Referendum: una partita giocata in periferia

I quattro quesiti sulle tutele sul lavoro sono riusciti a spingere al voto più elettori nelle periferie delle grandi città, ma non così tanti da raggiungere il quorum. E se la partecipazione fosse stata di massa la sconfitta del referendum sulla cittadinanza sarebbe stata ancora più evidente.

Nelle grandi città si è votato di più, ma non in periferia

L’analisi dei flussi elettorali rispetto al reddito fornisce interessanti spunti di riflessione anche per la recente consultazione referendaria sul lavoro e l’accesso alla cittadinanza italiana.

Il confronto è reso possibile dalla distribuzione per codice di avviamento postale (276 zone) delle dichiarazioni Irpef per l’anno 2024 (redditi 2023) delle città di Roma, Milano, Napoli, Torino, Genova, Palermo, Bologna e Firenze, incrociate con i risultati elettorali nelle corrispondenti 7.709 sezioni in cui si è votato (non sono state considerate le sezioni speciali allestite per gli studenti fuori sede).

Il risultato del referendum è noto. Hanno votato solo 14 milioni di italiani, il 30,6 per cento del corpo elettorale, ben lontano dal quorum di validità del 50 per cento. Nei quattro quesiti sul lavoro il “sì” è andato poco sotto il 90 per cento dei voti validi, mentre i favorevoli a concedere il diritto alla cittadinanza italiana dopo cinque anni di residenza (invece dei dieci attuali) sono stati il 65 per cento.

Nelle sette grandi città – dove vive il 13 per cento degli elettori e si concentra il 16 per cento del reddito complessivo degli italiani, con un circa 31mila euro per individuo contro una media nazionale di 24.300 euro – ha votato il 36,9 per cento degli elettori, sei punti in più della media nazionale. 

Figura 1 – Rette di interpolazione dell’affluenza al voto ai Referendum dell’8 e 9 giugno 2025 nelle grandi città rispetto al reddito medio per zona

Fonte: elaborazione su dati del dipartimento delle Finanze (statistiche fiscali), ministero dell’Interno (Eligendo) e uffici elettorali comunali

Nell’interpretare i dati vanno tenuti presenti almeno due fattori: la maggiore propensione al voto storicamente registrata nel Nord Italia rispetto al Centro e al Sud; l’invito all’astensione da parte dei partiti politici dell’attuale maggioranza (più radicati al Nord).

A Firenze e Bologna, le città dove si è andati più vicini al quorum, l’affluenza è stata maggiore nelle zone a minor reddito (inclinazione dall’alto verso il basso). Viceversa, a Palermo e Napoli, dove si sono registrate le percentuali di voto più basse, l’andamento è opposto. A Roma, Milano, Genova e Torino il trend è quasi piatto, come lo è per la media delle grandi città. Le evidenze suggeriscono che nei grandi centri il fallimento del referendum è imputabile soprattutto alla mancata partecipazione degli elettori meno abbienti che vivono nelle periferie.

Figura 2 – Rette di interpolazione dei favorevoli al reintegro in caso di licenziamento illegittimo (Referendum dell’8 e 9 giugno 2025 – Quesito 1) nelle grandi città rispetto al reddito medio per zona

Fonte: elaborazione su dati del dipartimento delle Finanze (statistiche fiscali), ministero dell’Interno (Eligendo) e uffici elettorali comunali

Chi è favorevole al reintegro

Il 90,5 per cento degli elettori delle grandi città ha votato in favore del reintegro in caso di licenziamento illegittimo (quesito 1), poco più della media nazionale. In tutte il consenso è stato maggiore nelle zone più povere, con un maggior numero di contrari al crescere del reddito. Le differenze all’interno dei capoluoghi sono notevoli. A Roma, ci sono quasi 15 punti di distanza tra il 94,4 per cento di “Sì” a Centocelle, Togliatti, Alessandrino (cap 00172) e l’80,3 per cento di Parioli, Villa Borghese (cap 00197). Il gap cresce a Milano, tra il 90,4 per cento di favorevoli a Quarto Oggiaro e Roserio (cap 20157) e il 72,6 per cento a City Life, Pagano (cap 20145). Più contenute le differenze a Napoli, con il 96,8 per cento a San Giovanni a Teduccio (cap 80146) e l’87,7 per cento a Mergellina (cap 80122). A Torino si oscilla tra il 91,4 per cento di Borgo Vittoria (cap 10148) e il 79,8 per cento di Gran Madre, Borgo Po, Villa della Regina (cap 10131). A Genova i “Sì” prevalgono con il 94,1 per cento a Pontedecimo, Morego, San Quirico (cap 16163) e dieci punti in meno a San Giuliano (cap 16145) e Albaro (cap 16146). Meno marcate le differenze a Palermo, dove a via Basile, Montegrappa (cap 90128) i consensi sono il 94,4 per cento, mentre a via Dante, Villa Trabia (cap 90141) il 91,1 per cento. A Bologna, i favorevoli sono il 92,9 per cento a San Donato, viale Europa (cap 40127) e quasi dieci punti in meno a Via dei Colli, via degli Scalini (cap 40136). Infine, a Firenze si sfiora il 92 per cento all’Isolotto, Ugnano (cap 50142) e Peretola (50145), mentre a Campo di Marte, via Masaccio (cap 50132) non si arriva all’86 per cento.

Figura 3 – Rette di interpolazione dei favorevoli al diritto di cittadinanza dopo 5 anni di residenza (Referendum dell’8 e 9 giugno 2025 – Quesito 5) nelle grandi città rispetto al reddito medio per zona

Fonte: elaborazione su dati del dipartimento delle Finanze (statistiche fiscali), ministero dell’Interno (Eligendo) e uffici elettorali comunali

I risultati del referendum sulla cittadinanza

Favorevoli a concedere il diritto di cittadinanza italiana dopo cinque anni di residenza (anziché gli attuali dieci) sono stati il 73,5 per cento degli elettori delle grandi città, 8 punti in più della media nazionale. Rispetto ai quesiti sul lavoro la situazione si ribalta. In tutte le grandi città, una percentuale più elevata di consensi si registra nelle zone a maggior reddito. 

Anche considerando che si sono recati alle urne solo una parte degli aventi diritto, con orientamento politico prevalente di centro-sinistra e progressista, il messaggio appare chiaro. Le persone con reddito più alto (generalmente associato a un maggiore livello di istruzione), che vivono nelle zone a maggior pregio, sono più favorevoli all’inclusione. Viceversa, chi vive nelle periferie delle città, a più stretto contatto con gli immigrati stranieri, è meno propenso all’ampliamento dei requisiti.

Sono contrari quasi il 40 per cento dei votanti di Quarto Oggiaro, Roserio (cap 20157) a Milano; più del 30 per cento a Piazza Garibaldi, Stazione (cap 80142) a Napoli; oltre il 40 per cento nelle circoscrizioni 5 (Borgo Vittoria, Madonna di Campagna, Lucento, Vallette) e 6 (Regio Parco, Barriera di Milano, Falchera, Rebaudengo, Barca-Bertolla, Villaretto) di Torino; stessa percentuale di contrari tra gli elettori di Cornigliano (cap 16152) a Genova; un terzo di quelli di corso dei Mille, Messina Marine (cap 90122) a Palermo e di Peretola (cap 50145) a Firenze; più del 30 per cento dei votanti di Borgo Panigale (cap 40132) a Bologna.

Periferie decisive

Ricapitolando, in un contesto di sempre maggiore disaffezione al voto degli italiani (alle Politiche del 2022 ha votato solo il 62 per cento e alle Europee del 2024 meno del 50 per cento), il raggiungimento del quorum di almeno il 50 per cento degli aventi diritto, per la validità di un referendum abrogativo, è divenuto quasi impossibile. L’ultima volta in cui lo si ottenne fu nel 2011 quando si votò per l’acqua pubblica.

I quattro quesiti per le maggiori tutele sul lavoro, proposti dalla Cgil, avrebbero dovuto attirare di più le persone che hanno un reddito più basso e vivono nelle periferie delle grandi città, quelle più economicamente a rischio di povertà in caso di licenziamento, lavoro a termine, infortuni. Effettivamente, rispetto alle altre consultazioni elettorali, in cui ha prevalso una maggiore partecipazione al voto delle classi più abbienti, all’ultimo referendum la situazione si è quanto meno bilanciata (ma non al Sud), senza però che ciò sia stato sufficiente.

Il mancato coinvolgimento della maggioranza silenziosa, quella che non vota e non partecipa attivamente alla vita politica, è stato ancora una volta decisivo. Con un’ulteriore riflessione: se gli esclusi fossero andati in massa a votare, avrebbero da un lato ottenuto maggiori tutele sul lavoro, ma dall’altro avrebbero espresso la loro contrarietà alla concessione della cittadinanza italiana agli immigrati stranieri. 

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  1. Savino

    Landini non si è chiesto il perchè, nonostante la sua presenza, siamo tornati ai tempi dei bisnonni nei rapporti di lavoro. E, poi, gli italiani vogliono essere falsi lavoratori autonomi ed hanno perso il significato del lavoro subordinato.

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