Avevamo qualche certezza sui limiti della legge anti-corruzione in discussione in Parlamento: poco incisiva, non tocca il nodo chiave della prescrizione, né interviene sul falso in bilancio, vera fabbrica di provviste occulte.

Ma ci restava il dubbio di quanto la materia fosse sfuggente, le forme della corruzione pubblica capaci di adattarsi alle nuove normative e ai nuovi protagonisti, la platea dei potenziali corrotti tanto vasta e variegata. A ricordarcelo, la cronaca di questi giorni e le vicende delle mazzette brasiliane di Finmeccanica. Dove troviamo una costante del settore degli armamenti, nel quale le commesse pubbliche viaggiano assieme agli appetiti dei burocrati e dei politici di ogni paese, fedeli seguaci della religione del 10 per cento come condizione per aggiudicare una commessa. Ma anche qui, in un caso di scuola della corruzione pubblica, spunta una mutazione che ci spiazza, quella del corrotto a sua insaputa, nella figura dell’on. Scajola, che dichiara candidamente di aver aiutato un’azienda italiana all’estero, mentre le mazzette sarebbero girate a sua insaputa. Che questo non sia un mero incidente di percorso ma un vero character delle vicende corrotte ce lo segnala un senso di déjà vu: quell’idea della corruzione a sua insaputa l’on. Scajola ce l’aveva già regalata tempo fa, nell’incredibile vicenda dell’appartamento con vista sul Colosseo pagato, a sua insaputa, da Anemone e dalla cricca delle grandi opere addomesticate. Il corrotto insaputo sfida i principi del diritto, pone un problema di sfuggente responsabilità, di vertiginoso onere della prova, di labilità dei confini tra corruttore e mecenate. Ma se il corrotto insaputo ci può apparire una sfida impossibile nel disegno di norme più efficaci, vogliamo sperare che nel giudizio forse più grossolano dell’elettore ponga pochi dubbi.

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