Non solo tra Nord e Sud, ci sono disuguaglianze economiche anche all’interno del Mezzogiorno continentale. Si possono spiegare con le riforme amministrative napoleoniche, confermando la rilevanza del decentramento amministrativo per lo sviluppo locale.
I divari di sviluppo interni nel Mezzogiorno
Il dibattito sulla questione meridionale si è tradizionalmente concentrato sul divario tra Nord e Sud del paese. Meno attenzione è stata prestata all’analisi dei differenziali di sviluppo economico all’interno del Mezzogiorno continentale.
Sebbene il divario di crescita economica tra le regioni meridionali e quelle settentrionali rimanga marcato, anche all’interno del Mezzogiorno continentale si riscontrano significative eterogeneità territoriali. Ad esempio, i comuni settentrionali (Nord Est e Nord Ovest) hanno registrato un premio del 31 per cento in termini di reddito imponibile per contribuente nel 2023 rispetto a quelli del Mezzogiorno continentale, e un premio del 43 per cento in termini di valore aggiunto per lavoratore nel 2022 (panel A in figura 1). Se però si guarda ai differenziali interni al Mezzogiorno continentale, emergono due informazioni interessanti. In primo luogo, i comuni capoluogo di provincia hanno registrato un premio del 28 per cento su entrambe le grandezze rispetto ai comuni non capoluogo di provincia (panel B in figura 1). In secondo luogo, i dati suggeriscono una certa eterogeneità territoriale in termini di sviluppo: se da un lato il comune del Mezzogiorno continentale “più ricco” ha registrato un livello medio di reddito imponibile per contribuente circa tre volte maggiore rispetto al comune “più povero”, quello “più produttivo” ha ottenuto un livello medio di valore aggiunto per lavoratore circa 109 volte maggiore rispetto al comune “meno produttivo”. D’altra parte, tali rapporti sono maggiori di circa quattro e due volte, rispettivamente, nel Settentrione rispetto al Mezzogiorno continentale.
Figura 1 – Differenziali di sviluppo economico
Il ruolo delle riforme amministrative napoleoniche
Da cosa dipende, dunque, l’eterogeneità nella geografia economica “interna” del Mezzogiorno continentale? Le differenze che lo caratterizzano oggi sono certamente frutto di vari fattori che hanno innescato processi storici, economici e sociali stratificatisi nel tempo. In un recente lavoro ci concentriamo sulle riforme amministrative introdotte nel 1806 dalle autorità napoleoniche nel Regno di Napoli. Prima di questi interventi, la geografia amministrativa del Regno era articolata in dodici province, all’interno delle quali la presenza dello stato risultava molto limitata, se non del tutto assente. Di fatto, i “poteri amministrativi” a livello locale erano esercitati da feudatari, ordini religiosi e famiglie aristocratiche. Nel 1806, le nuove autorità procedettero a una riorganizzazione della geografia amministrativa del Regno di Napoli. Le province vennero suddivise in 40 distretti e, all’interno di ciascuna di queste unità geografico-amministrative “intermedie” tra il comune e la provincia, fu scelto un comune come capoluogo di distretto. Tali comuni (come, ad esempio, Castellammare di Stabia, Castrovillari, Lagonegro, Lanciano, Sulmona), selezionati in base alla loro centralità geografica rispetto al territorio del distretto, vennero dotati di alcune funzioni amministrative – il primo segnale tangibile della presenza capillare dello stato nel territorio del Mezzogiorno continentale. Funzionari, ufficiali, soldati e poliziotti furono inviati nei capoluoghi di distretto per sostenere l’attività del Sotto-intendente. Le funzioni attribuite nel 1806 furono mantenute anche dopo la restaurazione borbonica del 1816, nonché ulteriormente rafforzate con la riforma amministrativa introdotta dal Regno d’Italia nel 1865, che contribuì ovviamente alla definizione del reticolo urbano meridionale.
Nel nostro lavoro sfruttiamo l’esogeneità del processo di definizione dei distretti e di scelta dei comuni capoluogo per confrontare, per mezzo di modelli difference-in-differences, event study, e synthetic control, i comuni selezionati come capoluoghi di distretto nel 1806 con i comuni ai quali non furono attribuite funzioni amministrative sovracomunali. La nostra evidenza empirica mostra come siano proprio i comuni capoluogo di distretto ad aver conosciuto, nel corso dei decenni, un maggiore sviluppo in termini di crescita demografica ed espansione industriale, nonché in termini di dotazione infrastrutturale e offerta di servizi pubblici locali. Nel 1927 il regime fascista, in una logica di centralizzazione, abolì i distretti – rinominati circondari dopo l’Unità d’Italia – e i relativi capoluoghi, ma i comuni scelti dalle autorità napoleoniche nel 1806 come capoluoghi di distretto continuarono a crescere, sostenuti dai processi avviati nei decenni precedenti. Possiamo quindi affermare che l’attuale geografia economica del Mezzogiorno continentale rifletta anche scelte compiute oltre due secoli fa dalle autorità francesi.
Il decentramento amministrativo come leva per lo sviluppo locale
Quali lezioni si possono trarre da queste evidenze (così come da altre riferite alla Francia o alla Cina)? La prima è piuttosto intuitiva: la presenza dello stato in un territorio riveste un’importanza fondamentale. Oltre a generare occupazione pubblica, comporta un ampliamento dell’offerta di beni pubblici locali, come infrastrutture, sicurezza, e servizi sociali.
La seconda lezione riguarda invece il ruolo del decentramento politico-amministrativo a livello territoriale che, influendo sulla gerarchia urbana, può esercitare un effetto positivo sullo sviluppo locale.
Queste analisi suggeriscono, dunque, che una lettura meno ideologica della questione meridionale potrebbe offrire spunti significativi per valorizzare il potenziale di sviluppo dei territori del Mezzogiorno. Ciò non soltanto attraverso politiche di perequazione a favore delle regioni del Sud Italia, ma anche attraverso un più deciso ricorso a politiche di decentramento amministrativo e di rafforzamento dell’autonomia territoriale.
* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire agli autori e non investono la responsabilità delle istituzioni di appartenenza.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Savino
Certamente, la via della riforma geografico-amministrativa di uno Stato centrale è molto meglio del federalismo italiano sgangherato degli ultimi 25-30 anni e rende visivamente la presenza dello Stato in maniera uguale su tutti i territori, favorendone la loro crescita, come ci indica la suddivisione francese dei dipartimenti. C’è da aggiungere che i distretti di cui parla l’articolo furono un punto di riferimento per circoscrivere tutta la distribuzione delle competenze amministrative, giudiziarie ed elettorali. I distretti si suddivisero a loro volta in circondari o mandamenti, composti dai 2 ai 6 Comuni, con un ulteriore capoluogo in cui erano presenti importanti uffici, come la vecchia Pretura. Questo per dire della rilevanza anche dell’intercomunalità, aspetto che sarebbe interessante oggi, in presenza di spopolamenti e carenze nella copertura dei servizi essenziali. Sono, quindi, convinto che bisogna saper percorrere la strada della buona geografia politica e della dimensione urbana per inquadrare molti problemi e provare a risolverli.