La casa sta diventando un problema sempre più urgente per un numero sempre più grande di persone. Da vent’anni mancano piani di edilizia pubblica, ora il governo sembra intenzionato a occuparsi del tema. Con la legge di bilancio vedremo con quali risorse.

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Chi vive in affitto

La casa rappresenta un bisogno fondamentale delle persone, ma non sempre averne una risulta facile.

In Italia, vi è una storica preferenza per la proprietà dell’abitazione, peraltro per decenni favorita dalle politiche pubbliche, che ne hanno incentivato l’acquisto. Nel 2023, solo il 25 per cento delle famiglie risulta in affitto, una quota inferiore alla media europea (35 per cento).

Il valore sintetizza situazioni molto differenziate tra le diverse fasce sociali e geografiche. Tra le famiglie più povere (il cui reddito è inferiore al 60 per cento di quello mediano equivalente), infatti, la proprietà della casa di abitazione è meno diffusa, con un maggior ricorso all’affitto (il 40 per cento dei casi).

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La domanda di case in affitto è guidata anche dalle crescenti esigenze di mobilità legate a studio e lavoro, mentre l’offerta resta spesso insufficiente.

Secondo il Censimento Istat 2021, delle quasi 35,3 milioni di abitazioni, 25,7 milioni risultavano occupate (73 per cento, sono considerate tali dove dimora abitualmente almeno una persona): di queste, la maggioranza (19,4 milioni) risultavano di proprietà, mentre le abitazioni in affitto o concesse con altro titolo (come comodato d’uso gratuito, prestazioni di servizio o altro) erano 5,9 milioni.

Le differenze tra città e zone rurali

La distribuzione delle case in affitto o non occupate non è omogenea sul territorio.

Le case che risultano affittate si concentrano soprattutto nelle città (2 milioni su 4,3 totali) e in aree più urbanizzate, dove c’è maggiore richiesta per le più ampie opportunità di studio e lavoro. Le abitazioni che potrebbero essere disponibili, almeno in potenza, per essere locate perché non occupate sono invece più diffuse nei comuni classificati come rurali: si concentra qui il 38 per cento del totale. Solo il 18 per cento delle case non occupate (meno di 1,8 milioni di abitazioni) si trova nelle città e nei comuni più densamente popolati.

Il dato normalizzato mostra che nei centri urbani ci sono solo 0,08 abitazioni libere per residente, il numero è sette volte superiore (oltre 0,6 abitazioni libere per residente) nelle zone meno popolate. Una parte delle abitazioni non occupate è da ricondurre alle locazioni stagionali o alle seconde case (la quota di abitazioni non occupate sul totale è decisamente superiore nei territori turistici), ma in parte vi incide lo spopolamento.

Non è poi da trascurare l’effetto Airbnb, soprattutto nei centri maggiori e più turistici, che sottrae altre case da quelle potenzialmente disponibili all’affitto di lunga durata.

Figura 2

Quanto pesa il canone

La poca disponibilità di abitazioni per la locazione riscontrata in particolare nelle aree urbane e nei centri ad alta densità abitativa si riflette sui canoni richiesti, che aumentano. In più, avere poche opzioni a disposizione può spingere chi cerca una casa – e in particolare coloro che sono sottoposti a vincoli di bilancio più stringenti – ad accettare soluzioni di più bassa qualità, piccole, maltenute o situate in aree marginali, vivendo in condizioni più precarie.

La difficoltà nel trovare un alloggio adeguato a prezzi accessibili amplifica il disagio abitativo, rendendo sempre più difficile per le famiglie e gli individui soddisfare il bisogno fondamentale di una casa sicura e dignitosa.

Secondo gli ultimi dati dell’indagine EuSilc condotta da Eurostat, nel 2023 in Italia l’affitto pesava in media per circa un quinto del reddito disponibile delle famiglie (20,4 per cento), un valore in linea con quello medio europeo; il peso economico risultava però più elevato per i nuclei più poveri (30 per cento), in particolare per quelli composti da persone sole o per i nuclei monogenitoriali. Una famiglia su dieci tra quelle residenti nelle città di dimensione intermedia o nelle periferie aveva sperimentato qualche difficoltà a pagare l’affitto negli ultimi dodici mesi (7,6 per cento la media nazionale); la frequenza quasi raddoppiava (19,3 per cento) per le famiglie appartenenti al primo quintile della distribuzione del reddito.

Un altro aspetto critico è rappresentato dalle condizioni abitative: la dimensione media delle famiglie rispetto alla superficie delle abitazioni evidenzia un problema di sovraffollamento, che colpisce in particolare gli affittuari e chi si trova nei quintili più bassi di reddito. Le difficoltà risultano evidenti anche dai dati sugli sfratti: nel 2023, su oltre 39mila provvedimenti, il 78 per cento erano dovuti a morosità.

Che fine ha fatto l’edilizia pubblica?

La condizione di crescente disagio abitativo, soprattutto nei centri urbani, è quindi il riflesso di una serie di squilibri settoriali, che si combinano con un’azione piuttosto ridotta delle politiche abitative pubbliche. In Italia le grandi campagne di edilizia pubblica, che consentivano di soddisfare la domanda di abitazione dei ceti più vulnerabili e di alleggerire la pressione sul mercato, sono terminate alla fine del secolo scorso.

Il sostanziale disimpegno statale nell’ambito delle politiche abitative e i vincoli di bilancio che per un lungo periodo hanno condizionato l’operare delle amministrazioni locali hanno comportato un calo degli investimenti pubblici nell’edilizia residenziale popolare.

Utilizzando i dati del censimento degli immobili pubblici condotto dal ministero dell’Economia e delle Finanze, è possibile arrivare a una stima dello stock abitativo pubblico al 2022. Restringendo l’analisi ai soli comuni e alle aziende enti e istituti territoriali per l’edilizia residenziale, che rappresentano le tipologie di amministrazione più frequentemente proprietarie di immobili di edilizia residenziale pubblica (Erp), si ottiene una quantificazione di circa 720mila abitazioni analizzate, localizzate in maniera disomogenea sul territorio. Infatti, normalizzando per la popolazione residente, si osserva un’incidenza elevata in Emilia Romagna, Campania, Toscana, oltre che nelle regioni meno popolate (per mero effetto dimensionale), mentre la Lombardia risulta piuttosto indietro nella graduatoria.

La localizzazione degli immobili di Erp risponde in parte alla pressione abitativa, dato che più di metà degli alloggi è localizzata nelle aree più urbanizzate, che in media hanno una dotazione di circa 31 alloggi Erp ogni mille abitanti, un numero superiore a quanto rilevato a livello nazionale (28).

I dati per i principali comuni per dimensione demografica, però, tratteggiano un quadro molto eterogeneo anche all’interno di questo insieme ristretto (venti comuni, nei quali risiedono oltre 10,5 milioni di persone). Se da una parte vi sono comuni più dotati di alloggi di Erp, come Bologna, Napoli o Parma, ve ne sono invece altri, tra i quali c’è anche Roma, nei quali la dotazione è molto più scarsa. Ciò potrebbe riflettere il particolare campione utilizzato, che esclude amministrazioni centrali, enti di previdenza e amministrazioni locali diverse dai comuni, e che dunque in alcune realtà potrebbe rivelarsi meno rappresentativo. A ogni modo, a Roma gli alloggi di proprietà di comune o aziende per l’Erp sono poco più di 8 ogni mille abitanti, meno di un quinto di Napoli; Milano registra valori sostanzialmente intermedi, con 24,5 alloggi ogni mille abitanti.

Tabella 1

Dai dati si ricava anche che tra gli alloggi per i quali è disponibile l’informazione sull’epoca di edificazione, oltre la metà sono stati costruiti tra il 1960 e il 1990 e più di un quarto prima del 1960. La età media dello stock di immobili rispecchia anche il basso numero di nuovi alloggi edificati negli ultimi decenni.

Figura 3

Se è difficile che l’investimento in Erp possa risolvere il problema del disagio abitativo, è però vero che potrebbe contribuire a renderlo meno pressante. Anche l’housing sociale, rivolto alle persone con redditi superiori alle soglie – estremamente basse – fissate di norma per accedere all’Erp, ma comunque non sufficienti a sostenere canoni di affitto in rialzo, potrebbe aiutare, permettendo di rallentare l’espulsione dei ceti medio-bassi dalle città.

I piani del governo

Va in quest’ultima direzione il Piano casa rilanciato di recente dal governo, che intende affrontare il tema riproponendo l’edilizia sociale, ma anche la riorganizzazione delle “Aziende Casa” e la promozione di modelli di finanziamento basati sul partenariato pubblico-privato.

Tra gli interventi del Piano ci sono il rafforzamento del Fondo di garanzia sui mutui per l’acquisto della prima casa, la riorganizzazione dell’offerta di alloggi in edilizia sociale, favorendo al tempo stesso progetti di recupero e rigenerazione urbana.

Tuttavia, le risorse finora stanziate dalle ultime leggi di bilancio sono modeste, pari a 660 milioni di euro su un profilo pluriennale. Tra le proposte, ad ogni modo, c’è quella di ricorrere alle risorse provenienti dal fondo europeo InvestEU, dall’accesso ai prestiti della Bei, nonché dalla costituzione di un Fondo rotativo per l’abitare sostenibile e dalla creazione di un ulteriore fondo destinato ad accogliere risorse residue, comprese quelle non utilizzate del Pnrr.

Quante di queste proposte saranno poi effettivamente realizzate, e con quali ricadute, è però ancora tutto da vedere. Nondimeno, è senza dubbio positivo che il tema del disagio abitativo riceva rinnovata attenzione nell’agenda politica.

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