Rafforzare l’insegnamento della matematica e combattere gli stereotipi sulle discipline Stem: sono le priorità per ridurre il divario di genere nelle competenze numeriche. Bisogna puntare anche sulla formazione continua e su migliori opportunità di lavoro.
Numeri e divari di genere
Raggiungere la parità di genere nelle competenze e nelle opportunità nel mercato del lavoro non è solo un obiettivo sociale, ma una necessità economica. In un paese come l’Italia, con bassa natalità e un’aspettativa di vita crescente, è fondamentale valorizzare il talento di tutti per sostenere crescita e innovazione. Ma l’Oecd Skills Outlook 2025: Building the Skills of the 21st Century for All mostra che uomini e donne continuano ad avere opportunità diverse di acquisire competenze fondamentali – come quelle numeriche – e di vederle poi adeguatamente riconosciute e remunerate nel mercato del lavoro.
Il rapporto evidenzia tendenze generali, ma anche specificità del contesto italiano. Primo, in Italia il divario di genere nelle competenze numeriche a favore degli uomini nasce prima che altrove. Secondo, il divario si riduce, ma solo a causa di una stagnazione generalizzata delle competenze in età adulta. Terzo, nel nostro paese esiste un’emergenza legata alla scarsa valorizzazione e utilizzazione del talento femminile nel mercato del lavoro.
Le specificità italiane
L’Italia si distingue tra i paesi analizzati nel rapporto per diversi aspetti. Nella maggior parte degli stati il divario di genere nelle competenze numeriche a favore degli uomini tende ad allargarsi nel corso della vita, mentre in Italia è molto ampio tra i più giovani e più contenuto tra gli adulti.
Nella scuola primaria il vantaggio dei maschi in matematica è il più alto rispetto agli altri paesi: è pari al 27 per cento di una deviazione standard, contro una media Ocse del 7 per cento. Nella scuola secondaria il divario resta ampio ma si riduce al 23 per cento, mentre altrove cresce (passa dal 7 al 10 per cento). Tra gli adulti, in Italia il divario scende ulteriormente al 12 per cento, mentre negli altri paesi Ocse aumenta fino al 17 per cento.
Un’altra differenza riguarda la distribuzione di questo vantaggio. In media nei paesi Ocse il divario di genere nelle competenze numeriche è pari al 16 per cento di una deviazione standard tra gli adulti i cui genitori non hanno un titolo terziario e al 20 per cento tra quelli con genitori laureati. In Italia invece gli uomini superano le donne del 16 per cento tra chi proviene da famiglie poco istruite (come la media Ocse), ma le donne hanno un vantaggio dell’8 per cento tra coloro che hanno almeno un genitore laureato. Si tratta di un gruppo ristretto e altamente selezionato, perché in Italia il numero di persone con genitori laureati è relativamente basso, e include famiglie che attribuiscono un valore molto alto all’apprendimento. È possibile quindi che queste famiglie abbiano aspettative diverse e che le ragazze ne beneficino, mentre le donne provenienti da contesti meno istruiti dispongono, come altrove, di minori opportunità formative e di reti sociali più deboli per sviluppare le proprie competenze. Tutto ciò conferma quanto le pratiche sociali continuino a plasmare i divari di genere nelle competenze.
La formazione continua non è un’opzione per donne
Promuovere una distribuzione più equa delle competenze è cruciale per la prosperità futura dell’Italia. Nel nostro paese, d’altra parte, il divario di genere nelle competenze numeriche si riduce lungo la vita: è una buona notizia? Non necessariamente. Secondo lo Skills Outlook, il calo riflette soprattutto una crescita limitata delle competenze complessive, con una stagnazione particolarmente marcata tra gli uomini. Il divario quindi diminuisce non perché le donne italiane hanno profili di apprendimento più marcati lungo la vita, ma perché le competenze – soprattutto quelle degli uomini – non migliorano nell’età adulta tanto da poter tenere il passo con un’economia in rapida trasformazione.
La socializzazione precoce e le norme culturali continuano a influenzare lo sviluppo delle competenze delle ragazze. Nella nostra scuola primaria gli alunni ottengono risultati superiori alla media internazionale, ma i divari di genere in matematica sono già ampi. Con il passare del tempo, il livello medio rispetto ai coetanei internazionali diminuisce e i divari si riducono, non perché le ragazze migliorino di più, ma perché molti ragazzi non progrediscono affatto. Sono infatti pochi i giovani italiani che proseguono gli studi ed è limitata la partecipazione a programmi di formazione terziaria e di formazione continua.
Così come accade altrove, le donne italiane sono meno propense a scegliere corsi di laurea in ingegneria, Ict o discipline a forte contenuto matematico. Ma mentre in paesi come la Svizzera, il Giappone o la Corea le differenze nei percorsi di studio spiegano gran parte del divario di genere nelle competenze numeriche, da noi, come nella maggioranza dei paesi, le differenze di competenze tra uomini e donne non dipendono granché dal percorso di studi. Ciò evidenzia l’importanza dell’intero ecosistema dell’apprendimento: ciò che si impara sul lavoro e nella vita quotidiana conta quanto ciò che si studia in classe, se non addirittura di più.
Però, solo il 22 per cento delle donne italiane dichiara di aver partecipato a un corso di formazione nell’ultimo anno, la quarta quota più bassa dell’Ocse, dove la media è del 44 per cento. D’altra parte, nel nostro paese è particolarmente basso anche il tasso di occupazione femminile, e la scarsa partecipazione riflette sia la mancanza di opportunità di formazione sul lavoro sia minori incentivi a investire nella propria crescita professionale. Peraltro, anche tra gli uomini, la partecipazione è bassa: solo il 26 per cento partecipa ad attività di formazione. E in più la maggior parte dei corsi frequentati riguarda aspetti quali l’uso di macchinari o la sicurezza e non lo sviluppo di competenze più complesse, come il problem solving o le competenze digitali.
C’è poi un’altra questione: in Italia più che altrove, tra le ragioni che non permettono la partecipazione a percorsi di formazione, le donne segnalano difficoltà legate a responsabilità familiari e orari poco compatibili: è la conferma di barriere persistenti in termini di tempo, servizi per l’infanzia e flessibilità organizzativa.
In un’economia soggetta a rapide trasformazioni tecnologiche, la scarsa partecipazione all’apprendimento permanente limita sia la crescita della produttività sia la progressione professionale delle donne e rappresenta quindi un costo per l’intera società.
Valorizzare i talenti delle donne
Prevenire la comparsa precoce dei divari rimane una priorità. Ciò significa rafforzare l’insegnamento della matematica nella scuola primaria e secondaria inferiore e combattere gli stereotipi che ancora influenzano le attitudini verso le discipline numeriche e tecniche. È altrettanto importante però ampliare le opportunità di formazione per gli adulti, valorizzando il potenziale acquisito in giovane età e garantendo che le competenze vengano ampliate e aggiornate lungo tutto l’arco della vita.
Tutto ciò è tanto più importante nel contesto italiano, per utilizzare meglio le competenze che le donne possiedono. Anche tra adulti con lo stesso livello di istruzione e competenze, il divario occupazionale tra uomini e donne è più ampio che negli altri paesi Ocse: 24 punti percentuali. Il divario retributivo appare più contenuto – circa il 10 per cento contro il 15 per cento della media Ocse – ma, a parità di istruzione e competenze, sale al 15 per cento. In altre parole, molte donne altamente qualificate in Italia rimangono sottovalutate e sottopagate rispetto alle loro capacità.
La sottoutilizzazione del talento femminile nel mercato del lavoro contribuisce direttamente alla bassa crescita della produttività e alla carenza di competenze in settori emergenti.
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British Academy Global Professor a University College London (UCL) e Senior Policy Analyst all'Ocse. È stata Professoressa aggiunta alla Paris School of International Affairs di Sciences Po e ha ricoperto posizioni di ricerca alla London School of Economics e all'Università di Berkeley. Ha ottenuto un PhD in Social and Public Policy a LSE e una laurea in Economics and Public Policy all'Università Bocconi.
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