L’Italia è obbligata a crescere. Altrimenti l’aspettativa che il nostro debito pubblico sia insostenibile potrebbe presto auto-avverarsi. Anche il ricorso all’Esm prefigurerebbe scenari drammatici. La stabilità del Governo deve essere utilizzata per le riforme strutturali.
TROPPO OTTIMISMO?
Le rocambolesche vicende politiche e parlamentari della scorsa settimana si sono risolte con una vittoria del premier Enrico Letta, che prelude a una maggiore stabilità del Governo nei prossimi mesi. Qualcuno potrebbe pensare che possiamo dormire sonni tranquilli: abbiamo raggiunto una relativa stabilità, che ci mette al riparo dagli attacchi speculativi dei mercati e dai declassamenti delle agenzie di rating. Prova ne sia il fatto che il famigerato spread è tornato al livello di 250 punti base circa.
Questa visione potrebbe rivelarsi troppo ottimistica. Nella prospettiva di collocare le prossime elezioni nella primavera del 2015, dopo il semestre di presidenza italiana della UE (secondo semestre 2014), è essenziale che il prossimo anno e mezzo non venga utilizzato per “galleggiare”, come è stato fatto nei primi mesi del Governo Letta. I pericoli del “galleggiamento” derivano dalla situazione della nostra finanza pubblica: rende urgente il ritorno a un ritmo di crescita decente, pena il fallimento.
Il recente rapporto del Fondo monetario internazionale sull’Italia (IMF Country Report n. 13/298, settembre 2013) riconosce che l’aggiustamento fiscale, richiesto per centrare nel 2014 l’obiettivo costituzionale del bilancio strutturale in pareggio, è stato sostanzialmente già fatto. Parimenti, l’obiettivo di un disavanzo complessivo entro il 3 per cento del Pil è stato raggiunto (un decimale in più non è certo un problema insormontabile). Peraltro l’Italia ha un avanzo primario (al netto degli interessi) da fare invidia a tutti gli altri paesi europei, con l’unica eccezione della Germania. E allora dove sta il problema? È presto detto: il problema sta in uno stock di debito pubblico che in rapporto al Pil è passato negli ultimi due anni dal 121 al 132 per cento. È vero che all’aumento hanno contribuito per metà due poste “straordinarie”: i versamenti ai Fondi di stabilità europei (Efsf/Esm) e i pagamenti dei debiti arretrati della pubblica amministrazione. Ma è anche vero che vi ha contribuito in misura determinante la recessione, che – insieme alla bassa inflazione – ha portato il Pil a contrarsi in termini nominali nel biennio 2012 – 2013 (si veda la tavola a pag. 50 del Report).
OBBLIGATI A CRESCERE
E qui veniamo al punto vero. Perfino l’austero Fmi e le tanto temute agenzie di rating sono ormai unanimi nel dire che il nostro problema ha un solo nome: crescita. In particolare, l’Fmi presenta uno scenario di base che prevede una graduale riduzione del rapporto debito/Pil a partire dal 2015: la traiettoria ci riporterebbe al 122 per cento nel 2018. Ma un requisito essenziale è che l’Italia torni a crescere a ritmi decenti: 0,7 per cento l’anno prossimo e un po’ di più (tra l’1,1 e l’1,4 per cento) negli anni successivi. Tra i pericoli previsti, che minacciano questo scenario, il primo è un growth shock: con una crescita minore del previsto, potremmo dare l’addio al pur lento declino del rapporto debito/Pil previsto nello scenario di base.
Per una volta, i suggerimenti dell’Fmi non sono volti a imporci sacrifici per rimettere in sesto il bilancio pubblico, ma a indicare possibili strade per sostenere la crescita dell’attività economica. Naturalmente queste strade sono assai più complesse di quelle che abbiamo percorso per rimettere in ordine i conti. Per raggiungere lo scopo, in fondo, la ricetta utilizzata è stata semplice, seppure dolorosa: aumentare le tasse. Adesso il compito è più difficile. L’Fmi mette al primo posto le “riforme strutturali”, cioè quelle che dovrebbero agevolare l’attività di impresa e attrarre gli investimenti. Il nostro business environment è stato giudicato pressoché il peggiore nell’area Ocse (siamo al trentesimo posto su 31 paesi nella classifica della Banca Mondiale). Le cose su cui lavorare sono tante e note da tempo: la lentezza della giustizia civile, la complessità del sistema fiscale e degli adempimenti burocratici, il costo dell’energia elettrica. Se in queste aree qualcosa è stato fatto (ma ancora molto resta da fare), riguardo alla distribuzione del carico fiscale abbiamo fatto finora l’esatto contrario di quello che ci viene consigliato: occorre ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, mentre ci siamo impantanati nel “superamento” dell’Imu (ma questa è una storia ben nota). Quanto alla spending review, che potrebbe liberare risorse per alleggerire il carico fiscale su imprese e lavoratori, non basta nominare un commissario: bisogna dotarlo della squadra e degli strumenti di intervento necessari per incidere sulle amministrazioni locali oltre che su quelle centrali. C’è poi il problema del credit crunch, che affligge le imprese e contribuisce a prolungare la recessione. È vero che non si può fare ripartire il credito per decreto, ma qualcosa per incentivare le banche a ripulire i bilanci si può fare: il Fmi sposa la richiesta delle banche di consentire la piena deducibilità fiscale delle perdite su crediti, almeno per le nuove operazioni.
Il problema delle riforme strutturali è notoriamente quello che colpiscono gruppi di interesse concentrati, che possono fare pressione per resistere. È più facile aumentare le tasse, colpendo un po’ tutti. Per questo la strada adesso è più difficile, e richiede stabilità politica. D’altra parte, se non riusciamo a imboccarla, il nostro destino è segnato. Se gli operatori finanziari e le agenzie di rating si dovessero convincere che la strada per riprendere a crescere non verrà presa con sufficiente determinazione, allora cominceranno a pensare che le nostre possibilità di impostare una traiettoria discendente del rapporto debito/Pil stanno svanendo. L’aspettativa che il nostro debito pubblico sia insostenibile potrebbe presto “auto-avverarsi”: l’aumento del premio al rischio porterebbe l’onere per interessi a livelli tali da vanificare qualsiasi sforzo dal lato dell’avanzo primario. Il rapporto debito/Pil continuerebbe a crescere fino a raggiungere il fatidico livello al quale i mercati finanziari non sarebbero più disposti a finanziarci. Nessuno sa quale sia quel livello, ma esiste (un po’ come per i terremoti: nessuno sa quando arrivano, ma in un’area sismica prima o poi arrivano).
IL PREZZO DELLO SCUDO
Si potrebbe obiettare che tale scenario verrà comunque evitato grazie allo “scudo” fornito dal Fondo europeo di stabilità (Esm) e dalla Bce. Senza il sostegno della Bce, le risorse dell’Esm sarebbero insufficienti al “salvataggio” dell’Italia: siamo semplicemente troppo grossi. Ma anche con il sostegno della Banca centrale europea, non è affatto da escludere che il piano di intervento concordato con Esm, Bce (e Fmi) preveda un Private Sector Involvement (Psi), come è stato per la Grecia e per Cipro: il Psi è un termine elegante per indicare una insolvenza, nella quale il valore dei titoli sul mercato viene tagliato (ad esempio del 50 per cento). L’impatto di un Psi sui risparmiatori e sulle banche italiane sarebbe drammatico, ma potrebbe essere la condizione imposta per abbassare istantaneamente il rapporto debito/Pil e avviare un percorso sostenibile del nostro debito pubblico. Non solo, ma la concessione di un prestito internazionale comporta l’imposizione di misure di aggiustamento fiscale: in quell’ipotesi sì che la nostra legge finanziaria verrebbe scritta dalla Troika. La stabilità politica deve essere usata per evitare che questo scenario si realizzi, non per “galleggiare”.
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Paolo
“Le cose su cui lavorare sono tante e note da tempo: la lentezza della giustizia civile, la complessità del sistema fiscale e degli adempimenti burocratici, il costo dell’energia elettrica. ” (cit)
Non capisco quali siano i “gruppi di interesse” che ostacolano questi e altre riforme citate che non siano da una parte l’incapacità di chi ci governa, dall’altra la gestione da parte dei vari gruppi politici del sistema delle municipalizzate e anche di parte importante del sistema bancario.
Non voglio fare il demagogo o qualunquista, ma ho l’impressione che la vera riforma da fare sarebbe cambiare questa classe dirigente che, con la sua stabilità, è la maggior causa dei problemi e della instabilità di questo paese.
Quindi mi sembra che se non si chiarisce che stabilità politica NON vuol dire mantenere lo stesso assetto politico odierno, il titolo dell’intervento è ingannevole.
Piero
Oramai i problemi sono noti a tutti, ma in questo contesto fare previsioni di crescita del Pil Italia e’ sbagliato, la crescita in questo contesto non avverrà mai, nel 2013 abbiamo -2%, nel 2014 -x%; il paese Italia ha uno stock di debito pubblico che necessità di forti misure e non di palliativi, o solo la stabilità politica, quest’ultima serve solo per il galleggiamento dei nostri politici.
Misure forti:
– pubblica amministrazione: e’ il problema dell’Italia, e’ troppo costosa ed improduttiva, cosa fare? Già vi è il blocco delle assunzioni dal 2010, deve essere più rigido, dobbiamo da subito equiparare il lavo pubblico a quello dei privati, quindi di devono applicare le stesse normative, anche sul licenziamento, non vedo perché il dipendente pubblico non possa essere licenziato dal suo datore di lavoro. L’uscita del lavoratore pubblico dalla tutela di cui oggi gode lo porterà sicuramente ad un aumento della sua responsabilità e quindi produttività. Normativa che obbliga l’accentramento dei servizi comunali, si devono creare delle aggregazioni per legge dei comuni ai fini dei servizi, la previsione di un consorzio obbligatorio tra comuni che abbia come minimo 10.000 abitanti, in tale modo tutti i servizi pubblici dalla gestione dell’anagrafe in poi verranno accentrati, si liberano delle risorse da utilizzare in altri settori (ricordo che la Germania ha attuato questa politica già da oltre 10 anni, in Italia abbiamo oltre 8000 comuni, ne possono rimanere la metà).
Il costo dei parlamentari e dei consiglieri regionali e il finanziamento dei partiti, per i primi due vanno posti dei limiti, il consigliere regionale non può prendere più di 2500 euro mese mentre il parlamentare max 5000 euro mese, si potranno prevedere per entrambi il rimborso chilometrico per andare sul posto di lavoro, per il finanziamento dei partiti solo contribuzioni volontarie deducibili dalle tasse fino alla somma di 2500 annue.
Piero
-imprese pubbliche: sono imprese, anche se sono pubbliche non deve cambiare lo spirito imprenditoriale, se la governance non è in grado di produrre utili, va cambiata, non possiamo tenere e finanziare amministratori incompetenti, ciò a tutti i livelli dallo stato ai comuni e alle regioni; a mio avviso se l’impresa pubblica produce perdite, erode il capitale che è’ di tutti i cittadini italiani, quindi se non si cambia immediatamente la governance si produce un danno erariale, va sostituito senza indugio il manager, oppure va messa in liquidazione o venduta l’impresa.
-imprese private: funzionano, per essere dobbiamo risolvere il problema del credito, il problema fiscale e il problema delle infrastrutture, per il primo dobbiamo ampliare la garanzia 662 con meccanismi automatici, mi spiego una pmi con un fatturato di 10 milioni deve avere una garanzia del 30% del fatturato da spendere nel sistema bancario in modo automatico basta un bilancio in utile e un impegno al mantenimento occupazionale! tale provvedimento non abbisogna di coperture e quindi può essere preso subito, oltre ciò si possono prevedere mutui di liquidità tramite la cassa depositi e prestiti che successivamente potranno essere cartolarizzati, alla fine dobbiamo immettere nel sistema con questi meccanismi oltre 100 miliardi, in difetto il tessuto economico morirà definitivamente o in alternativa per sopravvivere non pagherà Iva, contributi previdenziali e tasse, metterà in pericolo le finanze statali.
Il problema fiscale, oggi deve essere affrontato subito, naturale, qui abbiamo un problema di gettito, potranno prendersi misure sia in linea alla diminuzione della spesa che all’emersione dell’evasione che avverrà con la diminuzione delle aliquote, basta fare una legge che obblighi l’amministrazione centrale a ridurre le imposte con la diminuzione della spesa, e’ stata fatta la legge sul pareggio del bilancio si potrà fare anche questa, si innescherà quindi un meccanismo virtuoso che porterà al beneficio fiscale atteso, naturalmente darà immediatamente la speranza a tutti gli imprenditori.
Paolo
“…dobbiamo da subito equiparare il lato pubblico a quello dei privati, quindi si devono applicare le stesse normative, anche sul licenziamento, non vedo perché il dipendente pubblico non possa essere licenziato dal suo datore di lavoro. L’uscita del lavoratore pubblico dalla tutela di cui oggi gode lo porterà sicuramente ad un aumento della sua responsabilità e quindi produttività” (Piero)
Non mi sembra che il settore privato brilli per la sua produttività. Pensare che la produttività sia legata a far lavorare di più è una visione limitatissima, quasi ottocentesca, in molti settori la produttività individuale ha quasi perso senso, in quanto dipende dalla tecnologia usata (investimenti), dall’organizzazione manageriale e organizzativa e da forti economia di scala.
“…potranno prendersi misure sia in linea alla diminuzione della spesa che all’emersione dell’evasione che avverrà con la diminuzione delle aliquote” (Piero)
Anche se Befera ha sposato la curva di Laffer non per questo diventa una cosa vera. Non si capisce quale sia l’aliquota superiore allo zero che induca chi evade senza rischi a smettere di evadere. Condivido il fatto che ci sia anche un’evasione “da sopravvivenza”, ma in questo caso per far pagare le tasse bisogna aumentare il reddito non azzerare o diminuire le tasse.
Enrico
Sul primo punto: ha perfettamente ragione, il settore privato non brilla per produttività, infatti è in crisi, le aziende chiudono ed i lavoratori vengono licenziati. Nello Stato invece, non esiste cassa integrazione, figuriamoci il licenziamento, a prescindere dalla produttività o dall’utilità di settori e funzioni.
Almeno il settore privato tenta, anche disperatamente, di migliorare la produttività, proprio perchè ne va della sopravvivenza dell’azienda stessa.
Non capisco dove viene definita la produttività come “lavorare di più”: è pacifico che non è semplicemente questo e nel privato (io vengo da li) lo si è capito da un bel pezzo.
Secondo: ma l’evasione da sopravvivenza, se esiste, sarebbe meno peggio dell’evasione propriamente detta?
Se io ho un’attività e ne traggo un reddito X pagando tutte le tasse, se c’è qualcuno che ha lo stesso tipo di attività e guadagna X evadendo, beh mi fa concorrenza sleale, se lui chiudesse come dovrebbe io avrei l’opportunità di guadagnare X+1.
Poi si dovrebbe definire cosa significa “sopravvivenza” : vuol dire mantenere lo stesso tenore di vita?
Paolo
Se si auspicano interventi di controllo sui singoli lavoratori è evidente che si presume che esista un criterio di produttività individuale da incrementare facendo lavorare di più. Quello che invece secondo me ormai è chiaro è che, salvo casi eccezionali, la produttività non dipende dal singolo lavoratore, ma dall’ambiente nel quale è immesso. Per quanto riguarda i lavoratori pubblici il problema è proprio questo fare sì che l’organizzazione manageriale, la struttura ambientale e la motivazione vada nel verso di una produzione qualitativa migliore. Nel pubblico non esistono funzioni inutili, esistono utilizzi inutili o sbagliate di lavoratori che, inquadrati in un migliore ambiente lavorativo, aumenterebbero enormemente la loro produttività (nel pubblico la produttività e soltanto qualitativa).
L’evasione da sopravvivenza è quella che, se regolare, poterebbe a avere un reddito inferiore alla sussistenza. Per professioni autonome, aprire una partita IVA e quindi regolarizzarsi, molto spesso porterebbe ad avere un reddito netto inferiore al minimo vitale.
La concorrenza non c’è, perché nessuno resterebbe sul mercato a redditi inferiori alla sussistenza, ed è difficile che si metterebbe in moto un meccanismo di sostituzione come nel suo esempio, in quanto le professioni sono qualitativamente diverse.
Enrico
Commenti veramente molto interessanti.
Solo una nota. La questione dell’evasione : siamo sicuri che abbassando le aliquote ci sarà emersione? Allo stato attuale, perchè chi paga 0
dovrebbe pagare il 20%? Sono d’accordo che l’abbassamento delle aliquote permetterà di ridurre la percezione delle tasse come “ingiuste”
e quindi incentivarne il pagamento, ma bisogna anche procedere a rendere l’evasione non conveniente inasprendo le pene per l’evasore, ad
esempio l’evasione, se non lo è già, deve diventare un reato penale (è come rubare all’intera collettività, altro che furto in una abitazione).
Sempre riguardo all’evasione: ritengo sia di molto sottovalutata e parlare di evasione per sopravvivenza non aiuta, non si rischia per evadere un po’, se lo si fa si evade il più possibile.
Anche la distinzione tra “grandi” e “piccoli” evasori: le categorie degli autonomi (non me ne vogliano, es. muratori, idraulici, dentisti, negozianti etc etc) può evadere 50 mila€, vi sembrano pochi? (i gioiellieri denunciano in media 15 mila€/anno, secondo voi evadono per sopravvivere?).
Piero
Per fare rispettare il pagamento delle imposte abbiamo una legge tributaria penale che deve essere rispettata, e’ sufficiente aumentare le pene, oggi in Italia una pena detentiva di tre anni non va mai scontata con il patteggiamento, se facciamo come in America, dove l’evasione è punita con pene superiori alla rapina, infine dei conti l’evasione e’ una rapina, naturalmente il reato deve colpire gli evasori che superano certe soglie e non la generalità, non si colpirà quindi l’evasione di sopravvivenza che al limite evade i 10/20 mila euro annui, anche se tale evasione deve essere sanzionata con sanzioni amministrative. Se al contrario vogliamo la linea dura penale tributaria dobbiamo avere al contrario norme tributarie chiare e non controverse.
Enrico
Grazie della risposta.
Però 10/20 mila€ l’anno mi sembrano tantini per non essere considerati reato penale. Se mi introduco in casa sua e le rubo 20 mila€ sarebbe corretto avere solo una sanzione amministrativa?
Secondo me Il limite equo sarebbe la soglia di no-tax area.
Piero
La normativa tributaria si presta ad interpretazioni, spesso l’evasione non dipende dal nero ma da cisti che vengono detratti ingiustamente secondo l’ufficio, in ogni caso le sanzioni amministrative sono molto pesanti, arrivano al 200% dell’imposta evasa,si è vero che pagando subito si può arrivare al 30%, ritengo che sui livelli bassi sia più interessante e conveniente per lo stato incassare la sanzione amministrativa e non ingolfare le procure che alla fine non riescono a perseguire l’evasione importante. Ricordiamoci che oggi la dichiarazione viene controllata dopo un anno, quindi già pagare una sanzione del 30% per pagare le tasse dopo un anno perché si è richiamati dall’ufficio non conviene a nessuno.
rosario nicoletti
Purtroppo, lo scenario presentato nell’articolo è del tutto realistico. L’italia è come una nave che affonda lentamente; l’aumento del debito pubblico, la continua erosione del PIL sono segni incontrovertibili. Quando vi sarà il segnale del “si salvi chi può”? Non siamo in grado di prevederlo, ma sicuramente avverrà se la tendenza non viene invertita. Le stesse dismissioni del patrimonio pubblico non servirebbero a nulla – solo a procrastinare l’evento finale – se non si riprende a crescere con vere riforme strutturali.
luca
Scusate ma il debito è solo quello pubblico? E quello privato che è anche maggiore e che cresce a causa di un passivo delle partite correnti che dura ormai da almeno 10 anni?
Poi, se siamo così poco competitivi e improduttivi, com’è che dall’estero continuano a prestarci soldi e a comprarci aziende?
Non è che le tanto agognate riforme, in particolare liberalizzazioni e privatizzazioni servono a consentire l’arrivo delle multinazionali (con conseguente eliminazione dal mercato delle aziende italiane in difficoltà di accesso al credito) e a svendere qualche importante impresa solo per fare favori e cassa?
Scusate, lo chiedo solo perché in Italia di problemi ne abbiamo tanti da sempre (corruzione, evasione fiscale, spesa pubblica improduttiva, ecc.) ma è solo da poco più di 10 anni che non si cresce. Saremo mica entrati nell’euro per farci dire dalla Troika quello che sapevamo anche prima? Perché se loro dovevano costringerci a fare le riforme, mi sa che hanno fallito, e se tanto mi da tanto, allora era meglio quando almeno potevamo discutere liberamente tra di noi, senza che il mercato “sovrano” ci imponesse l’agenda politica.
Enrico
In realtà, credo, quando la crescita c’era, non era così marcata rispetto agli altri Paesi Europei.
Magari sbaglio, l’autore mi corregga con dei dati, ma siamo sempre stati al traino, ci prendevamo le briciole.
Luca
Allora peggio mi sento, no?
Come potevamo pensare di fare un’unione monetaria con paesi con tassi di crescita e inflazione così diversi tra loro?
Questo Mundell lo insegnava già molto prima dell’euro (10 paginette lungimiranti grazie alle quali prese il nobel per l’economia)
http://www.aeaweb.org/aer/top20/51.4.657-665.pdf
giancarlo
Non è vero. Fin quando abbiamo avuto un minimo di sovranità monetaria e, ancor prima, antecedentemente al divorzio Bankitalia/Ministero del tesoro, eravamo il paese europeo (e forse mondiale) con la maggiore crescita Pil. Il problema è che da noi girano in Tv tanti esterofili amanti dell’euro che ci fanno intendere che all’estero è tutto meglio che in italia. Ma voi lo sapete in cosa consistono le riforme strutturali tanto agognate dall’Europa? Non siete d’accordo con me che quando c’era la lira era molto meglio e che lo spread ci faceva un baffo? Non siete d’accordo che l’instabilità in Italia c’è sempre stata e nonostante ciò i nostri genitori si sono fatti la casa con un solo stipendio in famiglia? Mentre oggi non riusciamo a farcela nemmeno se lavorano entrambi i genitori? E cosa è cambiato da 10/15 anni? E’ arrivato il mitico euro. Ce l’hanno fatto passare come un traguardo per noi italiani ed invece da lì è iniziata l’origine dei nostri mali, perché abbiamo finito di poter recuperare la competitività col cambio.
Enrico
La serie storica del Pil recuperata in una ricerca parte solo dal 1980, immagino che lei si riferisca a periodi precedenti.
In tal caso sarebbe un’ottima notizia, riproverò a ricavare maggiori dati.
Mi permetta di dissentire in parte con i commenti: indicano l’euro come origine di tutti i mali, se fosse cosi sarebbe anche facile tornare a stare meglio.
In realtà, purtroppo, in 10/15 anni di cose ne sono cambiate molte, bisogna tenere conto degli stili di vita e del fatto che si sono innegabilmente alzati; dell’inflazione; della svalutazione: se oggi avessimo la lira quanto pagheremmo le materie prime (petrolio in primis)?
In ultimo: le svalutazioni competitive sono anche all’origine della mancanza di competitività delle nostre aziende, che non hanno mai avuto bisogno di sviluppare innovazione nei prodotti dal momento che per esportare era sufficiente piangere un po’ per avere le svalutazioni ed il gioco era fatto (ci compravano perchè eravamo convenienti, non migliori, come per i prodotti cinesi; ovviamente salvo casi singoli)
Comunque grazie del commento, è sempre un piacere confrontarsi.
giancarlo
Caro Enrico, risponderò a tutte le sue affermazioni. Ma la prego, legga tutto, fino in fondo.
Non è detto che una soluzione semplice sia per forza semplicistica e dunque sbagliata.
In 15 anni è innegabile che il tenore di vita sia cresciuto (secondo alcuni abbiamo già scollinato e da qualche tempo è iniziato pure un calo). Ma quando si parla del cosiddetto miracolo italiano, a che periodo storico ci si riferisce? Non certo al periodo di convergenza all’euro, nè tanto meno a dopo il 2000! E in quel mitico periodo noi avevamo la liretta, che secondo alcuni metterebbe a rischio l’economia. La storia insegna sempre. Continuando sempre con l’analisi dei dati e dei fatti storici, posso rispondere anche al suo quesito su materie prime e inflazione (importata); nel 1992 cosa era successo? Avevamo da qualche tempo fissato il cambio SME e la pressione sul nostro sistema era diventata insostenibile, per via della bilancia pagamenti squilibrata per eccesso di importazioni. Dopo che Bankitalia aveva esaurito le riserve di valute pregiate per sostenere un cambio insostenibile, abbiamo finalmente consentito al cambio di livellarsi sul valore di equilibrio. La lira si è svalutata del 20%. Non l’abbiamo svalutata noi. E’ stato il mercato ad operare un riequilibrio. E poi cosa è accaduto? Dal 1992 azienda Italia ha iniziato a macinare record di esportazioni e questo ha riequilibrato la bilancia e fatto salire il PIL (e non con percentuali risibili come quelle che ci attendiamo oggi). Lei ora mi dica se si rammenta che nel 1993-94-95-96 l’inflazione era al 10%, oppure al 20%? No, era al 5 o 6%. Eppure il mercato ci aveva svalutato del 20%. La benzina oggi, con un svalutazione del 25%, di quanto salirebbe? Bisogna calcolare l’inflazione sulla parte di costo materia prima, cioè su meno di un euro, mettiamo 80 centesimi. Che inflazione applichiamo? Il 10%? E’ un valore assurdo, senza riscontro storico, ma va bene, applichiamo anche il 20%. A quanto corrisponde il 20% di 80 centesimi? Sedici centesimi di aumento. Cioè la benzina aumenterebbe di 16 centesimi.
Se lei ha pazienza le ricordo anche che non è vero che i prodotti della manifattura italiana erano venduti solo perché a buon mercato. Eravamo fino a pochi anni fa la seconda manifattura d’Europa ed il principale fornitore dell’industria tedesca. Se i tedeschi, pur con tutta la loro intransigenza per la qualità, compravano da noi, vuol dire che i prodotti erano validi.
Ancora. Cosa significa ‘bastava piangere per avere una svalutazione’? Quando si fanno battute occorre documentarsi prima sui reali eventi storici. E ora concludo. Lei in ultimo parla di mancanza di competitività. E’ perfettamente vero. Il sistema Italia nel suo complesso è meno competitivo della Germania, e chi può negarlo? Il cambio flessibile in queste situazioni svolge la sua funzione di riequilibratore, secondo le normalissime leggi di mercato – domanda offerta. Per quale motivo si dovrebbe impedire questa funzione? Se per di più l’unica altra alternativa consiste nella deflazione dei salari, con gli evidenti danni che Portogallo, Spagna, Irlanda, Grecia, hanno già subito, senza alcun tangibile effetto positivo sull’economia? Svegliamoci dal torpore.
Enrico
Spiegazione esauriente, grazie.
Giustifico la mia affermazione sui prodotti : non intendevo dire che l’Italia non abbia mai fatto buoni prodotti, al contrario, ritengo che siamo tra i migliori, ma non basta fare un prodotto per venderlo. Chi ha puntato su qualità e innovazione ha evidentemente vinto, ritengo non sia tutta colpa dell’euro.