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Se sull’Europa soffia il vento dell’Est

A luglio la Croazia è diventata il ventottesimo Stato dell’Unione Europea.L’Europa gode oggi di scarsa popolarità e l’evento non è stato salutato con particolare enfasi, anche perché non sembra spostare gli equilibri. Ma l’allargamento a Est ha implicazioni politiche e sociali di cui tener conto.
IL SOGNO E I RISCHI
La politica di allargamento è uno dei più ambiziosi disegni politici dell’Unione Europea: ha l’obiettivo di costruire una casa comune per i popoli europei che desiderino condividere istituzioni democratiche e una coesione politica, economica e sociale. Se, grazie a essa, si potesse consolidare la stabilità democratica e promuovere lo sviluppo dei paesi membri, al fine di giungere a una sorta di Stati Uniti d’Europa, gli sforzi sarebbero ampiamente ripagati. Tuttavia, uno sguardo alle caratteristiche di alcuni paesi candidati può dare l’idea delle sfide che attendono l’UE.
Innanzitutto, la Turchia, con cui è già in vigore l’Unione doganale. Nel 2012 Ankara ha condiviso una Positive Agenda volta al rilancio dei negoziati rallentati dall’occupazione della parte settentrionale di Cipro, malgrado le perplessità suscitate dalla distanza, geografica oltre che culturale, di uno Stato da molti considerato “estraneo” al continente europeo. Lo sviluppo democratico, come dimostrato dalle recenti proteste, segna ancora il passo rispetto a una crescita economica sostenuta e a un interscambio in aumento (tabella 1).
Altrettanto complessa è la situazione dei paesi balcanici. Tra questi, Serbia, Macedonia e Montenegro hanno lo status di candidati ufficiali, mentre Albania, Bosnia-Erzegovina e Kosovo sono candidati potenziali, il cui ingresso nell’UE appare ancora lontano. (1)
Il Montenegro ha presentato domanda per la membership nel 2008, seguita dall’avvio dei negoziati di adesione. L’ultimo ha confermato gli avanzamenti nel rafforzamento delle istituzioni e nel funzionamento del mercato interno. Ma dal punto di vista economico è uno paese povero, con crescita modesta e interscambio marginale. L’avvicinamento della Serbia all’UE è stato invece a lungo ritardato dall’atteggiamento ostile rispetto alle attività del Tribunale internazionale per i crimini nell’ex-Jugoslavia. La ripresa dei negoziati ha portato l’accesso alla White Schengen list oltre che l’avvio della normalizzazione delle relazioni bilaterali tra Serbia e Kosovo. Tra gli stati candidati ufficiali evidenzia la crescita più modesta, mentre l’interscambio con l’UE è aumentato negli ultimi anni (tabella 1).
La Repubblica di Macedonia si è candidata nel 2004. Finora il processo di avvicinamento ha prodotto agevolazioni in materia di circolazione in area Schengen. È afflitta dal tasso di disoccupazione più elevato dell’area.
Al di là dei fattori economici, dei paesi balcanici preoccupano le criticità istituzionali sintetizzate dall’UE in priorità come la tutela dello stato di diritto e la promozione di una governance amministrativa comparabile a quella UE. Ulteriori avanzamenti appaiono auspicabili nel grado di indipendenza della magistratura, nella lotta contro corruzione e criminalità organizzata, per evitare di accogliere partner difficili nella Unione allargata del futuro.
Il messaggio politico che scaturisce dall’ingresso delle Croazia e dall’analisi dei paesi prossimi all’adesione è dunque chiaro. L’Unione Europea oggi attrae soprattutto paesi con fondamentali socio-economici sotto la media continentale, mentre i paesi ricchi, come Norvegia e Svizzera, se ne stanno alla larga. Inoltre, tra gli Stati membri ricchi e con istituzioni affidabili, danesi e svedesi – come cechi e polacchi – sono ancora lontani dall’adottare l’euro come moneta comune, per non parlare del Regno Unito. Tuttavia, anziché consolidare la coesione interna, l’UE guarda con intenso interesse a Est. L’ingresso della Croazia, anziché mandare un segnale di vitalità in un momento di crisi, potrebbe suscitare l’effetto opposto. Per questo sarebbe il caso di interrogarsi sul divenire della costruzione europea. Innanzitutto fin dove ci si può o deve spingere nella politica di allargamento, come coniugare allargamento e integrazione, con quali condizioni e tempistiche. Anche perché il processo accrescerà il peso politico di questi paesi e contribuirà all’ampliamento dell’Eurozona una volta soddisfatti i requisiti, rendendo necessario intervenire sui meccanismi di funzionamento delle istituzioni UE per assicurarne la governance. Tenendo presente le implicazioni in materia doganale e di circolazione nello spazio Schengen.
DOVE ANDRANNO I FONDI
L’allargamento impatta naturalmente anche a livello finanziario. Ad esempio sull’allocazione dei fondi previsti dalla politica di coesione per il periodo 2014-2020. Poiché oltre i due terzi del budget saranno destinati alle regioni meno sviluppate, è evidente come la maggior parte degli stanziamenti andrà a beneficio dei nuovi Stati membri. Una simulazione della Commissione prevede che, per il periodo considerato, le regioni che si spartiranno la maggior parte dei fondi strutturali (Fes, Fondo di coesione, eccetera) saranno quelle dell’Europa orientale. Il trend si accentuerà man mano che accederanno nell’UE gli altri paesi balcanici, col rischio che le regioni del Mezzogiorno considerate less developed regions vengano escluse dal grosso dei finanziamenti. Per quanto riguarda la politica agricola comune, la sua estensione a paesi meno sviluppati, dove il settore agricolo rappresenta una fetta importante dell’economia, darà il via a una fase di transizione che può implicare un incremento dei costi per il bilancio UE, considerando l’arretratezza delle istituzioni che dovranno collaborare con Bruxelles e il rischio di sussidiare pochi beneficiari a discapito dell’innovazione e della diversificazione aziendale. Inoltre, le notevoli differenze tra i prezzi dei prodotti agricoli nei paesi candidati e nell’UE richiederanno un processo di armonizzazione mediante il rialzo degli stessi e il controllo della produzione nei paesi prossimi all’adesione. È facile prevedere che sarà un processo piuttosto tortuoso.
(1) Anche l’Islanda è candidato ufficiale.
 
Tabella 1. Interscambio commerciale* dei paesi candidati ufficiali e potenziali con l’EU-27.
festaFonte: Eurostat. Dati in milioni di euro. *Calcolato come somma di import e export da e verso l’UE-27.

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  1. Luciano Pontiroli

    Tra allargamento e maggiore coesione non sembra esservi alcun nesso logico; anzi, si tratta di due indirizzi contraddittori. Un’Europa federale richiederebbe l’esistenza di un demos europeo: più si allarga, meno probabile è la sua creazione.

  2. Davide Denti

    La questione del “demos” è antica e dibattuta. Molti politologi non credono affatto che serva un demos per tenere in piedi un’unione politica (si veda ad esempio Nicholaidis e il concetto di demoicracy, ma anche Habermas).
    Allargamento e coesione non sono necessariamente in contraddizione. Lo appaiono ora, perché l’allargamento coinvolge principalmente paesi più poveri. Ma in passato ha coinvolto e.g. Austria, Svezia e Finlandia, contribuendo alla coesione. Oggi anche l’Islanda è un candidato (anche se si è messa on hold per il momento). Inoltre, esistono effetti dinamici dell’allargamento: l’integrazione microeconomica, firm-level, tra vecchi e nuovi paesi membri (e.g. Germania/Polonia, Austria/Slovacchia) è un fattore che aumenta la competitività di entrambi e favorisce la coesione.

  3. Fla

    Esisteva già un piano perchè: “la Germania divenisse il “paese d’ordine” in Europa, che il suo sviluppo
    fosse prevalentemente industriale, con qualche concessione per
    l’alleato storico, la Francia, e che gli altri paesi europei si
    concentrassero nella produzione agricola e svolgessero funzioni di
    serbatoio di lavoro; infine che le monete europee confluissero nell’area
    del marco, per seguirne le regole.”. L’economista Paolo Savona centra bene il punto, ed ecco a cosa serve l’allargamento dell’Unione. Ah dimenticavo, il piano di cui parla Savona è il Piano Funk, e fu ideato nel 1936…

  4. antonio gasperi

    il contrbuto affronta un argomento estremamente complesso con cognizione di causa in tema economico, i commenti svariano su tematiche politico-filosofiche, il che dimostra che noi italiani abbiamo ancora una percezione dell’Europa di stampo idealistico. riguardo all’ipotesi di maggior attrattività per i paesi meno ricchi avanzata dall’autore, si può dire che essa è nello spirito dei costituenti europei Schuman, Adenauer, De Gasperi, anche se non nell’interesse di tutti i membri del club, ma solo di quelli che hanno un modello sviluppo export-led.

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