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Dalla naturalizzazione all’integrazione il passo è breve

Un allentamento dei requisiti di accesso alla cittadinanza può portare a una forza lavoro migrante più attiva e integrata. I benefici economici che ne derivano non interessano solo i migranti stessi, ma si dispiegano anche sui paesi che li ospitano.

Più semplice avere la cittadinanza in Germania

Il parlamento tedesco ha approvato definitivamente all’inizio di febbraio una significativa riforma della legge sulla cittadinanza, che rende più semplice la naturalizzazione per i residenti stranieri: si riduce da otto a cinque anni il periodo minimo di residenza necessario per poter presentare la domanda ed è possibile mantenere la cittadinanza del paese di origine, in aggiunta a quella tedesca. L’Italia è invece tra i paesi europei che richiede il più alto numero di anni di residenza (dieci) per potere accedere alla naturalizzazione (figura 1), e anche il timido dibattito sulla cittadinanza per i bambini nati in Italia da cittadini stranieri sembra essersi arenato, nonostante il tentativo di alcuni settori dell’opinione pubblica e di alcune testate giornalistiche di rianimarlo.

È facile prevedere che una riforma che rende più semplice l’accesso alla naturalizzazione aumenterà il numero di persone che otterranno la cittadinanza. Più incerte da anticipare sono invece le sue ripercussioni sull’integrazione sociale ed economica dei migranti. L’ottenimento della cittadinanza del paese ospitante comporta l’acquisizione di diritti cruciali, quali l’elettorato attivo e passivo e la possibilità di residenza illimitata. È invece meno ovvio che la naturalizzazione possa portare anche a miglioramenti nell’inserimento lavorativo e, quindi, nello status economico dei migranti.

Premio o catalizzatore?

La letteratura sul tema ha identificato due tipi di meccanismi che possono associare l’ottenimento della cittadinanza a una maggiore integrazione economica. Da una parte, abbiamo la cittadinanza come “premio” per chi si integra. L’accesso alla cittadinanza è tipicamente regolato da rigorosi criteri di ammissibilità, che comprendono un requisito minimo di residenza e il soddisfacimento di condizioni aggiuntive (conoscenza della lingua, soglie di reddito minimo, e così via). Questa impostazione trasforma la naturalizzazione in una ricompensa per un’integrazione riuscita, e i criteri di ammissibilità dovrebbero rafforzare gli incentivi dei migranti a investire in capitale umano specifico del paese ospitante (quale la lingua) e ad aumentare i loro sforzi di integrazione socio-economica.

Dall’altra, la cittadinanza può agire come un “catalizzatore” per l’integrazione, portando a un miglioramento degli esiti occupazionali per coloro che riescono a naturalizzarsi, ad esempio, perché permette ai migranti di accedere a occupazioni meglio retribuite.

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I due potenziali meccanismi delineano un trade-off importante nel decidere le regole per la concessione della cittadinanza agli immigrati. Se prevale il meccanismo del “premio”, allora regole restrittive dovrebbero favorire l’integrazione dei migranti. Se l’argomento del “catalizzatore” è valido, invece, la rimozione degli ostacoli alla naturalizzazione dovrebbe accelerare il loro processo di integrazione. A rendere la questione più complessa, i benefici della cittadinanza possono essere eterogenei: limitare l’accesso alla cittadinanza potrebbe intensificare gli incentivi all’integrazione per alcuni migranti, ma allo stesso tempo scoraggiare gli sforzi di altri, potenzialmente ostacolandone il processo di assimilazione.

Lo studio

Un nostro recente lavoro presenta nuova evidenza empirica che può contribuire a dare informazioni utili per il dibattito politico complesso. Il nostro studio utilizza i dati campionari della European Labour Force Survey, che contengono informazioni sullo status di rifugiato, sulla cittadinanza e sulla situazione lavorativa di oltre 130 mila lavoratori nati al di fuori dell’Unione europea e residenti in 21 paesi europei. Abbiamo unito i dati individuali a informazioni sui requisiti per l’ottenimento della cittadinanza a cui ogni migrante è stato esposto dal momento del suo arrivo nell’attuale paese di residenza. Con questi dati, che si riferiscono a migranti arrivati in Europa tra il 1965 e il 2020, abbiamo affrontato due domande distinte, ma strettamente connesse.

Innanzitutto, abbiamo stimato l’effetto della naturalizzazione sulla situazione lavorativa dei rifugiati rispetto ai migranti non rifugiati. I nostri risultati confermano che i rifugiati tendono – soprattutto nei primi anni dopo l’arrivo  – ad avere una performance peggiore nel mercato del lavoro rispetto a coloro che hanno deciso di migrare per motivi economici o familiari, anche a parità di caratteristiche quali età, genere, istruzione, area di origine. Tuttavia, mostrano anche che la naturalizzazione opera come meccanismo cruciale nel colmare il divario rispetto agli altri migranti, migliorando significativamente l’integrazione dei rifugiati. Viceversa, l’impatto della naturalizzazione sui migranti non rifugiati sembra mediamente trascurabile. Questi risultati suggeriscono che la naturalizzazione possa avere normalmente benefici maggiori per migranti relativamente meno integrati.

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In secondo luogo, abbiamo esplorato in termini più generali l’eterogeneità nei benefici economici, utilizzando una tecnica econometrica che ci ha permesso di stimare il “rendimento economico” della naturalizzazione in funzione della facilità di ottenerla. Le nostre stime suggeriscono che il rendimento fornito dall’ottenimento della cittadinanza sul mercato lavoro sia mediamente nullo per gli individui che hanno una maggiore probabilità di naturalizzarsi (perché verosimilmente hanno un maggiore facilità di soddisfare i requisiti, ovvero, sono già sufficientemente integrati). Al contrario, proprio i migranti che non riescono ad accedere alla naturalizzazione, per via della selettività dei requisiti di accesso o per il costo economico dell’intero processo, avrebbero benefici significativi in termini di probabilità di occupazione e di qualità del lavoro. Il risultato suggerisce quindi che gli attuali regimi di naturalizzazione in Europa stanno trascurando proprio coloro che ne trarrebbero il massimo beneficio.

Le riforme delle leggi sulla cittadinanza sono spesso accolte con sentimenti contrastanti tra gli elettori. Da un lato, c’è un ampio riconoscimento che concedere la cittadinanza possa favorire l’inclusione e l’integrazione dei migranti nella società ospitante. Dall’altro, in alcuni settori dell’opinione pubblica persistono preoccupazioni profonde riguardo al fatto che un’eccessiva apertura nelle regole di accesso alla cittadinanza possa rendere il paese troppo attraente per i nuovi migranti rispetto ad altre destinazioni, aumentando i futuri arrivi. I risultati del nostro studio indicano che un allentamento dei requisiti di accesso alla cittadinanza per tutte le categorie di migranti, come previsto dalla riforma tedesca, ha il potenziale di portare a una forza lavoro migrante più attiva e integrata, generando così notevoli benefici economici non solo per i migranti stessi (rifugiati e non), ma anche per i paesi che li ospitano.

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  1. Mahmoud Abdel

    Non mi è chiaro in che modo uno straniero già evidentemente da anni regolarmente soggiornante migliorerebbe la qualità del proprio lavoro e ne aumenterebbe la quantità a seguito dell’ottenimento della cittadinanza italiana

  2. Pietro Della Casa

    Analisi di questo genere dovrebbero basarsi su uno studio capillare delle molteplici caratteristiche economiche e sociologiche dell’immigrazione, sia dal lato migranti che dal lato paese di approdo, e testare successivamente ogni ipotesi di causalità im modo rigoroso. Altrimenti sono speculazioni, afflitte oltretutto da un evidente bias etico.

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