La misura più importante a sostegno delle imprese esistenti è l’Ace, con un incentivo fiscale al rafforzamento della struttura patrimoniale delle aziende. Per le start-up innovative sono previste deroghe al diritto societario e di carattere fiscale e contributivo. Il doppio effetto della svalutazione fiscale.
Il presidente del Consiglio Mario Monti ha sempre fatto di rigore e sviluppo un binomio inscindibile della sua azione di governo. Anche il primo decreto del suo governo, il “salva Italia”, si intitolava significativamente “Misure per lo sviluppo, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”. Come dire: lo sviluppo viene prima. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, però, non perde occasione per ricordare che il Governo Monti avrà anche salvato l’Italia dal baratro dell’insolvenza, ma ha fatto troppo poco per le imprese.
COSA È STATO FATTO E COSA RESTA IN SOSPESO
Un modo pratico per capire se, dopo un anno di Governo Monti, in questo campo il bicchiere sia mezzo pieno o mezzo vuoto è quello di ricordare i principali interventi a favore o contro le attività economiche d’impresa, raggruppando le varie misure in base al loro effetto sulle imprese già esistenti e su quelle che ancora non ci sono ma che potrebbero nascere. Da tenere presente che i dati di demografia d’impresa dicono che in Italia non nascono poche imprese, rispetto agli altri paesi. Piuttosto, di quelle nate ne muoiono tante e quelle che sopravvivono non diventano grandi. Questi sono i grandi problemi del made in Italy.
Il Governo Monti ha prodotto una serie di interventi legislativi, alcuni dei quali all’interno di pacchetti denominati “Sviluppo” o “Sviluppo-bis”. Ma è nel decreto “salva Italia” che si trovano la maggior parte degli interventi in favore delle imprese, soprattutto di quelle già esistenti. La misura qualitativamente più importante, anche perché già operativa sull’anno fiscale 2011 è l’Ace, l’aiuto alla crescita economica (in inglese Allowance for Corporate Equity), introdotto dall’articolo 1 del decreto legge 201/2011. La norma prevede un incentivo fiscale al rafforzamento della struttura patrimoniale delle imprese con l’esclusione del rendimento normale del nuovo capitale investito e degli utili reinvestiti dal calcolo del reddito d’impresa. Il rendimento normale viene fissato al 3 per cento fino al 2013. L’Ace è, in linea di principio, un’ottima idea: il debito finanziario sul totale del capitale proprio è molto più alto in Italia che in Francia e in Germania. Ma il capitale proprio servirebbe, altrimenti è difficile finanziare gli investimenti nel capitale intangibile – ricerca, software, competenze e risorse umane -, quelli che fanno la differenza nel mondo dell’information technology. Le banche finanziano volentieri l’acquisto di un capannone che può essere dato in garanzia, molto meno l’apertura di una software house. L’Ace è un’ottima idea, sia pure non nuova: era già prevista nella legge delega fiscale di Tremonti, il quale, a sua volta, si era presto pentito di avere incautamente cancellato la Dit (dual income tax) di Vincenzo Visco. Ma, dopo tutto, la politica non è l’università: copiare o attuare una buona idea di un governo precedente non è un delitto. L’Ace è però destinata ad avere efficacia per ora limitata: per funzionare ha bisogno che ci siano gli utili e gli aumenti di capitale. Invece la redditività aziendale è al palo da quando l’economia italiana è rientrata in recessione nel secondo semestre 2011, e così pure gli investimenti. Ma quando (se?) l’economia ripartirà nel 2013, l’Ace sarà un utile volano di crescita addizionale.
A sostegno alle imprese già esistenti, sempre con il decreto “salva Italia”, è stata introdotta la tanto auspicatasvalutazione fiscale, rendendo interamente deducibile l’Irap sul costo del lavoro dall’imposta sui redditi personali (Irpef) e da quella sul reddito delle società (Ires) relativi all’anno 2012. È una misura molto importante: in passato la deduzione era limitata solo al 10 per cento di questo costo. Per ora, però, l’effetto del taglio dell’Irap non si vede perché è a valere sull’anno 2012. Quello che per il momento si vede è l’effetto dell’altra parte della svalutazione fiscale, che si compone non solo delle misure che, riducendo il costo del lavoro, incoraggiano le esportazioni, ma anche di quelle che scoraggiano le importazioni. E l’aumento dell’Iva al 21 per cento introdotto dal governo Berlusconi a partire dal settembre 2011 colpisce i consumi e quindi le importazioni, ma non i prodotti esportati. Gli ulteriori aumenti dell’Iva di 1 o 2 punti necessari a far quadrare i conti e a rispettare gli impegni con l’Europa per il 2013 sono oggetto di discussione in Parlamento. Per ora, dunque, ciò che si vede della svalutazione fiscale è quella che tutti, tranne qualche economista pudico, chiamano stangata sui consumi – forse inevitabile, ma pur sempre stangata.
SEMPLIFICAZIONI E MISURE PER LE START-UP
Nei decreti successivi al “salva Italia” il Governo ha adottato una varietà di provvedimenti di semplificazioneamministrativa, contabile e fiscale che dovrebbero favorire l’inizio e la conduzione della normale attività economica delle piccole imprese. Ma, come riportava Il Sole-24Ore nel suo periodico monitoraggio sullo stato di attuazione effettiva delle riforme, i regolamenti per rendere proporzionali al rischio dell’attività da verificare sono di là da venire e il regolamento sull’autorizzazione unica ambientale – volto a ridurre gli oneri del rispetto della legge per le imprese – è ancora in attesa di un’approvazione definitiva.
Nei provvedimenti più recenti (decreto “Sviluppo-bis” del 18 ottobre 2012) il Governo si è ricordato delle start-up, delle imprese innovative non ancora nate e ha predisposto misure in loro favore, sia in termini di deroghe in materia di diritto societario che di carattere fiscale e contributivo. Se ne avvantaggiano le imprese che rientrano nella fattispecie delle start-up innovative, cioè quelle che investono più del 30 per cento dei loro costi o produzione in ricerca o che impieghino ricercatori o dottori di ricerca per più del 30 per cento dei loro occupati o ancora che siano assegnatarie di diritti di proprietà industriali di varia natura.
Sempre con l’obiettivo di semplificare la vita economica delle imprese esistenti o potenziali, con il decreto “cresci Italia” (insieme ad altre misure intese ad accrescere la concorrenzialità dei mercati) sono diventati immediatamente operativi i nuovi tribunali specializzati per le imprese che hanno competenza, anche in materia di marchi e brevetti. Una loro più efficace tutela è nell’interesse del made in Italy, che vive (o muore) della commercializzazione e dell’appropriazione di idee.
Alle imprese che si internazionalizzano serve un istituto che dia un sostegno non protezionistico, di servizi, all’esportazione: c’è in tutti paesi, ma in Italia l’Ice era stato cancellato per la sfiducia dell’allora ministro dell’Economia Tremonti sulla possibilità di riformarlo. Il decreto “salva Italia” lo ha re-istituito, ma non ha ancora trovato i fondi per farlo funzionare. Non serve un carrozzone di Stato pieno di sedi in Italia, ma un organismo snello che accompagni l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese italiane che vanno in mercati lontani. Per ora c’è solo il suo presidente, Riccardo Monti, che ha recentemente dichiarato al Sole-24Ore di essere quotidianamente impegnato a sollecitare lo sblocco degli “ultimi passaggi amministrativi e contabili” che rendano operativa la rinnovata Agenzia. Con la ripresa del mercato interno non certo in vista, il nuovo Ice serve e in fretta.
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