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Un Nobel per tre

Il premio Nobel per l’economia a Fama, Hansen e Shiller testimonia che, sebbene l’ipotesi di mercati efficienti sia contraddetta da crisi finanziarie e anomalie varie, per la maggioranza degli investitori rimane valida la sua implicazione principale: battere il mercato è molto difficile.
VENTICINQUE ANNI DI STUDI
Le decisioni di investimento sono determinate dai rendimenti attesi delle attività finanziarie e dall’incertezza a questi associata. Il premio Nobel a Lars-Peter Hansen, Eugene Fama e Robert Shiller è un riconoscimento ai tre fautori dell’evoluzione del pensiero accademico sulle determinanti dei rendimenti attesi delle attività finanziarie negli ultimi venticinque in anni.
Il fattore comune che lega i tre autori è quello di aver impiegato metodi statistici ed econometrici per investigare l’ipotesi dell’efficienza dei mercati azionari, ossia della loro capacità di incorporare nei prezzi l’informazione rilevante.
Eugene Fama ha contribuito in maniera fondamentale a costruire il consenso iniziale che si basava sui seguenti pilastri: esiste un solo fattore di rischio, cioè la sensitività dell’attività finanziaria al mercato, identificato solitamente come il mercato azionario (questa sensitività è comunemente riconosciuta come il beta del Capital Asset Pricing Model), i rendimenti attesi sono costanti nel tempo, gli investitori si preoccupano solamente di media e varianza dei rendimenti, i mercati sono efficienti (nel senso che ogni informazione è prontamente e correttamente incorporata nei prezzi) e gli investitori sono razionali.
Negli ultimi venticinque anni si è sviluppata una visione più complessa, ma anche più realistica, delle determinanti dei rendimenti attesi. La nuova visione è partita dal contributo iniziale dello stesso Fama ed è stata poi sviluppata, lungo direttrici diverse, con i contributi successivi di Hansen e Shiller. Nella nuova visione della finanza esistono fattori multipli di rischio (gli agenti richiedono di essere ricompensati per il comportamento dei rendimenti attesi delle attività finanziarie e la loro struttura di correlazione nei momenti di crisi), il premio richiesto per il rischio da parte degli agenti varia nel tempo e quindi variano nel tempo anche i rendimenti attesi delle attività finanziarie, la liquidità (cioè la possibilità di acquistare e vendere senza costi) è un’importante determinante dei rendimenti delle attività finanziarie, esistono effetti di domanda e offerta sui prezzi delle attività finanziarie ed è possibile che i mercati non siano efficienti, sia perché gli investitori adottano comportamenti irrazionali sia perché esistono costi di transazione che limitano le flessibilità delle operazioni dell’acquisto e della vendita di attività finanziarie.
RICERCHE IN CAMPI DIVERSI
Il nuovo consenso è centrato su una visione di rendimenti attesi che variano nel tempo. Esistono diverse motivazioni per le fluttuazioni dei rendimenti attesi nel tempo. Da un lato, abbiamo le fluttuazioni del rischio e dell’avversione verso il rischio degli agenti economici, dall’altro, le frizioni di mercato e la possibilità di comportamenti irrazionali da parte degli agenti.
Questa visione ha il suo punto di partenza negli studi di Fama degli anni Sessanta che hanno dimostrato che i prezzi azionari sono imprevedibili nel breve periodo e che le nuove informazioni vengono incorporate molto rapidamente. Imprevedibilità dei rendimenti significa fluttuazioni casuali di questi attorno a una costante (il rendimento atteso).
L’imprevedibilità di breve periodo non è però associata allo stesso fenomeno nel lungo periodo. All’inizio degli anni Ottanta, Robert Shiller scoprì che i prezzi sono troppo volatili per essere consistenti con l’ipotesi di rendimenti attesi costanti e che nel lungo periodo i rendimenti possono essere previsti sulla base dei fondamentali (in particolare del rapporto prezzi/utili e del rapporto dividendi/prezzi). La prevedibilità implica variabilità nei rendimenti attesi. La variabilità dei rendimenti attesi può essere interpretata sulla base della risposta di investitori razionali alla incertezza nei prezzi. Alti rendimenti attesi per il futuro possono essere spiegati da un alto premio per il rischio, che, essendo legato all’andamento dell’economia, dipende dalle fluttuazioni di lungo periodo attese per le variabili economiche.
Lars-Peter Hansen ha sviluppato metodi statistici per l’applicazione e la verifica empirica di teorie razionali dei prezzi delle attività finanziarie.
Un approccio alternativo alla spiegazione della prevedibilità si focalizza invece sulla possibilità di comportamenti non-razionali da parte degli investitori e sulla possibilità di fenomeni quali Irrational Exuberance, come si intitola il best-seller di Robert Shiller.
Il premio Nobel a questi tre accademici, che hanno programmi di ricerca molto diversi tra loro, testimonia il fatto che, sebbene l’ipotesi di mercati efficienti sia contraddetta dall’esistenza di crisi finanziarie, da molte “anomalie di mercato” e dalla prevedibilità dei rendimenti delle attività finanziarie nel lungo periodo, la sua implicazione principale che “battere il mercato è molto difficile” rimane valida per la maggioranza degli investitori.

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Il Punto

  1. Paolo Vitale

    Secondo me Hansen ha poco in comune con gli altri due. Mi sembra che si sia voluto rimediare all’errore di non avergli assegnato il Nobel Prize unitamente a Sargent. Negli ultimi 10 anni Hansen si è dedicato in prevalenza al tema della Robustness con applicazioni in finanza, ma soprattutto in macro. Insomma, la motivazione riportata dal comitato nell’assegnazione del Nobel Prize è riduttiva. La rilevanza della sua ricerca è molto più ampia.

    • NewDeal

      Bel post.
      Hansen e’ rigoroso.
      Non sfugga che questo trio, theoretically speaking, non ha nulla in comune, l’uno con l’ altro. Tema che non si puo’ minimizzare. L’economia non e’ una scienza esatta: questo è il significato del Nobel.

  2. Pier Luigi

    Se c’è qualcosa di ideologico in questo caso, questo è contenuto nell’idea che ‘far parlare i dati’ sia di per sé un fatto oggettivo, mentre si tratta di un esercizio interpretativo. Il mainstream economico è intriso di questa finta ingenuità metodologica, priva di qualunque fondamento epistemico.

  3. EzioP1

    Solo qualche considerazione sull’utilità e applicabilità dei
    risultati conseguiti, e ciò alla luce delle variabili di difficile
    previsione quali: gli eventi socio-politici (guerre, geografia delle
    nuove economie emergenti, movimenti e sconvolgimenti politici, ecc.);
    le nuove scoperte e innovazioni tecnologiche capaci di sovvertire i
    precedenti paradigmi su cui le analisi si basano (potenziamento delle
    comunicazioni, disponibilità delle tecnologie per tutti,
    accelerazione degli sviluppi socio-economici, ecc.); possibile
    introduzione di nuovi modelli monetari e-money, quali bitcoin e
    simili. Non sono certo io a sottovalutare il valore delle ricerche
    condotte, ma queste attengono ad una realtà che non sappiamo se si
    proietterà inalterata nel futuro, in particolare nel lungo periodo.

  4. Maurizio

    Osservo che i Premi Nobel per l’economia sono ormai diventati una “riserva di caccia” per gli Stati Uniti, con qualche aggiunta della Gran Bretagna e del Canada. L’Italia ha ricevuto un solo premio con Modigliani, che era però era ormai diventato un autore di Lingua inglese.
    Pochi premi anche per gli altri paesi europei!!!
    Se ne dovrebbe concludere che per quanto concerne gli studi e le ricerche in Economia l’Italia e L’Europa (con qualche eccezione per l’U.K.) sono pressoché marginali. Lo stesso penso si possa dire del settore management, marketing, strategie, finanza….
    Che ne dicono i nostri docenti? Cause, rimedi???
    Maurizio, Firenze

  5. Paolo Quattrone

    Le ricerche di Donald Mackenzie su automated trading dimostrano che e’ proprio chi opera fuori dal mercato automatico e raccoglie informazioni per vie informali che riesce a generare profitto: se tutti hanno le stesse informazioni ed usano gli stessi modelli ovviamente non si può battere il ‘mercato’. Ma il ‘mercato’ e’ finzione pura perche’ l’informazione non e’ completa (molta di questa informazione non e’ formalizzabile) ed i modelli sono incapaci di rappresentare la situazione reale ma ne creano una fittizia. Forse una visione meno fondamentalista del mercato aiuterebbe a rifondare l’economia dalle proprie basi.

  6. Francesco Keynesiano

    Pensare che i mercati finanziari possano essere governati da qualche modello (sia esso il CAPM, l’APT o altro di queste farfugliate) è pura follia; Keynes, che in borsa ci operava e ci ha guadagnato delle somme considerevoli fra l’altro, sapeva bene cosa fossero i mercati finanziari: un posto dove ognuno fa a gara a passare la patata bollente all’altro fino a quando questa non scoppia, un beauty contest dove non vince la più bella ma quella che si pensa gli altri giudicheranno la più bella; pensare che i mercati siano efficienti nel senso che i valori delle azioni racchiudano davvero i dividendi futuri attesi è pura follia: “Gli speculatori possono essere innocui se sono delle bolle sopra un flusso regolare di intraprese economiche; ma la situazione è seria se le imprese diventano una bolla sospesa sopra un vortice di speculazioni. Quando l’accumulazione di capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un Casinò, è probabile che le cose vadano male. Se alla Borsa si guarda come a una istituzione la cui funzione sociale appropriata è orientare i nuovi investimenti verso i canali più profittevoli in termini di rendimenti futuri, il successo conquistato da Wall Street non può proprio essere vantato tra gli straordinari trionfi di un capitalismo del laissez faire. Il che non dovrebbe meravigliare, se ho ragione quando sostengo che i migliori cervelli di Wall Street sono in verità orientati a tutt’altri obiettivi.” (Keynes, General Theory of Employment, Interest and Money) Dare dei Nobel a chi si occupa di un “Casinò” ci dà veramente l’idea di come l’economia politica “moderna” si sia ridotta….

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