La logica industriale dell’operazione Mps-Mediobanca non è ancora chiara, mentre lo è quella di potere. I gruppi Delfin e Caltagirone, soci forti della prima, rafforzano la presa sulla seconda banca e quindi su Generali. Un esito gradito al governo.

Siena ha vinto: e ora?

L’offerta pubblica di acquisizione lanciata da Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca ha superato di gran lunga le aspettative. L’obiettivo iniziale era trasformare Mediobanca in una controllata di Mps, come parte di un polo bancario in fase di costruzione che, nel tempo, potrebbe inglobare anche altri istituti. Ma con un’adesione pari all’86 per cento del capitale della banca “preda”, si apre ora uno scenario diverso: quello di una fusione per incorporazione di Mediobanca in Mps, con conseguente uscita di Piazzetta Cuccia dal listino (delisting). Verrebbe così meno, sul mercato, un attore centrale del capitalismo italiano dal secondo dopoguerra a oggi.

Spetta ora al vertice di Mps dimostrare che un’operazione di questa portata è stata una scelta strategica vincente, traducendo in realtà le sinergie promesse (pari a 700 milioni di euro). In sostanza, la sfida è gestire il processo di integrazione in modo che generi valore per gli azionisti di entrambi gli istituti coinvolti, andando oltre i benefici fiscali di breve periodo e smentendo il rischio di “distruzione di valore” paventato dal precedente management di Mediobanca. Il compito non sarà semplice, anche perché al momento non è del tutto evidente quale sia la vera logica industriale alla base dell’operazione.

Logica industriale da chiarire

Cosa si intende con “logica industriale”? Il termine si riferisce ai vantaggi che una fusione tra due banche può offrire agli azionisti: ad esempio, la possibilità di distribuire costi fissi – come quelli legati ai servizi di direzione centrale – su una base più ampia di attività dello stesso tipo, oppure di razionalizzare la rete di sportelli qualora vi siano sovrapposizioni geografiche. A questi benefici si aggiungono le cosiddette sinergie: aumenti di valore che derivano da caratteristiche complementari, come nel caso di una banca specializzata nella produzione di strumenti di investimento e un’altra focalizzata sulla loro distribuzione. In generale, è più facile che una fusione tra due istituti produca risultati positivi quando essi partono da modelli di business simili tra di loro.

Nel caso specifico di Mps e Mediobanca, si tratta di due intermediari con modelli di business ben diversi. Mps è una banca commerciale tradizionale, focalizzata su raccolta di depositi ed erogazione di prestiti a famiglie e Pmi: il classico retail banking. Mediobanca, per contro, ha una vocazione storica da banca d’affari e di investimento, attiva nelle operazioni societarie, nel trading, nella consulenza per grandi patrimoni (private banking) e nella gestione del risparmio (asset management). Solo di recente ha iniziato a rivolgersi anche alla clientela retail, sfruttando il proprio brand e le sue competenze nella gestione del denaro. Peraltro, la possibilità di razionalizzare la rete di filiali appare limitata, proprio per la differente distribuzione territoriale: Mps è forte nel Centro Italia, Mediobanca nel Nord.

Per creare valore – o almeno per non distruggerlo – sarà cruciale che Mps garantisca ampi margini di autonomia alla futura “divisione Mediobanca” (il nome è ancora da definire), affidandole la gestione dell’asset management, del private banking e dell’investment banking. La rete Mps dovrebbe invece continuare a presidiare le attività tradizionali di retail banking.

Logica di potere già chiara

Se la logica industriale è tutta da dimostrare nei fatti, quella di potere è invece già ben chiara. Sul fronte degli assetti proprietari, infatti, l’operazione appena conclusa consente ai due principali azionisti di Monte dei Paschi – i gruppi industriali Delfin e Caltagirone – di estendere il proprio controllo anche su Mediobanca e, indirettamente, sulla compagnia assicurativa Generali. Sommando le loro partecipazioni dirette nel Leone di Trieste a quella ora in capo alla ex-Mediobanca, il loro peso nel colosso assicurativo cresce sensibilmente. Così come aumenta la possibilità di preservare la “italianità” delle masse di risparmio gestite dalle Generali, sventando la joint venture con la francese Natixis, verso la quale il governo italiano non ha nascosto la sua ostilità.

Rimane ora da capire quale sarà il destino di BancoBpm. Dopo lo stop imposto dal Governo all’offerta avanzata da Unicredit – grazie a un uso piuttosto disinvolto del golden power – resta aperta la questione: Piazza Meda verrà integrata nel polo in costruzione tra Siena e Milano oppure finirà sotto l’influenza del suo principale azionista, Crédit Agricole, diventando di fatto una banca a controllo francese? Il secondo esito sarebbe un po’ paradossale, dopo che il governo ha giustificato il suo intervento a gamba tesa su Unicredit con l’argomentazione che si tratterebbe di una banca straniera. Staremo a vedere: il “risiko bancario” è un cantiere ancora aperto e potrebbe riservare altre sorprese.

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