilisce che possa chiedere di diventare cittadino italiano lo straniero legalmente residente nel nostro paese da almeno dieci anni. La sua abrogazione implica il ritorno al comma 2 dell’articolo 4 della legge 13 giugno 1912, n. 555 (la legge sulla cittadinanza abrogata da quella del 1992), che limita a cinque anni l’anzianità di residenza necessaria. L’abrogazione della lettera f), avvicina gli anni di anzianità pregressa richiesti ai cittadini dei paesi non facenti parte dell’Unione europea ai quattro anni richiesti ai cittadini comunitari.

Le statistiche Istat sulle modalità di acquisizione della cittadinanza

La lettura dei dati dell’Istat sulle modalità di acquisizione della cittadinanza permette di conoscere alcune importanti caratteristiche del fenomeno, che possono aiutare a comprendere i risvolti del referendum.

In dieci anni, dal 2014 al 2023, gli stranieri che sono diventati cittadini italiani per una delle motivazioni previste dalla legislazione sono stati quasi 1,7 milioni. La figura 1 evidenzia l’assenza di una tendenza chiara dell’andamento nel tempo del numero di stranieri che diventano cittadini. Sono molteplici le ragioni e le condizioni che influenzano le decisioni degli stranieri di richiederla e delle autorità di concedere la cittadinanza. Ciò rende difficile fare previsioni sul numero di stranieri che diventeranno cittadini italiani in futuro.

Nelle statistiche pubblicate dall’Istat, le modalità di acquisizione previste dalla normativa sono raggruppate in tre voci: matrimonio, residenza e altro. Diventa cittadino chi sposa un’italiana o un italiano e risiede nel paese per almeno due anni dopo il matrimonio. L’acquisizione della cittadinanza per residenza richiede la permanenza legale nel paese per un numero di anni variabile secondo la condizione soggettiva di chi fa la domanda. Mentre “altro” è una modalità residuale con cui l’Istat classifica le altre possibilità di accedere alla cittadinanza, come per esempio essere un discendente, nato in uno stato straniero, di un avo con cittadinanza italiana (possibilità resa più difficile dalla recente legge di conversione del Dl 36/2025).

Dai dati Istat si ricava che la quota delle cittadinanze per matrimonio è minoritaria: solo nel 2018 si è attestata sul 20 per cento. In tutti gli anni considerati, in più di otto casi su dieci sono le straniere a diventare cittadine italiane sposando un italiano. Dal punto di vista amministrativo, il matrimonio è, probabilmente, la procedura più celere e semplice. La modalità “altro” arriva sempre almeno intorno al 40 per cento del numero totale di cittadinanze concesse. Nel 2023 quasi uno straniero su due è diventato italiano per una delle ragioni riunite in questo gruppo. I nuovi cittadini italiani con questa motivazione sono tutti molto giovani: nei primi tre anni della serie storica, tutte le cittadinanze “altro” sono state attribuite a persone di età fino a 20 anni; successivamente il loro peso sul totale è sceso sotto l’80 per cento solo nel 2023. La forte concentrazione di giovani è dovuta, quasi esclusivamente, alla cittadinanza ottenuta dagli immigrati di seconda generazione. La normativa dà infatti ai figli nati in Italia da genitori stranieri la possibilità di richiedere la cittadinanza entro un anno dal compimento della maggiore età.

Ovviamente, sono pochissimi i giovani che hanno acquisito la cittadinanza a seguito del soddisfacimento del requisito della residenza: alcune centinaia in dieci anni. I neocittadini italiani per anzianità di residenza sono concentrati nelle classi di età centrali, quelle tra i trenta e i quarantanove anni. In qualsiasi anno, le acquisizioni per residenza costituiscono una quota rilevante; in dieci anni sono stati poco più di 700mila.

I dati aggregati forniti dall’Istat non consentono di stabilire quanti nuovi cittadini erano stranieri comunitari e quanti extracomunitari. Il referendum interessa però solo questi ultimi, che d’altra parte sono nettamente prevalenti, come dicono le statistiche sui principali paesi di provenienza degli stranieri diventati cittadini italiani.

Cosa succederebbe con la vittoria del sì

Gli oppositori del referendum temono che una vittoria del “sì” possa far crescere il numero di extracomunitari che diventano cittadini italiani per la riduzione della durata della residenza richiesta. È una preoccupazione che non sembra fondata.

 Per la costruzione della figura 4.1 è stato utilizzato il numero stranieri cui, ogni anno tra il 2004 e il 2014, è stata concessa la cittadinanza per residenza. A scopo puramente illustrativo, si è ipotizzato che siano tutti extracomunitari e che, pertanto, l’anzianità di residenza richiesta è iniziata a maturare dieci anni prima della concessione della cittadinanza. Nel grafico, il profilo blu sintetizza il numero di stranieri per i quali ogni anno inizia a maturare il periodo di residenza; quelli rosso e verde il numero di stranieri che avrebbero potuto richiedere la cittadinanza rispettivamente ex legge 555/1922 ed ex legge 91/1992. I due ultimi profili sono perfettamente sovrapponibili, con uno slittamento temporale di cinque anni tra i due. In sostanza, se in Italia solo nella 2004 fosse stata approvata una norma sulla cittadinanza, gli stranieri avrebbero potuto iniziare a diventare cittadini italiani nel 2009 oppure nel 2014, a seconda che il requisito dell’anzianità di residenza fosse maturato rispettivamente dopo cinque o dopo dieci anni. Dopo un decennio, nel 2018 e nel 2023, il numero totale di nuovi cittadini per residenza sarebbe stato lo stesso (704 mila).

Nel caso di una vittoria referendaria del “sì”, la riduzione da dieci a cinque degli anni di residenza pregressi, produrrebbe effetti solo nel breve termine, che verrebbero tuttavia riassorbiti nel tempo. Nella figura 4.2, si fa iniziare la serie storica della maturazione dell’anzianità non nel 2004, come prima, ma nel 2016. Con l’attuale legge 91/1992, gli stranieri che hanno ottenuto la residenza nel 2016 potrebbero diventare cittadini nel 2025. L’abrogazione della legge via referendum comporterebbe il ritorno alla norma 555/1912 e il dimezzamento del tempo di residenza. Nel 2025 potrebbero così diventare cittadini italiani gli stranieri per i quali il conteggio degli anni di residenza pregressa era iniziato nel 2016, 2017, 2018, 2019, 2020. Nel 2025 si avrebbe pertanto il picco del numero di nuovi cittadini, visibile nel profilo rosso del grafico. A partire dal 2026 il profilo temporale del numero di nuovi cittadini, tornerebbe alla “piattezza”, dovuta all’identità tra il numero di stranieri che ogni anno diventano cittadini e il numero di coloro che avevano iniziato a maturare l’anzianità cinque anni prima. Naturalmente, anche nel caso della riduzione dell’anzianità di residenza, la concessione della cittadinanza non sarebbe automatica. L’aspirante nuovo italiano dovrebbe soddisfare i requisiti di reddito, di conoscenza della nostra lingua, quelli giuridici e sociali richiesti dalla normativa.

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