Il governo ha usato il golden power per bloccare l’operazione lanciata da Unicredit su Banco BPM. Con un motivo del tutto pretestuoso non solo è entrato in partita, ma ha anche commesso una scorrettezza. Proprio quello che un arbitro non dovrebbe mai fare.
La resa di Unicredit al golden power
Alla fine, il governo ce l’ha fatta: è riuscito a indurre Unicredit a desistere dal suo intento di conquistare Banco BPM. L’ha fatto in maniera scorretta: usando il suo potere di intervento speciale, il cosiddetto “golden power”, con motivazioni infondate e imponendo condizioni ingiustificate.
Il motivo, alla base dell’uso del golden power, si basa su una presunta minaccia alla sicurezza nazionale, dovuta alla aggressione di una banca italiana (Banco BPM) da parte di una banca, a detta del governo, straniera: Unicredit, appunto. La motivazione ha lasciato di stucco molti osservatori e ha suscitato i rilievi della Commissione Ue. Non ci vuole molto per capire che Unicredit, nonostante una presenza consistente di soggetti esteri nel suo azionariato, sia una banca italiana: la sede è a Milano e la governance (direzione-Cda) è nostrana. La tesi secondo cui occorrerebbe difendere i risparmi degli italiani, custoditi in Banco BPM, dall’assalto dello straniero appare ancora più paradossale se si considera che il nostro governo non ha avuto nulla da eccepire sul fatto che Crédit Agricole abbia richiesto l’autorizzazione ad aumentare la sua partecipazione (attualmente poco sotto il 20 per cento) nel Banco BPM. Pare quindi che Unicredit sia una banca straniera e Crédit Agricole una banca italiana: una bella contorsione.
Il disegno governativo sulle banche
Naturalmente, i nostri governanti sanno benissimo che Unicredit è una banca italiana e che l’operazione lanciata sul Banco BPM non costituiva nessuna minaccia per la sicurezza nazionale. Perché allora avanzare una motivazione così pretestuosa per bloccare l’offerta di Unicredit? La ragione è semplice: perché quella offerta interferiva con il disegno del governo di costruire il “terzo polo” bancario sotto la sua regia. Il governo non ha mai fatto mistero di volere costruire attorno al binomio Mps-Banco BPM, cui si è poi aggiunta Mediobanca, un gruppo bancario di primaria importanza. Il film, girato sotto la regia del governo, era già cominciato nel novembre scorso, quando il ministero dell’Economia e Finanze aveva collocato, con una procedura anomala e sulla quale è in corso una inchiesta giudiziaria, una quota del 15 per cento di Mps a soli quattro soggetti: Banco BPM, Anima Sgr (società del gruppo Banco BPM), Delfin (finanziaria della famiglia Del Vecchio) e gruppo Caltagirone. La procedura di collocamento fu affidata a Banca Akros, sempre del gruppo Banco BPM. Si noti che Delfin e Caltagirone sono soci anche di Mediobanca, su cui Mps ha appena lanciato una offerta di acquisizione, che fa leva proprio sulla adesione (scontata) di questi due azionisti forti. E sono soci anche delle Assicurazioni Generali, di cui Mediobanca stessa è azionista di rilievo. È difficile non pensare che ci sia una regia governativa, che si avvale di attori finanziari e industriali, per realizzare un polo finanziario (banca – gestione del risparmio – assicurazione) che ricada sotto l’influenza del governo stesso.
Se il governo vuole giocare, almeno eviti di commettere fallo
Il fatto che il governo intervenga attivamente nella partita che si sta giocando sul campo delle operazioni di aggregazione tra banche è discutibile. Molti (tra cui il sottoscritto) hanno scritto che i governi non dovrebbero interferire con operazioni di mercato e con l’operato delle autorità di settore: l’Antitrust, la banca centrale quale autorità di supervisione prudenziale, la Consob. Le regole all’interno delle quali gli attori del mercato si devono muovere ci sono già, così come non mancano le autorità chiamate a farle rispettare. Non si vede quindi la necessità di un intervento attivo dei governi, che invece non resistono alla tentazione di imporre il loro disegno. Bisogna riconoscere che in questo, quello italiano è in buona compagnia: basti vedere, per fare un esempio, la manifesta ostilità del governo tedesco all’integrazione tra Unicredit e Commerzbank, che oltretutto fa a pugni con i proclami sulla unione bancaria e dei capitali.
Non tutti saranno d’accordo con la tesi che le autorità dovrebbero limitarsi a stabilire le regole con le quali si gioca la partita e farle rispettare, senza entrare loro stesse in partita. C’è chi ritiene che i manager fanno l’interesse solo degli azionisti, senza tenere conto degli altri “stakeholders” delle banche: imprese, famiglie, dipendenti. Bene farebbero quindi i governi a intervenire a difesa del tanto decantato “territorio” su cui agiscono le banche. Se su questa visione si può discutere, quello che senz’altro non si può accettare è che il governo intervenga con misure scorrette, come si è verificato con l’utilizzo del golden power e (salvo verifica da parte degli inquirenti) con una anomala procedura di vendita di una quota di Mps da parte del ministero.
Ammesso e non concesso che sia opportuno intervenire, almeno lo si faccia evitando palesi scorrettezze. Per metterla in termini calcistici: se proprio l’arbitro vuole giocare, almeno eviti di entrare a gamba tesa e spaccare la gamba di un giocatore.
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