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Così le fondazioni bancarie dimenticano il terzo settore

Benché i tagli alla spesa pubblica e la perdita di posti di lavoro rendano la vita delle famiglie sempre più difficile, le fondazioni bancarie non sono riuscite ad accrescere il loro ruolo nell’ambito del terzo settore. Un mancato progresso che si spiega anche con la loro struttura di governance.

CDA POCO COMPETENTI
 Nel nostro precedente articolo abbiamo posto in evidenza i mancati progressi delle fondazioni bancarie sul fronte della dotazione patrimoniale, della diversificazione dei rischi e della redditività. Qui ci vogliamo invece concentrare sull’efficacia degli interventi messi in atto dalle fondazioni nell’ambito del terzo settore e di come questa attività sia legata alla loro governance.
L’inefficacia e inefficienza delle fondazioni bancarie italiane non è certo una novità. (1) Le fondazioni tendono ad avere una scarsa diversificazione del proprio portafoglio. Al tempo stesso erogano finanziamenti su un ampio spettro di attività, senza una programmazione strategica coerente con i vincoli statutari e normativi. Negli ultimi anni, d’altra parte, non si è registrato un loro ruolo significativo nello sviluppo del terzo settore, dell’housing sociale e di iniziative imprenditoriali innovative a livello locale.
Questi aspetti sono strettamente legati al tipo di governance, caratterizzata da una selezione non efficiente del management e da costi di funzionamento eccessivi.
Per quanto riguarda la selezione del management, vi è innanzitutto un problema di capitale umano. In genere, i membri dei board delle fondazioni non hanno la preparazione economica e finanziaria minima indispensabile per le posizioni che occupano: solo l’1 per cento di coloro che siedono nei cda ha competenze di finanza. (2) In assenza di una elevata specializzazione delle competenze e delle conoscenze del management, le scelte di concentrare gli investimenti in specifiche attività o settori non consente di ottenere un premio in termini di capacità di controllo, mentre si accompagna a una maggiore esposizione al rischio.
Il profilo inadeguato del management a capo delle fondazioni, a sua volta, è il riflesso di un processo di selezione basato su criteri di cooptazione e rappresentatività di gruppi di interesse (almeno un quarto delle poltrone ai vertici delle fondazioni è occupato da individui con esperienza politica). Non sorprende quindi che le nomine possano essere “remunerate” attraverso scelte di finanziamento e investimento favorevoli alle constituency di riferimento (più medici nei board, maggiori gli investimenti in sanità, più i professori negli organi statutari, maggiore la quota di investimenti in istruzione).
COSTI DI GESTIONE TROPPO ALTI
Considerazioni analoghe valgono per i costi di gestione. Le fondazioni sostengono elevati costi fissi per il compenso dei loro pletorici organi statutari. Tanto pletorici da portare ciascun membro ad amministrare in media 150 milioni, dieci volte meno del capitale amministrato da un membro del board delle grandi fondazioni non-profit estere. Le spese collegate agli organi statutari hanno un peso molto importante sul risultato della gestione delle fondazioni: se nel 2006 costituivano circa l’1,5 per cento del totale dei proventi, la riduzione di quest’ultimi e la rigidità verso il basso dei compensi dei board le hanno fatte lievitare fino a circa il 4 per cento nel 2011 e al 3 per cento del 2012. Naturalmente, il problema varia in funzione della dimensione e della localizzazione geografica della fondazioni. La tabella 1 mostra così che in quelle di minore dimensione le spese degli organi statutari erodono oltre l’8 per cento dei proventi accumulati; questo fenomeno è particolarmente evidente nelle regioni del Centro-Sud (6/7 per cento).
 Tabella 1. Fondazioni bancarie: incidenza spese organi statutari (in % del totale dei proventi)
 

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2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

Totale

1,4%

1,3%

1,9%

2,1%

2,6%

4,1%

3,1%

Piccole

6,3%

6,5%

6,9%

7,0%

8,2%

-27,2%

8,1%

Medio-Piccole

6,2%

5,9%

7,5%

5,4%

6,3%

8,6%

7,4%

Medie

3,0%

3,4%

3,8%

4,1%

4,7%

8,2%

5,9%

Medio-Grandi

3,0%

3,0%

3,1%

3,7%

4,4%

4,7%

3,8%

Grandi

0,9%

0,8%

1,2%

1,4%

1,8%

2,9%

2,2%

Nord-Ovest

1,0%

1,0%

1,9%

1,5%

1,9%

3,4%

1,8%

Nord-Est

1,5%

1,3%

2,0%

2,0%

2,8%

4,5%

3,3%

Centro

1,4%

1,6%

1,4%

2,8%

2,9%

4,1%

6,3%

Sud

5,3%

5,4%

5,1%

5,6%

6,3%

7,1%

6,5%

Fonte: nostre elaborazioni su dati Acri
Più in generale sul fronte delle spese, si rileva come il costo di gestione delle fondazioni sia andato nettamente aumentando, con un rapporto tra costi e ricavi (cost-income) di oltre il 25 per cento nel 2012, contro il 12 per cento medio del periodo 2006-07. A impattare sui costi operativi è soprattutto la componente del lavoro, con i dipendenti che hanno superato le mille unità negli anni più recenti (800 unità circa nel 2006).
A fronte di queste performance non brillanti, le erogazioni corrisposte mediamente da ogni singola fondazione mostrano una continua tendenza decrescente: dai quasi 20 milioni di euro erogati per fondazione del 2007 si è passati agli 11 del 2012 (tabella 2). Le flessioni più rilevanti hanno riguardato il Centro e il Nord-Est, mentre nel Mezzogiorno c’è stata una buona crescita rispetto al dato del 2006. In ogni caso, nel Sud d’Italia l’apporto fornito al terzo settore dalle fondazioni è pari a meno di 40 milioni di euro nel 2012, appena il 4 per cento del miliardo circa di erogazioni fornite complessivamente.
Tabella 2. Erogazioni per fondazione (in milioni di euro)
 

 

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

Totale

17,2

19,5

19,1

15,8

15,5

12,4

11,0

Nord-Ovest

32,3

37,2

36,4

32,3

32,1

26,6

24,3

Nord-Est

16,8

19,4

18,5

13,1

14,8

12,5

9,7

Centro

14,3

15,3

15,4

12,1

11,1

7,5

7,5

Sud

2,7

4,0

4,1

4,1

4,1

3,5

3,4

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Fonte: nostre elaborazioni su dati Acri.
In definitiva, il quadro che emerge non sembra molto incoraggiante. In un contesto in cui i tagli alla spesa pubblica e la perdita di posti di lavoro rendono la vita delle famiglie sempre più difficile, le fondazioni non sono riuscite infatti ad accrescere il loro ruolo nell’ambito del terzo settore. Anzi.
 
(1) Si veda Tito Boeri e Luigi Guiso sull’intreccio tra le fondazioni e la politica locale. Inoltre, uno studio di Filtri e Guglielmi (“Italian Banking Foundations”, Mediobanca Securities, 2012) solleva diversi dubbi, collegati per lo più alla configurazione più generale delle fondazioni stesse, soprattutto se paragonate con altre esperienze estere. Fondazioni come Guggenheim o Bill&Melinda Gates, ad esempio, sono organizzate e focalizzate intorno al proprio obiettivo: la promozione dell’arte la prima, quella della salute nei paesi in via di sviluppo la seconda, e seguono una strategia di forte diversificazione nella gestione delle proprie risorse.
(2) Si veda ancora il lavoro citato di Filtri e Guglielmi.

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Il Punto

  1. gaetano criscenti

    credo che debba venire posto seriamente il criterio, a mio parere vincolante ed obbligatorio, d’investimento e di attività delle fondazioni bancarie: trasformarle da stipendificio e sperperatore di denari per acquisizione di potere da parte di potentati politici, a vere e propri fondi d’investimento del tipo ” obbligatorio” nel senso che come missione devono avere l’investimento sul territorio di competenza, con percentuali dsuddivise tra le varie forme d’investimento, ben delineate da un board esterno. Ritengo che, in questo modo le fondazioni, da palla al piede per l’economia, vedi la fondazione del BdS che finanzia solo concorsi e premi letterari, possano divenire volano per la crescita. E torno con la mia idea: puntare all’istruzione, tramite finanziamento di borse di studio, ricerche mirate nelle università del territorio, in joint venture con le imprese; nel appoggiare le start up, in modo simile ad un fondo venture capital, magari intervenendo ad integrare il capitale di rotazione dei confidi.
    Un mix equilibrato, la possibilità di sfuttare i brevetti, la spinta all’eccellenza sia delle scuole che delle università, la crescita dei giovani grazie alle borse di studio, ne farebbero una grandissima opportunità, sopratutto per il meridione, sempre storicamente carente di capitali in cerca d’investimento.

  2. gaetano criscenti

    ma su tutto aleggia, nera e terribile la peste del secolo italiano: la governance,ma ancora di più, la responsailità: a chi rispondono i board delle fondazioni? quali criteri di merito? quali i sistemi per ottenere un serio sistema di controllo delle attività degli amminostrazioni? perchè, come dice Perotti per l’università, qualunque regola, in un quadro di sistema autoreferenziale e irresponsabile, viene aggirata con facilità.

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