Il disegno di legge delega per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni vuole rispondere alle censure della Consulta sulla legge Calderoli. Riguarda un imponente numero di ambiti: alla fine sarà solo una ricognizione di quanto già previsto?
La delega
Il Consiglio dei ministri del 19 maggio ha approvato, su proposta del ministro Calderoli, il disegno di legge che attribuisce al governo una delega per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) su un amplissimo spettro di ambiti di intervento pubblico. Si tratta delle funzioni oggi esercitate dallo Stato in tutte le materie che la legge Calderoli sull’autonomia differenziata (qui) classifica come “materie Lep”: istruzione, tutela dell’ambiente, beni culturali, tutela e sicurezza del lavoro, ricerca scientifica e tecnologica, alimentazione, ordinamento sportivo, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, comunicazioni, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. Unica rilevante eccezione è la tutela della salute.
Secondo la delega richiesta, il governo avrà nove mesi per emanare uno o più decreti legislativi con cui determinare, a partire dalla ricognizione svolta dal Comitato Cassese, per ciascuna delle funzioni pubbliche concernenti diritti civili e sociali, i Lep rilevanti, “valutando se confermare, modificare, accorpare i Lep oggetto della medesima ricognizione o introdurne di nuovi”. Nel caso di nuovi Lep che comportino maggiori oneri per la finanza pubblica, i decreti legislativi dovranno essere accompagnati o preceduti da provvedimenti di stanziamento delle relative risorse finanziarie.
Il disegno di legge delega è diretta conseguenza della recente sentenza con cui la Corte costituzionale (qui e qui) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune parti fondamentali della legge Calderoli. In particolare, la Corte ha censurato tutto il procedimento previsto per la determinazione dei Lep in quanto basato su una “delega in bianco” — quella prevista nella legge di bilancio per il 2023 — cioè priva di specifici principi e criteri direttivi fissati dal Parlamento, come invece richiesto dall’art. 76 della Costituzione.
Lep per tutte le funzioni
Il governo cerca adesso di mettere una pezza, ma lo fa in modo ambiguo e improprio. Nell’art. 1 si afferma infatti che la determinazione dei Lep è funzionale alla “completa attuazione” dell’autonomia differenziata prevista dall’art. 116 c. 3 della Costituzione, salvo stabilire, all’art. 2 che la delega è finalizzata a “favorire il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali”. Il problema è che i due obiettivi, entrambi giustificati, richiederebbero strumenti e modalità di decisione politica differenti.
Da un lato, nel decentramento differenziato — ma ancor di più nel decentramento simmetrico — la determinazione dei Lep da parte dello stato ha la finalità di far sì che l’autonomia degli enti territoriali, sulle funzioni pubbliche loro attribuite, sia esercitata in coerenza con standard uniformi ovunque rispettati. La legge 42/2009, in materia di federalismo fiscale, prevede che lo stato stabilisca i Lep, e finanzi i corrispondenti fabbisogni, per le funzioni delle regioni riguardanti i diritti fondamentali di cittadinanza (sanità, assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale), insieme alle “funzioni fondamentali” degli enti locali. La legge Calderoli estende la determinazione dei Lep anche alle funzioni pubbliche oggi esercitate dallo stato che, in attuazione dell’autonomia differenziata, potrebbero essere trasferite a singole regioni. Per questa finalità, uno strumento a 360 gradi, di straordinaria complessità e vastità, come quello configurato dal disegno di legge delega, è totalmente inappropriato e velleitario. Che senso ha procedere alla determinazione in via preventiva dei Lep in tutte le funzioni pubbliche statali se poi le regioni concretamente chiederanno l’attribuzione soltanto di alcuni ambiti di intervento? Bisognerebbe invece procedere considerando le specifiche richieste di attribuzione di funzioni presentate dalle singole regioni e verificare se su queste la normativa vigente, o eventuali innovazioni legislative, fissino Lep rilevanti. Peraltro, questo è l’approccio che la stessa Corte costituzionale indica nel caso in cui le regioni richiedano specifiche funzioni incluse tra le cosiddette “materie non-Lep” e che tuttavia investano diritti civili e sociali: su queste specifiche funzioni la trattativa stato-regioni per l’attribuzione differenziata deve fermarsi per verificare appunto l’esistenza – o l’opportunità di fissare – un Lep da garantire anche nella regione ad autonomia differenziata.
Il superamento dei divari territoriali
Quanto all’altro obiettivo dichiarato della richiesta di delega – “favorire il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali” – è difficile ritenere che lo strumento proposto dal governo sia davvero quello più coerente. Come è possibile nei tempi assai ristretti della delega – nove mesi – riuscire a rivalutare l’appropriatezza dei Lep oggi previsti esplicitamente o implicitamente dalla normativa vigente in una molteplicità di materie e, se del caso, rivederli, modificarli o addirittura introdurne di nuovi? E questo di fatto per tutti gli ambiti di intervento pubblico di competenza statale, con l’eccezione solo di previdenza, difesa e ordine pubblico. Un programma a dir poco ciclopico di riscrittura dell’intera legislazione, sempreché tutta l’operazione di determinazione dei Lep non si esaurisca in una mera ricognizione di quanto già previsto dalla normativa vigente in termini di regole e prestazioni standard che disciplinano oggi l’intervento dello stato.
Quando i principi e criteri direttivi sono troppo generici
Il disegno di legge delega ha altri aspetti critici. Il primo riguarda la questione sollevata dalla Corte costituzionale in merito alla mancanza, nelle disposizioni della legge Calderoli, di principi e criteri direttivi sufficientemente dettagliati per orientare la decretazione del governo. Resta da capire se l’attuale disegno di legge sia in grado di superare tale rilievo. Ad esaminare i principi e criteri direttivi particolari riportati per le singole materie di intervento pubblico emerge una certa eterogeneità circa il grado di specificazione delle indicazioni, che sembra riflettere il diverso grado di approfondimento ricognitivo effettuato dal Comitato Cassese. Per alcune materie, in particolare per l’istruzione e la tutela e sicurezza del lavoro, sembra esserci stato un più solido approfondimento a partire dalle attività in essere, con il richiamo agli innumerevoli atti normativi che le regolano. In altri casi, come per esempio per la ricerca scientifica e tecnologica, si riscontrano invece enunciazioni e auspici generici di valorizzazione e promozione, difficilmente qualificabili come criteri direttivi. Così per l’alimentazione, in cui, nell’ambito della tutela dei consumatori, l’obiettivo diventa la “qualità alimentare dei prodotti di agricoltura biologica”, come se i prodotti dell’agricoltura tradizionale fossero estranei a qualunque forma di tutela. Quanto al governo del territorio, vengono formulate indicazioni generiche in buona misura già presenti nel Testo unico in materia edilizia. In generale, per tutte le materie oggetto dell’intervento del governo, sarebbe auspicabile che la discussione sul disegno di legge rappresentasse l’occasione per avviare, nel Parlamento e nel paese, un confronto ampio e informato sul merito delle diverse proposte di Lep.
La questione sanità
Un secondo profilo critico riguarda l’esclusione della materia sanitaria dal perimetro della determinazione dei Lep prevista dal disegno di legge delega. L’esclusione, che fa il paio con le conclusioni del Comitato Cassese che identificano i Lep in sanità con i Livelli essenziali di assistenza-Lea già fissati dalla normativa, confligge, sul piano finanziario, con il concetto di Lep che sembra implicito nel disegno di legge per le altre materie considerate: quello di specifiche prestazioni da garantire ai cittadini in termini di beni e servizi. Ciò comporta che il finanziamento di tali prestazioni dovrà necessariamente essere determinato valorizzando questi beni e servizi per un costo unitario di fornitura stimato in condizioni di efficienza. Nel caso della sanità si applica oggi, e data l’esclusione prevista dal disegno di legge delega, anche domani, un approccio diverso: a livello nazionale si determina in un fondo di risorse complessivo, coerente con le compatibilità della finanza pubblica, che viene poi ripartito tra le Regioni sulla base di indicatori di bisogno sganciati dai Lea stessi. Questi ultimi sono impiegati soltanto per il monitoraggio a posteriori delle prestazioni sanitarie effettivamente rese dalle regioni. Appare quanto meno opportuno che il disegno di legge motivi in modo adeguato la diversità di approccio nel trattamento dei Lep tra sanità e ambiti diversi dalla sanità.
In conclusione, c’è da chiedersi quanto una delega siffatta, per l’ampiezza che la caratterizza e per il suo essere prevalentemente ricognitiva, introduca quegli aspetti innovativi che, a oltre vent’anni di distanza dall’approvazione della riforma del Titolo V, ci si sarebbe dovuti attendere, a meno che l’operazione non serva soltanto per ribattezzare le funzioni già esercitate con l’etichetta Lep.
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Savino
La delega è tutta un’elencazione di buoni propositi e di cose che già le Regioni fanno, dovuta alla distribuzione sottintesa delle competenze dopo la riforma del titolo quinto, anche qui con piena ambiguità, nel senso che risulta sottinteso che materia concorrente significherebbe materia sottratta allo Stato e data vinta alle Regioni, dando ciò per scontato.
Ad esempio la delega dice, grosso modo: la Regione tutelerà i viaggiatori in aereo, comprese tutte le fasce deboli, ed è competente per il sistema aeroportuale, compresa la disciplina di biglietti, bagagli e logistica.
Non è indicato perchè la competenza della Regione dovrebbe essere, in quello specifico settore, riconosciuta più efficiente, efficace ed economica della competenza statale. Non vi è alcun riferimento alla differenziazione tra competenze, nessuno dice, cioè, se una Regione montana, marittima, turistica, industriale, interessante sul piano culturale o paesaggistico, avente un particolare artigianato o commercio o folklore, sia in grado, in quello specifico settore, di essere riconosciuta con un grado di competenza più efficiente, efficace ed economico della competenza statale.