Abbiamo letto con attenzione le osservazioni di Fabiano Schivardi su alcune misure del decreto Crescita 2.0 e cogliamo dunque l’occasione per chiarire ulteriormente la natura e gli aspetti delle norme introdotte, oltre che lo spirito con cui abbiamo lavorato.

LE NORME PER LE START-UP

Le misure sulle start-up sono il risultato di un confronto vero, organizzato, assolutamente trasparente e aperto, durato diversi mesi, con l’industria specializzata nel sostegno alle start-up innovative e con centinaia di altri attori interessati. Un lavoro che si è ispirato alle migliori prassi internazionali e che si è sostanziato in una serie di proposte concrete per favorire queste imprese e l’intero ecosistema che gravita intorno ad esse.
Abbiamo cercato di tradurre in norma le proposte più convincenti e più velocemente implementabili, creando un regime semplice e strumenti efficaci per chi avvia una nuova impresa dai contenuti fortemente innovativi. Porre delle condizioni era necessario e doveroso. Non abbiamo inventato una nuova tipologia di società. Ma abbiamo identificato, per tutte le società di capitali esistenti alcuni criteri con cui “riconoscere” quelle nuove aziende che hanno come ragione del loro avvio e della loro scommessa imprenditoriale l’innovazione tecnologica, indipendentemente dal settore di attività o dall’età dell’imprenditore. Vale la pena ricordare anche che la filosofia di tutto il lavoro, delle proposte così come delle norme, non è mai quella di un aiuto a fondo perduto direttamente alla start-up, ma quello di cercare di generare le condizioni di sistema per cui il paese diventi un posto che favorisce la nascita di queste nuove imprese.
Il regime interviene in modo organico per accompagnare l’impresa start-up in tutto il suo ciclo di vita, dalla nascita, alle prime fasi di sviluppo, alla eventuale chiusura quando il progetto non va a buon fine. Le misure si concentrano su alcune principali linee di intervento. Ne ricordiamo due.
La prima riguarda diverse modifiche, anche derogatorie, alla disciplina ordinariamente applicabile alle   società italiane, tese a facilitare l’avvio delle start-up, rimuovendo ostacoli burocratici, costi e vincoli normativi. Schivardi ha citato la maggiore flessibilità nei contratti di lavoro, che è un elemento cardine, ma ci sono misure importanti per aiutare la gestione di queste imprese come la disapplicazione delle norme sulle società di comodo, il differimento degli obblighi di ricapitalizzazione quando si è in perdita, la possibilità di remunerare dipendenti, collaboratori e fornitori con strumenti finanziari defiscalizzati, ad esempio piani di stock option e scambi di work for equity.
La seconda introduce diversi incentivi per lo sviluppo delle start-up sotto forma di facilitazioni all’accesso al credito, di semplificazioni per la raccolta di capitale di rischio e di agevolazioni fiscali. Sia chiaro che si tratta di incentivi fiscali non direttamente concessi alle start-up, ma agli attori, privati e aziende, che investono in start-up. Tanto per fare un raffronto, incentivi fiscali di questo tipo sono presenti nel Regno Unito dagli anni Novanta, e hanno contribuito a creare una importante domanda di investimento in start- up senza alcun effetto distorsivo, anzi favorendo il consolidamento dell’alternative investment market, la più importante borsa di imprese innovative dopo il Nasdaq.
Sulla raccolta diffusa di capitale di rischio, Schivardi dice che il crowdfunding è velleitario. Ci sembra un giudizio ingeneroso, e forse affrettato, a vedere almeno il ruolo che sta assumendo in paesi come gli Stati Uniti che hanno percentuali significative di Pil legate alle start-up. La domanda è: funzionerà da noi? Lo vedremo, e certamente dipenderà non solo da quanto prevede il decreto e dai dettagli, che abbiamo doverosamente rimandato alla Consob, ma anche da come i nostri cittadini – visto che si tratta di piccoli investimenti diffusi – reagiranno. Quello che sta a cuore a noi è fornire uno strumento ulteriore, puntando su internet e sulla possibilità che la dematerializzazione oggi offre anche in termini di raccolta di capitali. Anche in questo caso, ci interessava creare le condizioni ambientali per lo sviluppo di imprese innovative in Italia.
È forse utile ricordare che il regime di cui parliamo è transitorio, valendo infatti solo per i primi quattro anni di vita della start-up. Non c’è quindi nessun tentativo di alimentare il capitalismo familiare o il nanismo produttivo come Schivardi paventa. Al contrario, la finalità è esattamente opposta: incentivare nel nostro sistema un modo di fare impresa diverso, non legato all’azienda che si eredita, ma orientato ad aiutare un’idea innovativa a trasformarsi in impresa, per farla crescere. Tutta la normativa sulle start-up, quindi, non è costruita per essere solo a favore del business (innovativo) quanto anche a favore del merito.

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UN DISEGNO COMPLESSIVO

Condividiamo l’importanza di rafforzare il mondo degli investitori specializzati, quali fondi di seed e venture capital o di private equity. Per farlo, però, non c’è necessariamente bisogno di nuove norme. Per cominciare, si può ad esempio rafforzare quello che già il Fondo italiano di investimento sta facendo nella sua attività di investimento in fondi di venture capital. Possiamo assicurare che stiamo lavorando anche su questo fronte e il ministro Passera ha già comunicato pubblicamente che stiamo ragionando con la Cassa depositi e prestiti per avere risorse aggiuntive che dovrebbero andare da 50 a 100 milioni di euro. Chiaramente, anche in questo caso, non saranno risorse a fondo perduto, ma capaci di attrarre capitali privati, di generare un effetto leva importante, entrando nel sistema secondo una logica di mercato, evitando qualsiasi distorsione o rischio di “inquinamento” di altra natura.
Tutto questo non è un film già visto, dato che per la prima volta introduciamo nell’ordinamento italiano una normativa specifica per riconoscere il valore e sostenere le start-up. Una normativa organica, certamente migliorabile, ma con cui intendiamo gettare le basi per rafforzare sempre di più, nei prossimi mesi e anni, il ruolo che la nuova impresa e l’innovazione possono svolgere per la crescita economica, l’occupazione di tutti e in particolare dei giovani, il rilancio di tutto il tessuto produttivo italiano, e anche un cambiamento più profondo, culturale, dove sono premiati il merito, la trasparenza, la propensione al rischio imprenditoriale, la creatività, la capacità di innovare, di pensare in grande, di fare sistema, di avere l’Italia come base di partenza e il mondo come punto di approdo.
Anche la defiscalizzazione delle nuove opere strategiche rappresenta uno strumento innovativo per attivare investimenti privati che diversamente non potrebbero essere mai attivati su infrastrutture su cui non è previsto alcun contributo pubblico a fondo perduto. Il credito di imposta immaginato è a valere sul gettito Ires ed Irap generato. Non comporta una perdita di entrate fiscali perché computato su opere aggiuntive che non verrebbero realizzate altrimenti. È un meccanismo immediatamente attivabile che non ha nulla a che vedere con la vecchia defiscalizzazione Iva introdotta dal ministro Tremonti, il cui decreto di attuazione non è mai stato emanato.
Queste misure fanno parte di un disegno complessivo, un’agenda per la crescita sostenibile che stiamo attuando fin dallo scorso novembre. Sono dunque un tassello – importante – di un mosaico più ampio, la cui finalità è affrontare i problemi di fondo dell’economia italiana, così da favorirne la ripresa progressiva, senza la pretesa di avere la bacchetta magica. L’Italia non cresce da più di dieci anni, nonostante le sue straordinarie potenzialità. Abbiamo l’ambizione di credere che, agendo con serietà e determinazione, il nostro paese potrà presto rialzarsi in piedi.

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LA RISPOSTA DI FABIANO SCHIVARDI

Ringrazio Stefano Firpo e Alessandro Fusacchia per il commento tempestivo fatto al mio pezzo sul decreto Crescita 2.0. Condivido in toto le considerazioni generali della risposta e non ho nessun dubbio sullo spirito con cui hanno lavorato. Noto però che le mie osservazioni si basavano su una lettura a caldo di documenti riassuntivi privi di molti dettagli (le presentazioni della conferenza stampa). La risposta era un’occasione per entrare nel merito, definire più precisamente i contorni dei provvedimenti in questione, chiarificare i dubbi. Dopo averla letta, rimango con le mie perplessità:  
a) Qual è la ratio del 51% del capitale detenuto da persone fisiche nella definizione di startup innovativa? 
b) Ottimo introdurre nuovi strumenti, ma ci aspettiamo davvero un contributo significativo del crowdfunding? Come vari lavori di Guiso, Sapienza e Zingales dimostrano, i piccoli risparmiatori investono in capitale di rischio se c’è la fiducia nel buon funzionamento del mercato. In Italia si sono verificati e si continuano a verificare scandali finanziari sotto la vigilanza assente o – volendo pensare male- a volte compiacente delle istituzioni preposte. Prevedere che i piccoli risparmiatori si terranno alla larga dal corwdfunding sarà ingeneroso, ma mi sembra francamente realistico. 
c) Continuo a non capire come il credito d’imposta per le infrastrutture possa essere a costo zero per lo Stato.

 

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