L’emergenza abitativa è dovuta anche ai molti alloggi che le proprietà pubbliche non possono affittare perché non a norma. Il loro recupero può essere affidato alle famiglie locatarie, ma senza deroghe al rispetto delle graduatorie. Ecco come farlo.

La delibera dell’Emilia Romagna

In Emilia Romagna ci sono 5.863 case popolari sfitte che non possono essere assegnate alle famiglie che sono in graduatoria perché gli enti pubblici proprietari non hanno i denari per mettere a norma gli impianti, eliminare le barriere alla mobilità, fare gli altri necessari interventi di recupero. A livello nazionale, si trovano nella stessa situazione centinaia di migliaia di abitazioni, almeno 300mila secondo una stima, forse per difetto. La Regione Emilia Romagna ha modificato la sua legge sulla politica abitativa, per consentire che il recupero degli alloggi sfitti possa avvenire anche con il ricorso al credito privato. In questo modo la Regione ipotizza di rendere nuovamente utilizzabili circa 3.500 alloggi.

Il problema degli alloggi sfitti per il recupero dei quali mancano le risorse è comune a tutte le regioni. La soluzione ipotizzata dalla Regione Emilia Romagna consente di rimetterli in circolo senza pesare sui bilanci degli enti proprietari e potrebbe, pertanto, essere adottata anche altrove. È questa la ragione che rende interessante esaminarla, seppure molto schematicamente.

Una delibera della giunta regionale (n. 1564 dello scorso 29 settembre 2025), di attuazione della modifica normativa, fa appello ai comuni affinché, entro il 25 novembre, individuino le abitazioni sfitte che vogliono sottrarre alle regole ordinarie di selezione degli assegnatari e di determinazione dei canoni delle case popolari; alloggi che a ripristino avvenuto «possono essere facilmente locati a famiglie e lavoratori a canoni calmierati»; i conduttori pagheranno un «canone rispetto al reddito del nucleo familiare (mediamente pari a 300/400 euro per alloggi tipo di 80 mq)».

Per finanziare i programmi di recupero, la Regione sottoscriverà un mutuo, al cui ammortamento concorreranno i singoli comuni in proporzione all’ammontare della quota utilizzata, destinando a questo scopo i canoni che incasseranno dagli alloggi ripristinati e affittati. Per fronteggiare eventuali insolvenze e morosità degli inquilini durante il periodo di ammortamento del mutuo, è prevista la costituzione di un fondo di garanzia. La locazione a canone calmierato degli alloggi recuperati può protrarsi «per un periodo corrispondente all’estinzione del mutuo, la cui durata è prevista per un periodo indicativo massimo di 30 anni». Con il completo ammortamento del mutuo, termina anche il periodo della locazione a canone calmierato e gli alloggi dovrebbero tornare a essere case popolari da assegnare secondo la specifica normativa regionale. Poiché quel periodo può durare anche trenta anni, si corre il rischio che tutto si possa risolvere nel «recuperare alloggi pubblici non utilizzati da collocare sul mercato».

Il rischio di non rispettare le graduatorie

Le modalità con cui la Regione si propone di «promuovere azioni innovative rispetto alle misure già in atto» per rendere nuovamente utilizzabili gli alloggi sfitti possono avere ricadute la cui rilevanza va ben oltre l’obiettivo specifico: il rischio è che una quota non trascurabile di case popolari possa essere assegnata senza rispettare gli ordini di collocazione nelle graduatorie definite con gli appositi bandi.

È vero che per tutti i loro alloggi i comuni possono già fare assegnazioni in deroga alle graduatorie, ma lo possono fare per fronteggiare situazioni di emergenza abitativa, cioè per aiutare famiglie in situazioni di particolare disagio e debolezza. Questa particolare motivazione della deroga non inficia le finalità proprie delle politiche abitative, che sono le stesse che devono presiedere anche alle altre misure dello stato sociale. La gravità del disagio e la debolezza economica, sociale o di altro tipo dovrebbero, infatti, essere assunti come i parametri per stabilire sia la priorità nell’accesso alle agevolazioni pubbliche sia la misura di queste ultime; per prima deve essere soddisfatta la domanda di chi sta peggio, eventualmente, anche a costo di un maggiore onere per la finanza pubblica.

La locazione degli alloggi recuperati a famiglie che possono non essere nelle liste d’attesa degli assegnatari porta a un utilizzo delle case popolari che devia da questa finalità generale delle politiche abitative, con conseguente riflesso sulla composizione economico-sociale dell’utenza dell’insieme del patrimonio di proprietà degli enti pubblici. Come è scritto nella delibera 1564/2025 «sarà consentito ai comuni di assegnare una quota degli alloggi recuperati ai nuclei già presenti nelle graduatorie Erp, o in uscita dall’Erp, ovvero a nuclei destinatari di particolari politiche sociali comunali ovvero a specifiche categorie di lavoratori presenti sul territorio».

Il criterio generale di eleggibilità all’assegnazione degli alloggi basato sul livello del bisogno può essere soppiantato dalla valutazione di “meriti” e variabili settoriali, professionali, demografici e altro.

Considerando esperienze già realizzate di recupero di alloggi sfitti con l’impiego di capitali privati, è probabile che anche i locatari degli alloggi recuperati attuando la delibera debbano dimostrare di percepire un reddito collocato tra un valore minimo e uno massimo. Anche qui si registra una torsione del principale requisito di eleggibilità all’accesso agli alloggi pubblici: il soggetto che concorrere ai bandi per l’assegnazione delle case popolari non deve superare un determinato importo del reddito percepito e del patrimonio posseduto, mentre chi aspira a locare un alloggio sfitto recuperato a canone calmierato deve dimostrare di essere titolare di un reddito e di un patrimonio di importi non inferiori a determinati livelli (verosimilmente superiori ai massimi da non superare per concorrere ai bandi).

Prima le famiglie in graduatoria

Gli alloggi sfitti interessati dalla delibera «non assolvono la funzione di soddisfare le richieste abitative inevase presenti nelle graduatorie Erp», cioè nelle graduatorie degli aspiranti assegnatari delle case popolari. È possibile, però, ipotizzare una soluzione di recupero di quegli alloggi sfitti con risorse private che non li escluda, neanche temporaneamente, dall’Erp.

Come previsto anche nell’ipotesi della Regione Emilia Romagna, ogni comune interessato può fare una ricognizione degli alloggi sfitti che vuole recuperare ed emana un bando cui possono partecipare solo le famiglie che sono nelle graduatorie ordinarie per l’assegnazione delle case popolari. Il bando deve indicare l’importo delle spese da sostenere per il recupero, che devono essere sostenute direttamente dalla persona o dalla famiglia cui l’abitazione è assegnata; in caso di più manifestazioni di interesse per lo stesso alloggio si segue l’ordine di collocazione di ognuno nella graduatoria. Il costo delle opere necessarie per recuperare e rendere nuovamente utilizzabile il singolo alloggio può oscillare da qualche decina a qualche migliaia di euro. Quelle spese possono essere sostenute da famiglie che hanno avuto la possibilità di accumulare qualche risparmio. L’autofinanziamento del recupero può, però, essere un’opportunità di risolvere il problema della casa anche per le famiglie con redditi bassi che sono nelle graduatorie per l’assegnazione. Potrebbero, per esempio, fare appello all’aiuto della famiglia allargata. In alternativa o a integrazione delle somme già disponibili, le famiglie assegnatarie potrebbero ricorrere a un finanziamento bancario, la cui durata e condizioni sono definite dalla negoziazione tra le parti. Per facilitarli, i finanziamenti potrebbero essere assistiti da una garanzia a copertura delle perdite dovute a eventuali morosità nel pagamento delle rate di ammortamento. Per la concessione della fideiussione si può, in primo luogo, chiedere l’ampliamento della tipologia di finanziamenti ammessi al fondo di garanzia prima casa gestito da Consap, finanziato con fondi statali e la cui copertura è già stata estesa a mutui con finalità diversa da quella per cui fu originariamente costituito. Parallelamente può essere costituito un fondo di garanzia regionale per questi specifici mutui destinati al recupero degli alloggi sfitti. La delibera dell’Emilia Romagna già prevede la creazione di un fondo di garanzia per la copertura delle eventuali morosità, alla cui dotazione provvedere con risorse pubbliche (regione, enti proprietari e gestori degli alloggi). Sia nel caso della procedura di recupero degli alloggi delineata della Regione sia in quella qui ipotizzata, a essere garantito è sempre, indirettamente o direttamente, il pagamento alle banche delle rate dei mutui.

Naturalmente, l’importo speso è interamente recuperato nel tempo dall’assegnatario dell’alloggio con l’esenzione dal pagamento del canone. Il suo ammontare è lo stesso che la famiglia avrebbe pagato se non avesse dovuto sostenere nessuna spesa per il recupero dell’abitazione. È, infatti, determinato applicando la normativa regionale sulle case popolari. In sostanza, indipendentemente dal come si procura le risorse, con l’autofinanziamento del recupero, l’assegnatario acquisisce un credito nei confronti dell’ente proprietario dell’alloggio. Nel tempo quel credito si riduce dell’importo del canone che, volta a volta, avrebbe dovuto pagare fino al suo totale esaurimento. Il periodo di recupero del credito può anche essere più lungo della durata del mutuo, nell’ipotesi si sia fatto ricorso al finanziamento bancario. Durante il periodo di recupero del credito, si può ipotizzare anche di derogare ad alcune delle norme che regolano la permanenza dell’assegnatario nell’alloggio, quale può essere, per esempio, quella sul superamento del limite del reddito; ma non si può derogare alle regole sulla morosità (salvo non sia incolpevole) per evitare comportamenti da azzardo morale. Con il totale esaurimento del suo credito, l’assegnatario torna a essere assoggettato a tutte le disposizioni regionali sulle case popolari, compresi tutti i casi di decadenza dall’assegnazione da esse previsti.

Naturalmente, lo schema di recupero degli alloggi sfitti attraverso l’autofinanziamento va dettagliato in ogni suo aspetto. Prevedendo anche la possibilità che il recupero degli alloggi per i quali non si manifesta alcun interesse da parte di soggetti che sono nelle graduatorie possa essere effettuato, con locazione a canone calmierato, a soggetti che non vi sono inclusi. Ma anche in questo caso, ogni singolo locatario dovrebbe accollarsi direttamente le spese del recupero, evitando qualsiasi intervento finanziario della Regione, con evidenti vantaggi procedurali.

Al riguardo c’è già qualche sperimentazione dell’autofinanziamento per il recupero di alloggi di proprietà pubblica ed è una prassi ricorrente delle cooperative a proprietà indivisa, che regolarmente emanano bandi per la locazione di alloggi sfitti con la richiesta che i vincitori paghino le spese di recupero, ovviamente da scontare sui canoni.

Nelle ultime settimane, Bologna è assurta agli onori delle cronache per le tensioni conseguenti all’esecuzione di alcuni sfratti. Di uno si sono occupate anche le cronache nazionali per le modalità cruente cui si è ricorso per liberare l’abitazione (è stato sfondato un muro). L’appartamento liberato, per finita locazione, è di proprietà di un privato. La famiglia che l’abitava non era morosa e, da quanto riportano i giornali, è inserita nelle liste d’attesa delle case popolari. Pare che anche le famiglie che hanno occupato illegalmente un immobile pubblico siano, almeno in parte, inserite in quelle liste. Impossibile averne la certezza a priori, ma non è da escludere che quelle in graduatoria avrebbero potuto risolvere il loro problema abitativo se fosse stata operativa una procedura di recupero di alloggi sfitti come quella qui sinteticamente descritta.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!