Monte dei Paschi di Siena è riuscita a conquistare Mediobanca. Un’operazione importante, ma non sufficiente per farne un gruppo capace di competere con le grandi banche italiane e straniere. Resta poi aperta la questione di Assicurazioni Generali.

Un esito previsto

La più antica banca italiana, il Monte dei Paschi di Siena, è riuscita a conquistarsi “il salotto buono del capitalismo italiano”, Mediobanca.

Il risultato era per molti versi scontato: la stragrande maggioranza delle offerte pubbliche di acquisto o scambio che offrono un prezzo equo, accompagnato da un dignitoso premio, hanno successo se i governi non si oppongono o un cavaliere bianco non interviene. Nel nostro caso, il governo italiano, azionista di riferimento di Mps, era apertamente favorevole all’operazione e nessuno ha ovviamente cercato di contrastarla.

Ma cosa farà ora il Monte dei Paschi della nuova prestigiosa partecipazione? Mediobanca è un marchio rinomato, attivo in settori delicati come il corporate banking, l’investment banking e il wealth management. In questi ambiti capitale umano e reputazione sono particolarmente rilevanti. È quindi ragionevole ritenere che Mps, non volendo dilapidare l’investimento effettuato, manterrà il marchio e sceglierà un management competente, a cui concedere ampia autonomia gestionale. Per il momento l’eventuale fusione è probabilmente rinviata, così come il delisting da Borsa: troppo oneroso per azionisti che non intendono diluirsi ulteriormente con nuovi aumenti di capitale, anche perché con ogni probabilità hanno in mente altri investimenti.

Ironia della sorte, è probabile che Luigi Lovaglio finisca per realizzare il piano di Alberto Nagel: concentrare le attività di investment banking e wealth management di Mps in Mediobanca e spostare la partecipazione in Generali presso la capogruppo. Le promesse di sinergie per 700 milioni l’anno contro costi significativi nel primo anno restano però da concretizzare. Inoltre, entro sei mesi dalla chiusura dell’operazione, Mps dovrà presentare alla Banca centrale europea un piano d’integrazione dettagliato, comprensivo di impatti sul capitale, strategia digitale, governance, Ict e sinergie operative.

Verso una fusione con Banco Bpm?

Tutto questo non basta tuttavia a fare di Mps un gruppo capace di competere alla pari con i grandi player italiani ed esteri. In primo luogo, rimane la necessità di raggiungere la giusta dimensione nel retail banking e nello small corporate, da sempre core business della banca senese.

Si è parlato a lungo di una fusione con Banco Bpm, già azionista di Mps, che dal punto di vista territoriale coprirebbe aree cruciali del Centro-Nord nelle quali la banca toscana è più debole. Inoltre, con l’istituto milanese esistono forti sinergie nell’asset management, dove Banco ha recentemente conquistato il 90 per cento di Anima, in precedenza detenuto da Poste Italiane, dal Fondo strategico di investimento e da Francesco Gaetano Caltagirone, tutti azionisti diretti o indiretti di Mps.

Certo, oggi Crédit Agricole, che ha grandi ambizioni in Italia (suo secondo mercato), è il principale azionista di Banco Bpm con il 19,8 per cento e ha chiesto di salire ulteriormente. Sarebbe tuttavia singolare che il governo italiano, che ha bloccato UniCredit ricorrendo in modo discutibile al golden power, lasciasse la banca milanese in mani francesi. È più probabile che Crédit Agricole sia disposto a un passo indietro in cambio della cessione del 39 per cento di Agos, detenuto in partnership con Banco Bpm, di Vera Assicurazioni o di qualche altra società attiva nel risparmio gestito o nel parabancario. Non è escluso che si ripeta uno scenario simile a quello del 2007, quando a Crédit Agricole, allora principale azionista di Banca Intesa, furono cedute Cariparma e FriulAdria in cambio del via libera alla fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo Imi.

La questione Generali

Rimane poi la questione delle Generali. Oggi il business bancario è strettamente legato a quello assicurativo: non esiste infatti grande banca, in Italia o all’estero, che non possieda una compagnia assicurativa o non abbia strette partnership nel settore. Attualmente Mps ha una solida alleanza con la francese Axa, attiva nella distribuzione di prodotti vita, danni e previdenza complementare: la joint venture, nata nel 2007, è stata rinnovata fino al 2027.

Ora però Mps ha acquisito da Mediobanca il 13 per cento di Assicurazioni Generali, diventandone un azionista rilevante. Inoltre, i suoi principali soci, Gruppo Caltagirone e Delfin, sono anch’essi azionisti significativi di Generali. È quindi logico pensare che Mps voglia cercare sinergie con la sua più importante partecipazione, sia nel campo assicurativo sia in quello del risparmio gestito. Ancora una volta, il progetto di Nagel di fondere Banca Generali in Mediobanca potrebbe essere riesumato.
In fondo, come ricordano i latini: “Victores saepe consilia victorum sequuntur” — i vincitori spesso seguono i progetti dei vinti.

Ovviamente, tutti questi passaggi richiedono tempo e vanno gestiti con determinazione, ma anche con delicatezza. In gioco ci sono risorse umane e organizzazioni complesse. È però difficile immaginare che il risiko finanziario sia finito. Altre battaglie e colpi di scena ci attendono. L’obiettivo rimane sempre “la conquista del mondo”. O almeno la creazione del primo grande gruppo finanziario italiano.

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