L’analisi dei dati Inps sulle domande per l’Assegno unico universale rivela profonde disuguaglianze geografiche e socioeconomiche nella diffusione della disabilità infantile in Italia, con un intreccio complesso di fattori familiari e territoriali.
Dati ed evidenze sulla disabilità infantile
La disabilità in età infantile rappresenta una realtà che coinvolge milioni di famiglie. Secondo Eurostat, nel 2017 circa il 5 per cento delle famiglie europee con figli dichiarava la presenza di almeno un minore con limitazioni durevoli nello svolgimento delle attività quotidiane a causa di problemi di salute. Le evidenze esistenti mostrano, inoltre, che la diffusione del fenomeno varia considerevolmente tra i diversi paesi, riflettendo diversità nei sistemi sanitari, nelle condizioni socioeconomiche e nei fattori culturali che influenzano diagnosi e sostegno.
In Italia, le marcate differenze territoriali e il tradizionale divario Nord-Sud suggeriscono una probabile eterogeneità nell’incidenza della disabilità infantile. Infatti, nonostante l’universalità del sistema sanitario nazionale, persistono differenze regionali significative nella qualità e nell’accesso ai servizi, con inevitabili conseguenze sulla diagnosi e sull’insorgere di alcune forme di disabilità.
Data la limitata letteratura sul tema, basata per lo più su indagini campionarie di dimensioni ridotte, non ci sorprende la mancanza di evidenze che diano conferma, o smentiscano, questa ipotesi. Per colmare il gap conoscitivo, in un nostro recente lavoro abbiamo usati i dati Inps sulle domande all’Assegno unico universale. Per la prima volta, è stato possibile tracciare una mappa nazionale della disabilità infantile basata su certificazioni ufficiali, offrendo un quadro completo e attendibile del fenomeno. Dal 2022, infatti, tutte le famiglie con figli minori possono richiedere questo sostegno economico, dichiarando eventuali certificazioni di disabilità secondo tre livelli di gravità (lieve, grave e non autosufficienza). Questi dati, incrociati con altre fonti Inps sulle condizioni economiche e lavorative dei genitori, hanno permesso di costruire un importante archivio sulla disabilità infantile in Italia, che offre un quadro accurato del fenomeno e mette in luce alcune importanti differenze territoriali, nonché il ruolo cruciale delle condizioni socioeconomiche e dell’accesso ai servizi sanitari locali.
Quanti sono i bambini con disabilità in Italia?
Alla fine del 2024, più di 268mila famiglie italiane hanno presentato domanda per l’Assegno unico universale (Auu) per figli con disabilità, pari al 3,3 per cento del totale delle richieste. La nostra analisi si concentra sui bambini sotto i 10 anni, fascia d’età per cui l’adesione alla misura Auu supera il 95 per cento, rendendo i dati un registro pressoché universale delle nascite nell’ultimo decennio. Su circa 4 milioni di bambini sotto i 10 anni, oltre 105mila risultano ufficialmente certificati con una condizione di disabilità: il 2,5 per cento del totale. Tale dato è sostanzialmente allineato alle rilevazioni Istat nelle scuole, confermando l’affidabilità della nuova fonte.
Un’Italia divisa
Uno degli aspetti più rilevanti evidenziati dalla nostra analisi è una forte variabilità geografica. Come si può notare dalla figura 1, l’incidenza di bambini con disabilità (numero di domande per l’Assegno unico per figli con disabilità relative a bambini sotto i 10 anni sul totale delle domande Auu per bambini sotto i 10 anni) è maggiore nelle regioni del Centro e soprattutto del Sud Italia, mentre al Nord i valori sono sensibilmente più bassi (un quadro molto simile si conferma anche considerando solo le forme più gravi di disabilità).
Figura 1 – Prevalenza della disabilità nei bambini di età inferiore a 10 anni, per provincia

La figura 2 mostra come il divario diventi più marcato con l’aumentare dell’età del bambino. Nei primi anni di vita le differenze territoriali sono contenute, ma crescono progressivamente durante l’età prescolare e scolare. Due spiegazioni si intrecciano: da un lato, nel Mezzogiorno i problemi del sistema sanitario possono ritardare le diagnosi; dall’altro, condizioni socioeconomiche e ambientali più difficili potrebbero favorire l’emergere di nuove disabilità nel tempo. Tuttavia, i dati sulle disabilità più gravi – meno soggette a ritardi diagnostici – mostrano un quadro del tutto analogo suggerendo che condizioni socioeconomiche e ambientali più precarie possano generare nel corso della vita del bambino nuove forme di disabilità (o acuire quelle preesistenti), amplificando le disuguaglianze territoriali.
Figura 2 – Prevalenza della disabilità infantile per provincia e fascia di età


Condizioni familiari e territoriali
Per comprendere meglio il ruolo delle condizioni territoriali, abbiamo stimato un modello di probabilità lineare, in cui la variabile dipendente è una variabile binaria che assume valore 1 se il destinatario dell’Assegno unico è un bambino con disabilità e 0 in caso contrario. Il modello tiene conto di diverse caratteristiche del bambino e della famiglia (il genere, l’età della madre e del padre al momento della nascita, indicatori binari per madri e padri non italiani, la dimensione della famiglia e un indicatore delle condizioni socioeconomiche familiari), nonché di un indicatore binario per distinguere i bambini residenti nel Centro-Sud del paese, così da considerare il divario Nord-Sud.
L’analisi econometrica conferma il peso determinante delle condizioni socioeconomiche. Le famiglie nei decili di reddito più bassi presentano una prevalenza di figli con disabilità quasi doppia rispetto a quelle più abbienti: 3,5 contro 2,5 per cento. La relazione inversa tra condizioni economiche e prevalenza di figli con disabilità persiste anche considerando i redditi pre-nascita, escludendo quindi l’ipotesi di un impoverimento successivo alla disabilità.
A parità di caratteristiche familiari, vivere nel Sud aumenta significativamente la probabilità che un bambino abbia una disabilità. Tuttavia, quando includiamo nel modello stimato alcuni indicatori di vulnerabilità economica locale (l’indicatore vulnerabilità economica sviluppato dall’Istat e il tasso di occupazione nel sistema locale del lavoro) e di qualità dei servizi sanitari (l’indice di mortalità evitabile, il tasso di mortalità infantile, il numero di posti letto ospedalieri ogni 10mila abitanti e l’emigrazione sanitaria fuori provincia), la dummy Centro-Sud perde significatività statistica. Questo suggerisce che le differenze territoriali osservate sono in gran parte riconducibili a fattori socioeconomici e sanitari misurabili. Si riscontra, infatti, che nei territori caratterizzati da maggiore vulnerabilità economica e minore occupazione si registrano tassi più elevati di disabilità infantile. Analogamente, territori con alta mortalità evitabile ed elevata “emigrazione sanitaria” presentano una probabilità significativamente maggiore di disabilità infantile.
Oltre la diagnosi: la gravità come cartina di tornasole
L’analisi della gravità della disabilità conferma i pattern osservati. In questo caso, la variabile dipendente è una variabile binaria che assume valore 1 se il bambino presenta una disabilità grave, tale da compromettere l’autosufficienza, e 0 in caso di forme più lievi. Un reddito familiare più elevato è associato a una minore probabilità di avere un figlio con una disabilità molto grave. I bambini che vivono in aree più vulnerabili, o in territori con maggiore mortalità infantile e alti tassi di “emigrazione sanitaria”, hanno una maggiore probabilità di sviluppare disabilità molto gravi, evidenziando l’impatto delle disparità socioeconomiche e delle differenze nell’accesso ai servizi sanitari.
Un approccio integrato con politiche mirate
Sebbene non permetta di stabilire relazioni causali, la nostra analisi mette in luce profonde disuguaglianze geografiche e socioeconomiche nella diffusione della disabilità infantile in Italia, con un intreccio complesso di fattori familiari e territoriali.
Affrontare queste disuguaglianze con politiche mirate, supporto economico, miglioramenti sanitari e programmi di rilevazione precoce può contribuire a garantire migliori opportunità e risultati di salute per tutti i bambini, indipendentemente dal loro contesto sociale o territoriale. La complessità della disabilità infantile richiede un approccio integrato e multidimensionale, capace di creare un panorama più equo per tutti i bambini italiani.
I risultati della nostra ricerca offrono uno strumento prezioso per orientare le politiche pubbliche. Le disuguaglianze territoriali nella disabilità infantile riflettono in larga parte differenze nelle condizioni socioeconomiche e nella qualità dei servizi sanitari locali. Interventi mirati al rafforzamento della pediatria territoriale e della diagnosi precoce, all’estensione dei programmi di supporto economico e riabilitativo per le famiglie vulnerabili — possono contribuire a ridurre i divari. Utilizzare dati amministrativi come quelli dell’Inps permette per la prima volta di individuare con precisione dove concentrare le risorse, rendendo possibile una pianificazione più equa ed efficace nell’ambito delle politiche per l’infanzia e della programmazione sanitaria nazionale.
* Le opinioni qui espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.
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